12H, LA PLAYLIST DEL 18 NOVEMBRE
12H è una playlist con i pezzi più interessanti usciti negli ultimi giorni, perché ci sono sempre nuove e belle canzoni da ascoltare
di redazione di WU
Scrivo mentre supplico un quattrenne di smettere di tossire, per piacere, per carità, “magari prova a trattenerti”. Scrivo mentre gli intimo di smetterla, perdinci, di tossire, che qui si deve lavorare, e se proprio non riesce a smettere, almeno che vada nella stanza più lontana da quello in cui sto digitando istericamente, che metta due muri tra il mio tentativo di chiudere un pezzo e il suo malanno che, mentre impreco e maledico l’universo, prego anche che non sia Covid.
Scrivo mentre minaccio un quattrenne di piantarla, con quella tosse, che è finta, l’ho capito, che serve solo ad attirare la mia attenzione, secondogenito viziato che non è altro, o peggio, sarà già tosse nervosa, vedrai. Scrivo mentre mi pento delle minacce, e mi riappacifico con il quattrenne, che, comunque, cerco di sedare con un aerosol, senza prevedere che il rumore di quell’aggeggio non è in nulla migliore rispetto a quello della tosse, che forse non è finta, forse è Covid, ma a questo penderò poi, perché ora ho un pezzo da scrivere, e mi è venuta pure a me, la tosse.
Scrivo reduce da un weekend in cui sono tornata a mettere i dischi dopo mesi, perlomeno al chiuso, ed è successo in un locale della bassa che credo sia rimasto l’unico, nel mondo occidentale, ad avere una sala fumatori, sempre al chiuso e senza finestre. Chissà perché, ero certa che in epoca post pandemica l’avrebbero tolta, e invece no, la coltre di nebbia campeggiava fieramente, beffardamente, a dirci che sei hai il Green Pass hai tutto il diritto di tornare a godere di immutati comfort, compreso quello di tornare alla follia degli anni Novanta, quando, che fumassimo o meno, dopo una serata a ballare dovevamo appendere in balcone anche le mutande e farci un paio di docce, per illuderci di aver fatto passare la puzza.
Tornare in console, e quindi tornare a fare nightlife, m’ha permesso anche di trovare conferma nel fatto che pure la vecchia abitudine di rompere i coglioni alle tipe, ebbene è sempre lì, immutata, scevra di nuovi spunti, di inedite ispirazioni, di originalità. No, quando un povero pirla si cimenta nell’antica arte della molestia, lo fa nello stesso modo patetico di prima, con la stessa pigrizia di prima. Mi accade, dunque, che un coso, che senza timore di essere accusata di “ageismo” avendo dalla mia l’arma della forbice quando a morra cinese esce carta, definirei parecchio avanti con gli anni, mi venga addosso, fingendo di ballare, mentre parlo con un’amica.
Accade, poi, che quel coso mostruoso e palesemente sbronzo da ore se non da anni, mi venga di nuovo addosso, cosa che mi fa pacatamente pronunciare, su modello Vittorio Sgarbi e il suo «capre capre», la parola «horror horror», ma da lì al «adesso basta, hai rotto le palle», è stato un attimo. Ora, nella miseria nemmeno umana (ma nemmeno animale, esiste la miseria vegetale? O minerale?) del reuccio degli alcolisti di paese, tale affronto non può essere lasciato impunito, e allora eccolo, che vilmente, da lontano, lancia della birra sulla pista, bagnando me, la mia amica, e qualche malcapitato sulla traiettoria. Ecco, trovo questo gesto altamente metaforico, e vi lascio dedurre di che cosa.
