12H, LA PLAYLIST DEL 4 NOVEMBRE
12H è una playlist con i pezzi più interessanti usciti negli ultimi giorni, perché ci sono sempre nuove e belle canzoni da ascoltare
di redazione di WU
Il 31 ottobre, nonostante le mie resistenza, ho vissuto la mia personale giornata dell’orrore. Ma non c’entrano i dolcetti e gli scherzetti, che da anni abilmente uccido sul nascere staccando il citofono e isolandomi con le cuffiette nella stanza più lontana dal campanello, ma ha a che fare con una tragica intervista. Non dirò a chi, come se fossimo negli anni Novanta e per scoprirlo vi toccasse uscire di casa, trovare un’edicola che non abbia ancora chiuso i battenti e acquistare un giornale fatto di carta, ma vi dirò che quella persona faceva parte del mio olimpo di riferimenti assoluti. «Un genio», scrivevo nelle chat vibrante di commovente emozione, «ha reso la mia adolescenza migliore», pigolavo mentre al contempo condividevo compulsivamente video, citazione, reperti di vario genere. Sulla scia di questa folle ammirazione, ho abbandonato l’insegnamento che «le domande seguono le risposte» (la migliore scusa per buttare giù una scaletta che più scarna non si può) e mi sono messa d’impegno per elaborare pensieri originali, evitare domande già fatte, buttar giù spunti e suggestioni ai miei occhi davvero ammirevoli.
E invece si è ripetuto, seppur in peggio, lo schema Bjork, ovvero quel momento della vita in cui incontri un tuo idolo, e ci resti di merda. E non perché, come mi accadde con Juliette Lewis, ti trovi a essere oggetto di un lancio improbabile di spazzola, cosa che quantomeno ti dà modo di avere un aneddoto folkloristico su una celebrity, ma per una ragione molto peggiore, e cioè che quell’essere umano che tanto ti piaceva ti tratta male.
Quella persona che credevi così speciale, prende quei tuoi pensierini che credevi così brillanti, e li riduce in cenere, li polverizza senza pietà, in modo pretestuoso, certo, in modo contraddittorio e insensato, vero, ma tu, che hai una sindrome irrisolta da figlia unica che deve essere amata da tutti, ci resti di stucco e ci rimugini, come vedete, più del dovuto. Il fatto, oggi come 12 anni fa, quando da sola a Reykjavik passai i peggiori venti minuti lavorativi con Bjork, è che bisogna sempre prepararsi al peggio, quando si incontra un proprio mito, o, ancora meglio, fare come dicevano i Sonic Youth, e ucciderli, i propri miti, perché spesso si trasformano in boomer senza che nemmeno te ne accorgessi. Senza boomer, ma con molta bellezza, mi lascio alle spalle questo film horror con la nuova puntata di 12H.
IL RISVEGLIO: ‘MALDISTESTA’ DI GIUMO
Suoni acidi, selvaggi, aggressivi, che reggono un cantato distratto e ci imbrigliano nella narrazione ansiogena di analgesici presi per dimenticare un’estate senza mare, brutti sogni, tazze di caffè che fanno tremare le mani, e ovviamente di mal di testa, che prima o poi passa. Forse.
LA PAUSA CAFFÈ: ‘LUNEDÌ’ DI THEO REM
Theo Rem, nuovo in casa Fluidostudio, se ne frega piuttosto bene di mettere i pezzi del puzzle al posto giusto, e preferisce, invece, renderli altro, che non pensavano di poter essere. Si prende la giusta libertà di pescare dai generi che lo divertono, questo genovese classe 1996, e ci racconta questa Lunedì spiegando che, sì, è «una metafora o proprio una ‘supercazzola’: voglio andare dritto ai contenuti, e vorrei che tutti lo facessero. Andare oltre la facciata, smantellare un sistema e riappropriarsi della verità: i contenuti oltre il contenitore. Uso il mio flusso di pensieri senza filtro, forse confondo, il mio obiettivo è caricare di un valore la mia musica e le mie parole, ma senza vittimismo».
