I LIBRI DI WU – QUANDO ABBIAMO SMESSO DI CAPIRE IL MONDO, BENJAMÍN LABATUT
Nove narrazioni scientifiche che pongono alla coscienza del lettore la profonda macerazione ontologica dello scienziato dinanzi a sé stesso e alla sue scoperte
di Orazio Labbate
Dotte e inquietanti sono le scoperte scientifiche attorno a cui orbitano le concentrate e singolari narrazioni di Quando abbiamo smesso di capire il mondo di Benjamín Labatut (Adelphi). Con crudeltà intelligentemente spietata – ricorda per l’ossessività tematica Pi greco, pellicola di Darren Aronofsky – vengono infatti tracciate le vite di personalità geniali e luciferine, ma dalle esistenze umane e tragiche. Tutto ciò grazie, soprattutto, all’inesauribile pathos cerimoniale dei toni adottati che infuriano, spesso, in modo sinistro e passionale tra le pagine – senza cadere nell’enciclopedismo – fino a portare il lettore a incuriosirsi con notevole e famelica attenzione.
È il caso del primo dei racconti dal titolo Blu di Prussia, in cui si affronta la rocambolesca e infernale vita del famigerato colore – che dà il titolo alla novella – dall’aura e dalle sostanze maledette. Esso è nato grazie al giovane alchimista Johann Konrad Dippel di Darmstadt, nell’ovest della Germania, il quale credendo di aver creato l’elisir di lunga vita si trova invece a partorire un liquido vischioso simile al catrame utilizzato poi dai tedeschi nella seconda guerra mondiale. Da uno dei componenti dell’elisir di Dippel è prodotto il blu che compare nella Notte stellata di van Gogh.
“Il blu che compare […] anche nell’uniforme della fanteria dell’esercito prussiano, come se la struttura chimica del colore portasse in eredità la violenza, l’ombra, la macchia originaria degli esperimenti dell’alchimista che faceva a pezzi animali vivi, assemblava i loro resti in orribili chimere e tentava di rianimarli con scariche elettriche. Mostri che ispirarono a Mary Shelley il suo capolavoro, ‘Frankenstein’, o ‘Il moderno Prometeo’.
Nondimeno invaso da una latente esotericità, e da una rovente metafisica che avviluppa i fatti storici, è un secondo racconto, La singolarità di Schwarzschild. Narra della prima soluzione esatta alle equazioni della teoria della relatività generale, in grado di descrivere con precisione «il modo in cui la massa di una stella deforma lo spazio e il tempo circostanti».
Ma l’intreccio imbastito da Labatut non è meramente cronistico – e lo fa per tutte le trame delle narrazioni scientifiche – è invero una appassionante e mirabile registrazione intimistica del conflitto ontologico dell’uomo di scienza contro le bizzarrie del cosmo e della natura. Labatut ci mostra le macerazioni di Karl Schwarzschild, da bambino fino all’età adulta, dinanzi a quel “delirio metafisico” che è la singolarità, ove le nozioni di spazio e tempo perdono tutti i loro immanenti significati.
“Si rese conto, con sommo orrore, che se la singolarità fosse realmente esistita sarebbe durata sino alla fine dell’universo. Le sue condizioni ideali la rendevano un oggetto eterno che non cresceva né rimpiccioliva, ma rimaneva sempre uguale a se stesso.”
VOTO: 8/10
Quando abbiamo smesso di capire il mondo
autore: Benjamín Labatut
editore: Adelphi
pagine: 180
prezzo: euro 18
Il pezzo su ‘La luna di miele di Mrs. Ripley’ di Shirley Jackson lo trovi qui
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