Giustizia avrebbe voluto che il reuccio del disperati senza un senso nella propria vita, fosse allontanato dal locale, ma immagino che la sua dipendenza da alcol tenga ben su le casse del locale della bassa, quindi ad andarmene sono stata io, che, ed allora è vero che qualcosa è cambiato in questa epoca post pandemica, più che ribollire di rabbia, mi sono domandata a che distanza fossi, quando gli ho intimato di levarsi di torno, perché figurati se si è vaccinato, il reuccio di tutti i perdenti del mondo. A questo ho pensato, a che distanza fossi, se c’era o meno, tra me e il porco, quel metro e mezzo di salvezza. Forse no, e allora per allontanare ancora di più dalla mente, mentre conto i giorni necessari per l’insorgere dei sintomi da variante della bassa, mi immergo nelle uscite musicali migliori di questa metà di novembre, con in sottofondo la tosse, l’aerosol, i Pawpatrol.
IL RISVEGLIO: ‘NEW SHAPES’ DI CHARLY XCX FEAT. CHRISTINE AND THE QUEENS AND CAROLINE POLACHECK
Con le sue imponenti ondate di produzione anni Ottanta, New Shapes è un pezzo sopraffatto dal dolore. Le tre C, Charli, Christine e Caroline, qui riunite insieme per la prima volta, artigliano i fili di una relazione fallimentare e le “nuove forme” del titolo, ci segnalano i loro tentativi inefficaci di adottare nuove personalità e comportamenti, solo per il bene di un partner. E il tutto accade mentre attraversano montagne di rullanti, synth a tutto volume e cori dolenti. Le loro prospettive si completano bene a vicenda: Charli è alle prese con la sua tendenza a scappare, mentre l’immaginario tipicamente astratto di Chris offre una sorta di soluzione temporanea. In uno dei versi più strazianti della canzone, Polachek confessa che le cose sarebbero andate meglio, se non avesse mai incontrato ila persona che ha amato e forse ama ancora. New Shapes combina l’euforia di un numero di ballo, con la profondità schiacciante di un monologo pescato da Fleabag.
LA PAUSA CAFFÈ: ‘BRAD PITT’ DI MØ O ‘ROSA’ DI LUCIA MANCA
La sensibilità pop di MØ è più forte che mai, e quale modo migliore per espanderla, farla brillare, se non facendo riferimento a uno dei momenti cult della più iconica cultura pop? Brad Pitt vede la musicista danese lamentarsi di un amore che sembra condannato fin dall’inizio, e il nome della coppia hollywoodiana di tanto tempo fa, Juliette Lewis e Brad Pitt, è l’esempio perfetto del binario morto che vedi davanti ad una relazione, ma che non puoi fare a meno di percorrere. Le parole, qui, si adattano magnificamente a sintetizzatori malinconici e a un meticoloso lavoro di chitarra, per un ritorno atteso e magnifico. Lucia Manca è solida, lucida, forte, e ad ogni sua uscita conferma quello che amiamo di lei, e cioè un suono che ha il mordente del suono vintage della musica italiana, unito ad un’attitudine pienamente moderna. D’altronde, questo è il momento d’oro della riscoperta del passato, ma Lucia Manca ci era arrivata molto prima che diventasse moda.
PRANZO: ‘BEN FRANKLIN’ DI SNAIL MAIL
Il suono di Lindsey Jordan è, oggi, più energico, i suoi punti di riferimento più vari, la sua scrittura più tonica. Flirta con il pop, nel nuovo disco, bellissimo, Valentine, affilando i suoi ganci, aggiungendo i synth e gli archi. Laddove le parti del precedente Lush si sono svelate lentamente, conservando i loro segreti per un ascolto più che attento, Valentine è più immediato, cattura il tuo sguardo e si rifiuta di lasciarlo andare per 32 minuti consecutivi. Travolta dalla prima pandemia, che ha rimandato decine di ventenni a casa dei loro genitori, Jordan ne ha scritto gran parte sul pavimento della sua camera da letto dell’infanzia, lo stesso posto in cui ha scritto le sue prime canzoni, tutte desiderio e languore. Oggi come allora, l’amore è una forza divorante nella sua musica, ma ora ne scrive con una comprensione più profonda del suo potenziale distruttivo e con la volontà di articolarlo in termini sorprendenti. Romanticismo e alcol sono le sue due tossine, ciascuna che va amplificando gli effetti dannosi dell’altra, ma in questo scenario, Ben Franklin è un po’ diversa, è un highlight contagioso che ti piglia col suo robusto groove di basso e la deliziosa ironia di “Got money/I don’t care about sex”, con il tocco finale della voce di Katie Crutchfield nel ritornello.
