CAMERA WORK – FRANCIS DELACROIX
‘Camera Work’ è una serie di interviste ai fotografi italiani più attivi in ambito musicale: nella prima puntata incontriamo Francis Delacroix
di Futura 1993
Francis Delacroix è un giovane fotografo italiano, classe 1995, che in pochissimo tempo è riuscito a ritagliarsi il suo spazio nell’intersezione tra musica, moda e fotografia.
Dopo un periodo trascorso negli Stati Uniti al seguito del collettivo Odd Future, Francis ha deciso di dedicarsi a tempo pieno alla fotografia e di seguire con particolare attenzione per la scena trap. Ha iniziato con i backstage e i ritratti, perfezionandosi nel corso del tempo, e ha poi intrapreso un percorso insieme agli FSK Satellite. Ha curato la parte visiva dei loro due album, esprimendo pienamente il suo stile in bilico tra glam e decadenza, fashion e punk.
Dentro questi lavori ci sono le tante reference di Francis, che vanno da The Great Rock’n’Roll Swindle dei Sex Pistols a Mario Testino. Negli ultimi tempi si è dedicato maggiormente ai ritratti di taglio fashion, firmando le cover di Soccer Bible con protagonista Moise Kean e de L’Officiel Italia insieme a Chiara Scelsi, aggiungendo esperienze a quello che è il suo percorso di crescita multidisciplinare.
Per addentrarci a pieno nel processo artistico di Francis Delacroix abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui, conversando tra un pezzo e l’altro dei Pulp.
Come ti sei avvicinato alla fotografia e cosa ti ha folgorato in tal senso?
Mi sono avvicinato alla fotografia tardi, intorno ai 18/19 anni. Mi aveva subito colpito come permettesse di catturare una parte di una persona, non tanto una determinata azione in un determinato tempo, ma più quello che concerne la sua aura, il suo appeal. La cosa più affascinante è che questa aura può essere sia autentica, sia una fabbricazione. Per me l’obiettivo nella ritrattistica è saper rappresentare l’essenza di un soggetto mentre si costruisce su di lui una elaborata finzione, tramite vestiti, oggetti o scenografie.
Cosa ti piace di più del lavoro in ambito musicale? Cerchi sempre di portare al loro interno un po’ del tuo immaginario, anche di natura più fashion?
Mi piace il fatto di lavorare con persone interessanti. I motivi sono principalmente due: il primo è puramente personale, perché mi piace conoscere sempre nuove persone; il secondo è invece professionale, perché l’attitudine e la personalità di un soggetto influiscono pesantemente sulla qualità di un ritratto e questo accade in maniera facile con gli artisti musicali. Se il soggetto è una persona poco particolare, con la quale non riesco a stringere un legame, è difficile ottenere una foto veramente buona. L’importante è che il soggetto riesca a comunicarmi quello che è una volta di fronte alla camera, anche se arriva in studio con i postumi di una serata. Non mi interessa la perfezione, voglio che mi colpisca con qualcosa. Cerco sempre di portare qualcosa del mio immaginario, per me quello è quello che faccio. Reference musicali o fashion sono un tutt’uno, non le distinguo troppo nella mia testa.
A tuo parere, che ruolo ha assunto oggi il processo fotografico nella narrazione di un progetto musicale?
Secondo me ha molto meno peso oggi rispetto ad una volta, i fotografi stanno diventando meno determinanti. Le foto saranno sempre utili in quanto media, ma rispetto a un tempo la figura del fotografo è stata enormemente svalutata e desidero che questo atteggiamento cambi, radicalmente.
Hai seguito sia la vita del dietro le quinte di famosi collettivi, sia progetti di natura diversa come art director. Immagino siano due mondi nettamente separati. Cosa ti hanno lasciato entrambe le esperienze, dal punto di vista umano e dal punto di vista professionale?
Secondo me non sono due mondi separati, anzi, si tratta sempre di avere un canvas bianco davanti e pensare come riempirlo. Che sia un ritratto, il progetto di un disco, un dipinto o una sceneggiatura, quello che si fa è metterci le proprie idee, le proprie reference usando il proprio linguaggio, in questo caso visivo. Non posso dire di aver avuto troppa esperienza come art director, visto che non l’ho fatto su così tanti progetti, ma è stato di sicuro piacevole e interessante. Per quanto riguarda la parte di fotografia di backstage, invece, è stato magnifico. Ormai è un mondo che non mi appartiene più, ma tutte le persone e le situazioni vissute e catturate saranno per sempre una fonte di ispirazione. Essere nel mezzo di qualcosa piuttosto che osservarlo da fuori è la cosa più importante che ci sia.
