LUCA RAVENNA – QUANDO RIDERE È UNA COSA SERIA
Luca Ravenna è un comico milanese che ha scelto di vivere a Roma: basterebbe già questo per fare ridere, ma lui non si è accontentato. A WU racconta il behind the scenes di quello che non si sente, ancora oggi, dopo anni di spettacoli, di chiamare il suo mestiere
di Giada Biaggi
Chi sa ridere è padrone del mondo, scriveva il buon Giacomo Leopardi. A Luca Ravenna, anche se non lo vuole ammettere, basta essere il “king” di Milano e, forse, anche un po’ di Trastevere, visto che ha scelto Roma come base. Diplomatosi al Centro Sperimentale di Cinematografia, ha iniziato la sua carriera come autore televisivo lavorando in trasmissioni come Quelli che il calcio e ha collaborato con il collettivo The Pills, ma la cosa che vuole fare da grande è proprio stare su un palco, da solo, con un microfono, annegando in un mare di risate. Eh, che dire, ognuno ha le sue passioni. Abbiamo fermato un attimo Luca Ravenna per fare due chiacchiere e ci siamo fatti raccontare cosa voglia dire davvero salire su un palco e raccontare le proprie debolezze e idiosincrasie travestendosi da “Woody Allen meneghino”. Il tutto cercando di restare seri, ma, come immaginavamo, è stato molto difficile.
Quando hai capito che da grande avresti voluto fare ridere? premessa doverosa: non vale rispondere con una battuta…
Un mio amico dopo la maturità mi ha chiesto: «Cosa vuoi fare da grande, qual è il tuo sogno?». Ho risposto: «Voglio farmi pagare per dire minchiate». Finché dura, direi, che mi va benissimo.
Un comico si sente mai davvero grande?
Secondo me fare il comico è un modo molto divertente per restare sempre un po’ un bambino, però lo si fa sul serio. Diciamo che “si mette a sistema” quella che generalmente viene chiamata stupidera infantile.
Se definissero Luca Ravenna il “Woody Allen meneghino”, cosa ti accadrebbe tornato a Roma?
Mi chiederebbero gentilmente di non avere a che fare con le loro eventuali figlie adottive.
Ah, cavolo, mi ero dimenticata di ricordarti di non rispondere con una battuta. Continuiamo: in quanto comico soffri mai il fatto di non venire preso sul serio?
In generale chi fa il comico è piuttosto permaloso, quindi basto io a prendermi sul serio. Poi per fortuna ho intorno persone che mi ricordano che è una cosa molto divertente quella che faccio e in generale fingo di avere una spiccata autoironia.
Perché in Italia la scena comica ci ha messo così tanto per diventare hype?
In realtà credo che la scena comica sia sempre stata hype in Italia. Alle persone piace ridere da sempre perché, diciamocelo, è meglio che piangere. Oggi, però, si sta assistendo a un cambio di linguaggio piuttosto marcato, piace il genere dei monologhisti all’americana. Quindi, let’s go.
Sediamoci sul lettino di Freud per un attimo: saper far ridere è davvero terapeutico o complica solo le cose alla fine?
È molto terapeutico perché ti fa sentire meno solo. Se lo si fa insieme, in una bella sala buia, ascoltando una persona che prova a immolarsi sul palco, allora diventa un’esperienza indimenticabile. Credo che la comicità sia un’esperienza sociale che ti fa godere perché la fai insieme agli altri.
Uno dei tuoi sketch di punta è l’imitazione alla Dario Fo di tuo padre. Scusa l’exploit marzulliano della domanda… Possiamo dire che la vita sia un mistero buffo?
Penso che sia proprio una bella definizione. È un mistero, perché non sai quando comincia né tantomeno quando finisce; è buffa, perché non si spiega e questo è senz’altro parte del suo bello. Madonna che risposta alla Marzullo che ho dato (ride, NdR). Comunque mio padre non parla proprio così. Io non so fare imitazioni, quella che faccio di lui è una caricatura e, a mio parere, fa molto ridere perché definisce bene l’incomunicabilità fra padre e figlio. In realtà mio padre lo comprendo benissimo e mi piace essere convinto di assomigliargli. Lui è senz’altro il “king della comedy” nella nostra famiglia.
C’è qualche rituale particolare che hai prima di salire sul palco? O appena hai finito il tuo monologo?
Sì, ce ne sono alcuni. Devo sempre essere io a portare l’acqua sul palco, la apro sempre con la stessa mano e mi alzo le maniche della felpa mentre faccio lo spettacolo. Lo faccio con tutte le felpe tranne una, quella che tengo per le grandi occasioni. Una volta non volevo sfiorarmi con gli altri comici, se mi toccavano la spalla o urtavo fortuitamente qualcuno nel camerino – o green room, per dirla con hype – stavo davvero male.
Intervista pubblicata su WU 100 (febbraio – marzo 2020). Segui Giada su Instagram
La foto di Luca Ravenna in alto è di Liliana Ricci
Dello stesso autore
Giada Biaggi
STYLE | 14 Ottobre 2021
LIBERAL YOUTH MINISTRY – STREETWEAR COUTURE-FILOSOFICO
STYLE | 8 Aprile 2021
BRAND NEW BRAND – GENTILE MILANO
STYLE | 9 Marzo 2021
BRAND NEW BRAND – GROOVY GAL
STYLE | 28 Gennaio 2021
BRAND NEW BRAND – EDOARDO GALLORINI
CONTENTS | 28 Dicembre 2020
L’ARTE CHE VERRÀ