PRANZO: ‘GIORNI FELICI’ DI GIORGIO POI
Ed è bellissimo perdersi in questo incantesimo.
APERITIVO: ‘PEDI’ DI BABY TATE O ‘STALKER’ DI ELYOTTO
Da Atlanta, con sfacciataggine, ecco Baby Tate, che fu già Yung Baby Tate, ma oggi ha segato via il primo aggettivo, forse, chissà, perché sente di sta raggiungendo la sua maturità artistica. In Pedi, ci dice con goduria di essere «una piccola stronza», e sebbene il titolo della canzone sia un po’ fuorviante, il gioco sta in una battuta divertente sulle sue dita dei piedi come simbolo di espiazione. Alimentata dal campione rauco e piuttosto oscuro di Candy, pezzo di The Pack del 2006, la traccia inserisce Baby Tate in un paesaggio sonoro nostalgico, ma energico, e lei attacca il ritmo con testi gioiosamente meschini. Poliedrica e ironica, Tate ha preso in giro il suo stesso singolo su TikTok, per poi far uscire un video del tutto folle e leggermente “lady gagaista” come ispirazione. «Pedi non riguarda il mio corpo. Non si tratta di me che dico di essere migliore di chiunque altro – ha scritto su Twitter – Si tratta semplicemente di me, che sono pazza da morire». Tra sintetizzatori e cascate di glitch a 8 bit, Stalker di ElyOtto è una scarica martellante di endorfine iperpop, consegnate a noi con la gioia maniacale di uno scienziato pazzo. Questo nuovo singolo mostra anche una bella crescita dal breakout virale SugarCrash, con un ElyOtto che sceglie di mettere un po’ meno autotune, su una voce solitamente deformata fino alle viscere dell’inferno. E sai cosa? Suona da dio.
PRIMA DI ANDARE A DORMIRE: ‘ONE MORE NIGHT’ DI IVY SOLE FEAT. TOPAZ JONES O ‘FLORENCE & SELENA’ DI RIKI
Ugualmente dolce e sicura di sé, Ivy Sole ha fatto uscire la sensuale One More Night insieme al ragazzo dell’hip hop riflessivo, Topaz Jones. I due palleggiano, lasciandosi ampi spazi indipendenti nel pezzo, con la cantante e rapper di Philadelphia che nel video si muove tra stanze monocromatiche, mentre intorno c’è un suggestivo crescendo di armonie gospel. In un’altra scena, Jones condivide un verso estremamente riconoscibile, riversandosi su un amore proibito, che non riesce proprio a scuotere via. Tanto struggimento anche in Florence & Selena, anche perché niente come un assolo di sassofono malinconico è più adatto a dare il via al mese uggioso di novembre: Riki, ex membro dei Crimson Scarlet, lascia gemere il corno prima di fluttuare in una produzione dream pop che ci adagia su un tappeto di foglie dorate.
BONUS INSONNIA: ‘DOESN’T MATTER’ DI BENEE O ‘ABOUT:BLANK’ DI SLON
La pop star neozelandese BENEE è tornata con una ballata acustica a lenta combustione. Doesn’t Matter suona come se la sua produzione in loop fosse stata costruita attorno a un vecchio riff di Mac DeMarco. Siamo in territori lontani rispetto alla vibrante incisività del successo Supalonely, siamo in una nicchia più intima di BENEE, che qui ci folgora con il suo enorme talento sia come cantante che come autrice. Sì, Doesn’t Matter, si allontana dal suono colorato e carismatico anche di Kool, per diventare il pezzo più vulnerabile e sincero, un pezzo che aveva bisogno di condividere e che parla soprattuto del suo disturbo ossessivo-compulsivo, con un’onestà commovente. Slon è un mistero, è un esploratore, è uno sperimentatore che mischia la IDM con l’avant pop senza farti ben capire dove inizia l’uno e finisce l’altro, e per questo affascina e colpisce.
Nella foto in alto: Theo Rem, foto di Laura Stracapede
La playlist 12H di WU curata da Carlotta la trovate anche su Spotify, qui sotto il player
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