Hai recentemente realizzato la cover de “L’Officiel Italia” con Chiara Scelsi come protagonista: ti approcci diversamente rispetto alla creazione di cover musicali oppure per te non c’è separazione fra i due mondi?
C’è separazione tra i due mondi, ma l’ideale per me è camminare sulla linea di confine. Trovo nel portrait la dimensione perfetta in cui operare ed esprimermi, in quanto posso valorizzare un outfit e allo stesso tempo concentrarmi sull’espressività del soggetto, su quello che comunica e sul catturare il giusto momento. I miei lavori non sono particolarmente complessi, non ci sono tanti props, complicati schemi luci o location incredibili. Quello che mi piace della fotografia sono le persone, e come comunicare qualcosa tramite loro. Ogni soggetto può trasmettere qualcosa in due maniere: in maniera personale, tramite quello che si sa di lui, se è una figura conosciuta; oppure tramite un’impressione, lasciando allo spettatore immaginare che tipo di persona sia. Essenzialmente, questi sono i due binari su cui mi muovo, indipendentemente dalla destinazione d’uso.
Essenzialmente scatti in analogico: come è avvenuto il passaggio tra i vari formati da te usati nel corso del tempo?
Ho iniziato a scattare con delle istantanee Fujifilm, poi sono passato al 35mm e infine al medio formato con Hasselblad e Pentax. Ultimamente uso Sinar per quanto riguarda il grande formato.
Quanto è importante la fase preparatoria di uno shooting? Come avviene solitamente una tua giornata media di brainstorming con i soggetti coinvolti?
Non sono un tipo da grandi preparazioni. L’importante per me, quando si scatta un portrait, è capire che cosa si vuole ottenere dal soggetto e come ottenerlo. Si tratta quindi di creare una situazione, non di creare uno scenario. Condizioni sterili o perfettamente controllate non rendono uno shooting migliore, ma la spontaneità e la capacità di coglierla sì.
Quali sono i fotografi da cui trai maggiormente ispirazione?
L’ispirazione mi viene da molte fonti, spesso dai film. In generale, non posso considerarmi un grande studioso della storia della fotografia, ma ogni tanto qualche autore mi colpisce molto e tendo a idolatrarlo, come per esempio David Bailey, Mick Rock, Francesco Scavullo o Mark Selinger.
E per quanto riguarda la cultura pop? Quali prodotti visivi o figure chiave sono state indispensabili nel tuo percorso?
La trovo indispensabile per me, a livello di ispirazione. Film, canzoni, grafiche, cover, poster, fanno tutto parte di questo melting pot che mi influenza e ispira i miei progetti. Di prodotti o figure indispensabili ne ho molte, posso elencare una lista mista di miei preferiti: Andy Warhol, Beatles, Patti Smith, Debbie Harry, Pulp, Pete Doherty, Hedi Slimane, Chloe Sevigny, i Ramones & Phil Spector, Harmony Korine, Alicia Silverstone, Roman Polanski, Sofia Coppola, il Leonardo di Caprio del 1996.
Quanto è importante l’utilizzo dei canali social, e in particolare Instagram, per promuovere il proprio lavoro e per creare contatti di collaborazione?
Secondo me Instagram può essere un ottimo mezzo per promuovere i propri lavori e può benissimo adeguarsi a essere una specie di portfolio online, però non deve essere assolutamente considerato la destinazione finale del processo creativo di un artista. Deve limitarsi ad essere un mezzo e non un fine.
Hai un sogno nel cassetto di natura professionale che vorresti realizzare? Sempre se non sei scaramantico…
Eh purtroppo sono scaramantico, non te lo posso dire (ride, NdR).
Chiudiamo chiedendoti di raccontarci quali sono i tre scatti a tuo parere più iconici nella storia della musica.
Eh, mi pare un compito un po’ difficile, quasi impossibile, però ti posso dire i miei preferiti: David Bowie in un completo giallo senape di Freddie Burretti e un paio di forbici in mano, scattato da Terry O’ Neill; Fiona Apple in armatura nella metropolitana di New York, scattata da Joe McNally; i Rolling Stones in maschere e props, scattati in studio da David Bailey.
Testo di Filippo Duò
Nella foto in alto: Francis Delacroix. Tutte le foto nella pagina sono sue
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