LA RAPPRESENTANTE DI LISTA – QUEER PER NON DEFINIRCI
Dopo il successo della partecipazione a Sanremo con il brano Amare, la “queer pop band” più amata e raffinata d’Italia, nata dall’incontro tra Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, parte in tour in tutta Italia per presentare il suo ultimo album
di Giulia Zanichelli
Un album intenso e libero, oltre ogni costrutto e definizione, tanto personale quanto collettivo: My mamma (Woodworm Label) è l’ultimo disco de La Rappresentante di Lista ed è un fluido amalgama di idee, sonorità e sensazioni diverse ma connesse, che ricercano una propria via artistica. Un disco necessario, così come lo è la band fondata da Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina, che negli anni si è ritagliata il suo spazio nel panorama italiano grazie al suo spirito forte, coraggioso ed eretico, capace di scavarsi nell’anima e condividere l’intimità con il pubblico. Sarà un’estate densa di date per La Rappresentante di Lista: li vedremo a Ferrara (2 luglio, Ferrara Sotto le Stelle), Genova (3 luglio, GOA BOA_), Gardone Riviera (9 luglio, Anfiteatro del Vittoriale), Milano (14 luglio, Carroponte), Torino (15 luglio, Flowers Festival), Codroipo (17 luglio, Villa Manin Estate 2021), Grottaglie (13 agosto, Cinzella Festival), Livorno (2 settembre, Terrazza Mascagni), Galzignano Terme (3 settembre, Musica Tra Le Nuvole c/o Anfiteatro del Venda) e Roma (7 settembre, Auditorium Parco della Musica).
“Queer pop band”: perché pensate sia la giusta definizione per voi?Essere queer vuol dire sfuggire alla categorizzazione di genere. Abbiamo deciso di definirci così qualche anno fa, quando ci siamo avvicinati al Sicilia Queer Film Festival. Lì abbiamo iniziato ad approfondire il termine. Abbiamo scoperto che queer era un’offesa che la comunità LGBT ha disinnescato facendola propria, che il termine è vicino alla parola quer che in tedesco vuol dire “obliquo”. In quel periodo Giorgio Canali aveva definito la nostra musica trasversale, obliqua. Tutto tornava. In fin dei conti abbiamo deciso di definirci queer per non definirci.
Se vi voltate a guardare il vostro percorso artistico, quanto vi vedete cambiati? Qual è stato il momento “di svolta”, in cui avete percepito di aver raggiunto un pubblico ampio?
Se guardiamo indietro ci sentiamo profondamente cambiati e, al tempo stesso, la nostra anima artistica è identica a quella di dieci anni fa. Il nostro progetto si arricchisce sempre di nuove esperienze e influenze. Nonostante la nostra percezione spesso faccia fatica a riconoscere il percorso da dentro, sicuramente quello che è cambiato profondamente è l’architettura che abitiamo, il nostro gruppo di lavoro, la band che si è ampliata, le piattaforme per fruire della musica. Naturalmente, poi, ci sono i cambiamenti personali dettati dalla vita che ti mette davanti a delle scelte. Sicuramente con Go Go Diva la consapevolezza del nostro gusto musicale è cresciuta e la decisione con cui abbiamo portato alcuni temi a noi cari ha fatto sì che anche il pubblico recepisse la nostra musica in modo più forte.
My mamma è un viaggio coraggioso, fatto di tappe tanto personali quanto di momenti di apertura universale. È questo desiderio di parlare a una pluralità il fil rouge del disco?
Sì, ci sono degli interrogativi all’interno di My Mamma che crediamo siano generazionali. Ogni volta che ci poniamo una domanda, di riflesso, tendiamo a coinvolgere una comunità per cercare le risposte. E così abbiamo fatto anche questa volta. Sia nella scrittura dei testi che nella produzione abbiamo cercato il plurale. Ci sono tanti “noi” e allo stesso tempo tantissime collaborazioni. Credo che non sia un caso.
In che modo titolo e cover elaborano e danno forma (e sintesi) ai concetti dell’album?
My Mamma è una suggestione, il disco parla di crescita e di eredità: cosa lasciamo a questo mondo? Quali sono le nostre responsabilità in quanto artisti che salgono su un palco? Abbiamo subito pensato alla figura della madre che parla a un figlio. Questa immagine semplice ci ha accompagnati durante tutta la scrittura. Appena abbiamo avuto i primi provini da fare ascoltare, li abbiamo passati a Manuela Di Pisa che ha creato un moodboard che è diventato il nostro libro delle immagini legate a My Mamma. Dentro il moodboard c’era la sua rivisitazione de L’origin du Monde di Courbert. Era la sintesi perfetta.
È un album che prende posizione. È necessario che un artista lo faccia?C’è un termine molto interessante, legato più che altro all’arte: artivismo. Non l’abbiamo inventato noi, ma ha descritto un movimento nato tra il Messico e L.A. Crediamo che anche la musica pop possa promuovere battaglie. A volte si tratta di ecologia o di inclusività, altre di riabilitare slogan che hanno perso significato: “no guerra”, “no violenza”, “no armi”. Altre volte ancora la musica serve solo a dare un lessico emotivo alle nostre esperienze. Anche scegliere un lessico significa prendere posizione, considerando che il mondo che viviamo lo attraversiamo raccontandolo. Ci piace scrivere canzoni come fossero poesie e lasciare a chi ascolta la possibilità di tradurle attraverso input che diamo con le interviste, per esempio. Sicuramente cerchiamo di non lasciare dubbi sul nostro modo di vedere la società.
Uno dei temi del disco è l’abbattimento dei confini, degli stereotipi di genere. Pensate ci sia ancora tanto lavoro da fare su questa tematica?Sì, anche se dipende da quale bolla culturale si analizza. È chiaro che a volte apriamo Instagram e sembra che sia evidente a tutti quanto machismo tossico, stereotipi di femminilità, body shaming, omofobia siano elementi da allontanare dal nostro modo di vedere le cose. Ma purtroppo la stragrande maggioranza della società è ancorata ai vecchi modelli di bellezza, di sessualità e di tutto il resto.
Come avete vissuto l’avventura di Sanremo? Lo rifareste?
Sì. È stata un’esperienza entusiasmante e parecchio formativa.
Perché Amare era la canzone giusta da portare?
Amare, amarsi, costruire ponti verso l’altro. Questa canzone è la naturale prosecuzione del discorso avviato con Go Go Diva: l’incontro con l’altro. Scrivere questo disco ci è servito ad esorcizzare la solitudine. Avevamo bisogno di approfondire i temi del corpo, della femminilità, del femminismo, dell’inclusività, dell’accoglienza e Amare, che per noi non è (solo) una canzone d’amore, era la canzone giusta per farlo sul palco dell’Ariston. Da quando abbiamo iniziato a scrivere abbiamo sempre considerato come nodo cruciale le relazioni e in qualche modo l’amore, uno dei pochi momenti emotivi che coinvolge tutte le sfere dell’essere umano. In qualche modo il corpo si unisce all’anima. Questo è fondamentale nella scrittura perché ci dà modo di volare in alto stando con i piedi per terra.
Finalmente si torna ai live. Cosa dobbiamo aspettarci dai vostri?Preferiamo che il pubblico non si aspetti nulla da noi, è il modo migliore per poter essere attraversati pienamente dal nostro concerto.
Nella foto in alto: La Rappresentante di Lista, foto di Manuela Di Pisa
La Rappresentante di Lista su IG
Intervista pubblicata su WU 108 (giugno-luglio 2021).
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