RIOS VOADORES
I Rios Voadores sono fiumi che non scorrono sulla terra, ma hanno preso la via del cielo. Sono fatti di nuvole così cariche che, fluendo dall’Amazzonia, si trasformano in piogge in regioni lontane dall’equatore, dove portano acqua e vita. Essenziali per l’equilibrio atmosferico, sono anche il tema di una mostra a Losanna
di Marilena Roncarà
Per parlarvi dei Rios Voadores cominciamo dando i numeri. A salvarci ci pensa poi la fonte (il WWF): l’Amazzonia da sola rappresenta il 40% degli alberi di tutto il pianeta, nel suo bacino confluisce circa il 20% di acqua dolce del mondo e sono oltre 480 le differenti specie di alberi contenute in un singolo ettaro di foresta. E, proprio dal cuore dell’Amazzonia, si solleva anche un grandissimo fiume di vapore acqueo che, scorrendo intorno al pianeta, diffonde umidità e preziosissima acqua dolce sotto forma di correnti di nuvole e piogge, essenziali per la regolazione del ciclo vitale del pianeta e per l’equilibrio atmosferico. È il fenomeno dei “fiumi volanti”, i Rios Voadores, a cui la fondazione Aquatis di Losanna dedica una mostra aperta fino al 28 giugno prossimo, un’occasione unica per saperne di più su questi corsi d’acqua non visibili dalla Terra e rilevati per la prima volta dalla Stazione Spaziale Internazionale nel gennaio del 2014.
Il fenomeno dei Rios Voadores è noto: un albero assorbe anidride carbonica e rilascia ossigeno, che in parte viene riassorbito dalla pianta stessa per la fotosintesi. Quello che non è così noto è che un albero con una chioma di circa 20 metri rilascia nell’atmosfera fino a 1.000 litri di acqua al giorno. Quindi, se allo stato attuale la superficie della foresta amazzonica è stimata in circa 5,5 milioni di chilometri quadrati, è possibile quantificare l’acqua rilasciata dall’evapotraspirazione degli alberi in 20 miliardi di tonnellate in un solo giorno. Il tutto attraverso una miriade di goccioline, ovvero acqua immessa nuovamente nell’atmosfera, ma ora purificata dagli elementi tossici e potenzialmente inquinanti.
Se questo fosse un fiume normale sarebbe il più grande al mondo, anche più del suo gemello che scorre sotto: il Rio delle Amazzoni. Ma si tratta invece di un fiume che si muove in volo sopra la Terra portando la pioggia in dono. Per capire al meglio questo fenomeno e raccogliere ulteriori dati, proprio nel cuore dell’Amazzonia, a circa 150 chilometri da Manaus è stata eretta una torre altissima, la più alta di tutto il Sudamerica: la ATTO (Amazon Tall Tower Observatory) che, con i suoi 325 metri consente ai ricercatori di immergersi letteralmente in questo fiume d’acqua.
Un contribuito importante è anche quello dato dagli esploratori Gerard e Margi Moss, che nel 2003 hanno trasformato un idrovolante in un laboratorio di studio per la spedizione scientifica “Progetto Acqua del Brasile”, salvo poi lanciare nel 2007, grazie anche all’incontro con il biologo brasiliano Antonio Nobre, il progetto Rios Voadores, da allora e per circa 10 anni tema di lavoro di una squadra scientifica. Sui loro dati si basa proprio la mostra di Losanna che, oltre a mostrarci come le foreste possano aiutarci a combattere il cambiamento climatico, racconta le avventure umane e scientifiche che hanno portato alla comprensione di questo fenomeno così poco conosciuto e tuttavia più vitale che mai.
Recenti scoperte di biologi e botanici hanno inoltre dimostrato come ogni anno milioni di tonnellate di sabbia provenienti dai deserti africani finiscano proprio in Amazzonia, fertilizzandone il suolo grazie ai minuscoli scheletri delle diatomee, piccolissimi organismi marini (in origine parte del plancton) ricchissimi di fosforo, azoto e potassio. Succede quindi che il deserto più arido del pianeta fertilizzi la foresta più lussureggiante al mondo, la quale, in cambio, grazie a fotosintesi e respirazione fogliare, immette nell’atmosfera incredibili quantità di vapore acqueo pronte a trasformarsi in pioggia. Un meccanismo capace di influenzare in modo determinante il ciclo dell’acqua a livello planetario, regolandone la disponibilità: si direbbe un ciclo benefico senza fine, almeno fino a quando la foresta resiste.
E qui arrivano le note dolenti, dal momento che dati WWF confermano che dal 1988 al 2017 abbiamo perso una superficie di foresta tropicale equivalente a oltre tre campi da calcio al minuto. Non a caso è dello scorso agosto la dichiarazione delle organizzazioni di coordinamento dei popoli indigeni dell’Amazzonia circa lo stato di catastrofe ambientale, che ancor di più ci segnala la necessità di fare uno sforzo per una maggiore informazione e consapevolezza tout court della questione. Oltre ad attivare concrete azioni di riforestazione, bisognerebbe anche pensare a una revisione del nostro ciclo produttivo, del nostro stile di vita, di quello che in- tendiamo pronunciando la parola “benessere”. Perché, come pure il deserto del Sahara e l’Amazzonia (attraverso i Rios Voadores) ci insegnano, siamo tutti molto più interconnessi di quello che pensiamo.
Articolo pubblicato su WU 99 (dicembre 2019 – gennaio 2020).
Dello stesso autore
Marilena Roncarà
CONTENTS | 3 Febbraio 2021
IN VIAGGIO TRA LE INDUSTRIE
STYLE | 19 Novembre 2020
CARO ELIO
CONTENTS | 6 Novembre 2020
VENTO A FAVORE
INTERVIEWS | 21 Luglio 2020
CATHY LA TORRE – ATTIVISTA DI NATURA
INTERVIEWS | 22 Ottobre 2019
TLON – FILOSOFIA “APPLICATA”