AURORA ZALTIERI – SORRY MUMMY
Nato come progetto di tesi e, allo stesso tempo, ‘lettera di scuse’ a sua mamma, ‘Sorry Mummy’ di Aurora Zaltieri è un progetto editoriale che immortala un’idea di bellezza che è propria dell’autrice ma che potremmo estendere anche alla sua generazione. Dopo la prima uscita, potrebbe diventare anche qualcosa di diverso di un prodotto fatto di carta
di Filippo Duò
Aurora Zaltieri è una giovane stylist che ha collaborato con numerosi brand e artisti come Mecna, Mobrici, Davide Shorty e Memento, dando forma a uno stile personale e riconoscibile. Ha da poco presentato al pubblico Sorry Mummy, un progetto visivo e creativo out fo the box, in cui ricerca una via per esprimere la propria interiorità e le proprie passioni più profonde.
Nato più di due anni fa come tesi di laurea, Sorry Mummy si è poi evoluto in un tributo ai grandi miti che hanno costituito il substrato di influenze di Aurora. L’obiettivo è quello di rivolgersi a sua madre, ma non solo: Aurora qui ricerca di un dialogo volto al racconto e alla descrizione di un mondo non inserito nei canoni tipici della bellezza. Sorry Mummy si configura quindi come un progetto generazionale in grado di essere assimilabile a un’installazione artistica e a una fanzine allo stesso tempo. Un quadro tra astrazione e contemporaneità che cambia ogni volta, rimanendo se stesso, tra Chlöè Sevigny e Nan Goldin, tra marginalità e sessualità, tra Larry Clark e Gus Van Sant.
Sorry Mummy è alla sua Issue 0, è il primo embrione di quello che potrà diventare. Abbiamo fatto così una chiacchierata con Aurora Zaltieri per approfondire e addentrarci in un’idea di diversità che si spinge fuori dalle sue stesse pagine con il fine di cercare, nella moda come nell’arte, una bellezza non convenzionale.
Raccontami come è nato il progetto.
All’inizio aveva completamente un’altra veste. Tre anni fa studiavo alla Central Saint Martins di Londra e ci diedero un progetto universitario legato alla comunicazione. Iniziai a fare ricerche visive nella loro biblioteca, trovando reference molto sconnesse e distanti tra loro. Ciò ho non mi destò preoccupazione, anzi, mi permise di dare vita a un immaginario eterogeneo ma comunque unito da un filo conduttore coerente: il fatto che tali cose piacessero a me, ma non a mia madre. Lei, infatti, ha sempre cercato di trasmettermi la cultura del “bello” e della moda, mentre io, all’opposto, ho scavato a fondo in ciò che bello non era, almeno per il gusto comune: da un certo tipo di sessualità a una quotidianità molto cruda e intensa. Così è nato Sorry Mummy.
Poi come si è evoluto?
L’anno dopo, tornata a Milano per concludere l’università, arrivò il momento di scegliere la tesi e decisi di proseguire questa idea dandole una struttura più concreta. Sono riuscita a fare così una ricerca più sostanziosa, anche grazie all’affiancamento di un professore. Nonostante questo, non l’ho mai vissuta come una tesi di laurea, ma soprattutto come un progetto personale dal più ampio respiro.
In questi due anni ne hai parlato comunque poco, come mai?
Più che altro all’inizio l’ho vissuto come uno scrigno in cui contenere i miei artisti del cuore, coloro che più mi hanno formato e ispirato negli anni. Nel tempo ho cercato la formula migliore per raccontarlo, senza mai convincermi del tutto. Ora sento che è arrivato il momento.
Quali sono state le tue principali ispirazioni visive nel realizzarla?
Mi hanno sempre affascinato le impaginazioni particolari come quella di “Double”. A lei si aggiunge questa rivista che ho scoperto a Londra, che ritengo essere la vera ispirazione alla base del progetto. Parlo di “Middle Plane Magazine”, i cui contenuti spesso non seguono un filo conduttore concettuale, sembrano quasi essere giustapposti senza molto senso. Questa componente distorta e punk ha catturato la mia attenzione, e ho di conseguenza riportato tutto questo in Sorry Mummy.
Quanto importante per te è assorbire reference quotidiane per essere creativa?