APERITIVO: ‘DOWNTOWN’ DEI FOSTER THE PEOPLE
Con la riedizione del decimo anniversario dell’album di debutto dei Foster the People, Torches, i fan sono stati finalmente accolti da Downtown, una delle canzoni più oscure e intense della prima discografia della band. La traccia per pianoforte e synth presenta i Foster che cantano appassionatamente della perdita di un amico a causa di decisioni sbagliate; il pezzo si trasforma in un crescendo di potenza verso, e lascia un avvertimento agli ascoltatori: «Ci sono delle conseguenze, per le vostre azioni».
PRIMA DI ANDARE A DORMIRE: ‘FE SAMAA’ DI BAWRUT O ‘SOTTOPELLE’ DI ARSSALENDO
Il goriziano Borut Viola, in arte Bawrut, del suo nuovo disco In The Middle, ha detto che «la musica dance, sia house che techno, ha ormai quaranta anni. Proviamo a dire qualcosa con della musica, seppur essenzialmente strumentale, perché a quarant’anni si può anche cominciare a dire qualcosa». E lui lo sa fare molto bene, pure, o forse anche meglio, senza al suo fianco nomi più mainstream come Liberato o Cosmo. In questa traccia che sa di Mediterraneo, usa una delle lingue più musicali al mondo, che è l’arabo, che ho invano provato a studiare, ma anche senza capire una sola parola, c’è un’atmosfera, e quindi un messaggio, ad avvolgerci e farci connettere con un artista speciale. Poche volte, i comunicati stampa sono fatti così bene, come nel caso di Arssalendo, e per questa ragione sovvertirò uno dei miei princìpi assoluti di non fare copia-incolla, per lasciare, invece, spazio a chi ha curato la presentazione di questa traccia: «Esterno notte, due persone litigano: si rinfacciano e incolpano a vicenda, ma, stringendosi le mani, sperano di poter risanare il male – “Dimmi cosa ti da, tira un sasso e poi basta, nascondi le mani tra le mie, tanto tutto si cancella”. Botte di basse frequenze e veloci chop vocali segnano un cambio scenario. Il primo ritornello è una porta sul microcosmo dell’io: affetto da vittimismo patologico, tenta di deresponsabilizzarsi dagli sbagli compiuti. Si mente, non capacitandosi di come piccole cose possano distruggere un rapporto – “Ad ogni parola corrisponde un gesto, a volte mi perdo nel senso”. Colpi di kick irregolari e pitch di voce femminile a mo’ di nenia vengono sottomessi da suoni di pianoforte, come a simulare un dissidio interiore in cui il carnefice diventa vittima di se stesso. La somma che segue, tra 808 e synth, è una rissa in cui denti rotti, lividi e sangue sono rimpiazzati da vittimismo e razionalizzazione – “Ad ogni parola corrisponde un gesto, a volte mi perdo nel sesso”».
BONUS INSONNIA: ‘INTERI ORA’ DI BO!LED
Per un’insonnia irrequieta ma in cerca di ispirazione, ecco il risultato della fusione tra il producer DayKoda e parte dello Studio Murena, che fanno da sempre la musica, che oggi è il suono del momento. C’è il jazz contemporaneo mischiato all’elettronica, c’è la classe unita alla passione e al furore sacro dell’arte. C’è molto stile in tutto il disco, che si chiama Different, Us e che è notturno, newyorkese ma anche londinese, contaminato e affascinante.
Nella foto in alto: Lucia Manca,foto di Martina Loila
La playlist 12H di WU curata da Carlotta la trovate anche su Spotify, qui sotto il player
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