JEN CARDINI – OLTRE I GENERI
La musica come spazio di libertà e scoperta: una conversazione con l’artista francese in vista del suo set al Sónar Lisboa
di Dario Buzzacchi
Per oltre trent’anni, Jen Cardini ha prodotto e mixato della musica bellissima: ma soprattutto, ha saputo custodire e amplificare il lato comunitario della club culture, creando luoghi e momenti in cui gli outsider potessero sentirsi finalmente a casa.
Dj, producer e founder delle label Correspondant e Dischi, Jen è una figura chiave – e spesso sottovalutata – della scena elettronica europea. Nel suo party concept “Nightclubbing”, definito come “una dichiarazione d’amore alla cultura del club e alla sua diversità”, c’è tutta la poetica che da sempre guida l’artista: uno sguardo che non si piega alle logiche del mercato, e che proprio per questo continua a essere necessario.
Nonostante la sua passione per situazioni più intime e underground, Jen è una presenza fissa nei principali club e festival di tutto il mondo; in attesa di ascoltarla dal vivo il prossimo weekend alla terza edizione di Sònar a Lisbona, questo è quello che ci ha raccontato.
Sei dietro ai piatti da oltre trent’anni: cosa continua ad appassionarti del DJing?
Scoprire nuovi artisti, conoscere nuove persone, esplorare nuovi luoghi: non c’è davvero nulla che possa competere con questo. Qualche settimana fa ho suonato per la prima volta a San José ed è stata un’esperienza incredibile. Al di là della musica, ho avuto l’opportunità di entrare in contatto con la comunità locale, scambiare idee e intavolare conversazioni non solo legate al clubbing, ma anche alla scena elettronica e queer della Costa Rica. Quali sono le sfide, cosa li entusiasma, come sta evolvendo la loro community: è stato ispirazionale e profondamente toccante – e sono cose come questa che mi spingono ad andare avanti.
Nei tuoi set, spazi da un genere all’altro con disinvoltura. Qual è il filo conduttore della tua musica?
Alla fine, per me è tutto un gioco di arpeggi e pad. È un po’ il mio marchio di fabbrica! Ma, in realtà, amo e suono ogni tipo di musica: non ho mai amato la suddivisione in generi, e le etichette in generale. Se un brano mi commuove, mi dà gioia, mi travolge con la sua energia – anche se è un po’ kitsch – lo suono. Il momento è tutto. Puoi registrarlo, filmarlo, ma non catturerai mai davvero l’emozione che si è vissuta. Quindi perché limitarsi? Come quella volta in cui Young Marco ha chiuso un festival ad agosto con “Last Christmas”, o quando ho messo “Temple of Love” dei Sisters of Mercy come ultimo brano al Panorama. Per me è un grosso sì!
Con le tue label, Correspondant e DISCHI, cosa ti colpisce davvero in un artista?
Quando riesco a sentire la loro voce autentica, anche se grezza, imperfetta, ma sincera. Ricevo tante demo in cui si percepisce chiaramente il tentativo di aderire alla tendenza del momento o all’estetica del DJ del momento. Ma preferisco di gran lunga qualcosa di ancora acerbo ma vero. È lì che nasce la magia. Partire da quell’essenza, dare feedback, ascoltare con attenzione e lavorare insieme per costruire qualcosa di unico.
Il clubbing è da sempre rifugio per outsider. Pensi che quello spirito sia ancora vivo oggi?
Sì, credo che quello spirito esista ancora, ma soprattutto nei piccoli club e negli spazi queer – che rappresentano il vero battito del cuore della nostra scena. I nuovi linguaggi musicali, i talenti emergenti, tutto parte da lì. È lì che si forma la controcultura. Vorrei che i grandi festival capissero l’importanza vitale di questi luoghi e li sostenessero davvero. Negli ultimi mesi sto lavorando a un mio format di serate e a un festival, e proprio questo pensiero è stato il punto di partenza.
Hai suonato ovunque: dai bar queer più intimi ai festival più prestigiosi. Dove senti la connessione più forte con il pubblico?
Nei club piccoli, ovviamente! Ma anche nei festival più grandi l’energia può essere travolgente – è tutta un’altra dimensione, ed è altrettanto magica.
Ci sono progetti o sonorità inaspettate che stai esplorando in questo periodo?
In questo momento mi sto lasciando ispirare da tutto ciò che è percussivo, in particolare i loop di batteria. Sono spesso considerati “tools” perché arricchiscono un set in modo incredibile. Mi sto orientando verso tracce che non fanno affidamento su drop o break: ho la sensazione che siamo arrivati a un punto di saturazione su quel fronte.
C’è stato un momento, sulla pista o in consolle, che ti ha cambiato la prospettiva sulla musica?
Come raver, assolutamente sì: il set di Blood of Aza al Primavera. Ha completamente ribaltato la visione che avevo del DJing, spingendomi a osare di più. Come dj, direi che ci sono più momenti. Ma il mio closing set al Basement Studio di New York ancora oggi mi fa venire i brividi.
Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo set a Sónar Lisboa?
Amo Lisbona: trasferirmi qui è stata una delle scelte migliori. L’energia, le persone – tutto è stato incredibilmente accogliente: e non vedo l’ora di restituire tutto l’amore che ho ricevuto. E, nel mio linguaggio musicale, questo significa pianoforti epici, e anthem da brividi.
Sónar riunisce ogni anno artisti straordinari. Con chi ti piacerebbe collaborare, della lineup di quest’anno?
Posso dirti che non vedo l’ora di sentire Bashkka e Ogazon. E quando ci saranno i Traxtraxtrax, puoi star sicuro di vedermi in mezzo al dancefloor!
Nelle foto: Jen Cardini. Credits: Raye Kreidel