Tantissimo. Ogni secondo che ho libero cerco di passarlo su Instagram, ma non per guardare le storie degli amici, bensì per farmi influenzare. Quando devo fare un progetto però, spesso, cerco di annullare tutto e creare una tabula rasa per creare qualcosa di innovativo e originale. Ho un approccio da bambina molto ingenua, cerco di essere una spugna che assorbe cose per rielaborarle. Questa componente infantile ritorna nel video di presentazione, in cui chiedo scusa a mia madre. In ogni caso, per tornare alle reference, mi rendo conto che una certa estetica rimane costante nella mia quotidianità. Per esempio l’ho ritrovata in We Are Who We Are, serie che ho adorato.
Approfondiamo alcuni dei protagonisti che hai inserito, tra questi Harmony Korine. Cosa ti piace di lui?
Harmony Korine è uno dei miei massimi ispiratori. Di lui adoro in particolare Gummo, che tra l’altro ho visto in una maniera assurda. Volevo trovarlo a tutti i costi online, ma l’unica versione reperibile era su YouTube, con dimensioni di ¼ di frame, piccolissimo, in un’altra lingua, non capivo niente (ride, NdR). Ho visto i vari videoclip che ha fatto, ennesime conferme di un occhio attento alla realtà più profonda, alle contraddizioni, alla “sporcizia”.
Nan Goldin mi sembra la rappresentante perfetta per l’universo che hai cercato di raccontare.
Nan Goldin, a conti fatti, non l’ho trattata in modo così ampio, questo perché era diventata un po’ inflazionata, vista anche la popolarità di una recente mostra in Triennale a Milano. Rimane comunque una mia assoluta musa. Ho sempre ammirato la sua capacità di mettere in scena con efficacia e spudoratezza la crudezza delle situazioni che si trovava ad immortalare. Pur trovandosi in contesti umanamente difficili non si è mai tirata indietro: ha fissato su pellicola scene di vita particolarmente intense. Trovava infatti una forte sinergia con le persone, non è facile raccontare come faceva lei. Ammiro profondamente anche la narrazione visiva che fa di se stessa, molto vera e non programmata, coraggiosa e avanti per i tempi.
E Gus Van Sant?
Un altro mio mito. Guardando tutto con occhio da stylist, i suoi film sono sempre stati magici anche da questo punto di vista. Anche lui si è espresso con un’impostazione estremamente vera. Racconta la verità senza simularla, senza sovrastrutture, in maniera molto chiara e limpida. In lui come negli altri nomi citati emergono tali peculiarità, ognuno con il suo carattere: chi più sporco, chi più plain. Il punto focale è la descrizione della realtà senza filtri. Le figure che ho inserito incarnano varie declinazioni dello stesso approccio creativo e visivo.
Hai fatto ricerca anche tramite interviste a creativi: come li hai scelti?
Tra gli artisti presenti alcuni erano purtroppo difficilmente raggiungibili. Così ho iniziato la ricerca di contatti e sono arrivata ad Andrea Artemisio e Paolo Zerbini, due fotografi strabilianti che ho avuto modo di conoscere grazie a due stylist che in passato mi hanno fatto da mentore. Infine, Tatiana Brodatch è un’artista che tramite la plastilina è riuscita a fissare, a modo suo, momenti di forte intimità. Ognuno di loro riesce a raccontare scene di vita intime e la nudità in totale limpidezza e realismo seppur in modo totalmente diverso da altri. Per questo ho pensato fossero gli esempi migliore da trattare in questo progetto.
Quanto c’è di ribellione generazionale in Sorry Mummy?
Sorry Mummy è generazionale ma non solo, l’obiettivo è quello di dargli un respiro più ampio. È come se fosse una lettera dedicata a mia mamma. Come dicevo, lei mi ha cresciuto con una cultura ben precisa. Poi, come è giusto che sia, ho sviluppato il mio gusto, le mie attitudini. In alcune occasioni mi sono trovata a pensare: «Se mia madre sapesse cosa sto facendo in questo momento». Perché, alla fine, cercavo gente molto spontanea e diretta che mi portasse fuori dalle situazioni usuali che mi ero abituata a vivere. Quindi il progetto non è un attacco, l’obiettivo è quello di porgerle la mano in cerca di dialogo, di comprensione reciproca.
E ora che piani hai per il futuro di Sorry Mummy? Come proseguirà?
Questo numero inaugurale è la issue 0: un lancio programmatico rivolto già al futuro. In seguito, ci saranno issue con vera vita e una loro struttura distintiva. Quello che è certo è che vorrei portarla avanti con i giusti tempi, in maniera ragionata: può diventare un magazine, un concept store, un’installazione d’arte o molto altro. Staremo a vedere!
Nella foto in alto: Aurora Zaltieri
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