B.A.D., IMMAGINI DA ASCOLTARE
Erika Zanatta e Alessandra Tisato con il loro ‘B.A.D.’ propongono un’ampia collezione di scatti di beautiful, powerful women and non-binary people, dove la nudità è un tratto importante. Ma il loro libro è qualcosa di diverso da una pura raccolta di ritratti femminili
di Emma Cacciatori
Ci sono decine di modi di rappresentare il nudo femminile: ci può essere un approccio estetizzante o grottesco, sensuale o irriverente, lo si può fare per denunciare o per piacere, per scandalizzare o semplicemente per vendere qualche copia in più. Per capire le differenze, ci si chiede generalmente quali siano state le intenzioni del fotografo, che cosa abbia voluto “far vedere” con i suoi scatti. È lui il protagonista che cattura, costruisce, interpreta la persona che sta davanti all’obiettivo. Anche se chi è rappresentato è consapevole di ciò che sta accadendo, e anche se questi sono più o meno cooperanti, è del tutto irrilevante sapere il loro livello di coinvolgimento: il loro ruolo è di assecondare il fotografo. Ci sono decine di modi di mostrare la bellezza e la femminilità, ma, anche in questo caso, la nostra attenzione si interroga quasi sempre sulla sensibilità dell’osservatore, non certo del soggetto osservato.
E se invece provassimo a capovolgere la prospettiva? Se partissimo da chi sta da- vanti all’obiettivo, dalla volontà e dal piacere delle donne di posare, di mettere in scena il modo in cui si vedono e vogliono essere viste? In tal caso, come accade in B.A.D. (Drago Publisher, 2021), nel gioco della visione che si instaura tra fotografa e fotografata, entrambe donne, è l’osservatrice che si mette a disposizione dell’osservata, che si propone di assecondarla. Il suo sguardo rinuncia a essere prevaricante o indiscreto, non deve imporre la sua immagine dell’altra, né catturare quello che l’altra non vuole far vedere. Tra le due protagoniste dell’atto fotografico si instaura- no una reciprocità di ruoli e una complicità creativa che libera nuove potenzialità. E in questo volume lo si vede anche nella scelta di realizzare quasi sempre questi scatti nelle abitazioni delle donne fotografate, come per accogliere lo sguardo dell’altro/a nel proprio spazio privato. Da questa condivisione deriva una serie di stimolanti conseguenze, che costituiscono l’originalità di questa collezione.
Già il titolo ci mette in sospetto: quell’acronimo, B.A.D. (che sta per Beautiful And Determined), mescola concetti che difficilmente convivono nell’immaginario spalmato a regolare i nostri comportamenti, che propongono e prescrivono un’idea di bellezza docile e perfetta, a uso del desiderio maschile. Invece non c’è nessun galateo da rispettare, in questo libro, ma la volontà di porsi e imporsi: «Nel nostro lavoro, la bellezza è la sicurezza interiore che traspare dalla consapevolezza di trasmettersi esattamente come ci sentiamo, senza filtri e con orgoglio. La bellezza che emana da chi ha trovato la sua via interiore e la fa risplendere al di là degli schemi». Qui la piacevolezza del proprio corpo che si intende mostrare non imita un canone, ma diventa una proposta di sé da offrire, frutto di una scelta, meditata e “determinata”. La bellezza di cui parla il titolo non è semplicemente accostata alla determinazione da un “and”: in questi scatti la bellezza “è” determinazione, come sottolinea Carlotta Cossutta nell’introduzione al volume: « La bellezza è il risultato dell’autodeterminazione, in un gioco dove non è l’apparenza a dirci qualcosa circa il carattere di una persona, ma è il suo carattere che ci permette di riconoscere la sua bellezza. Ed il motivo che ci ha guidato nella scelta delle donne da ritrarre è la loro stessa vita, dove esse sono molto di più di come appaiono».
In questa ottica di estetica del quotidiano e di sfida all’ordine della visione prescritto dal potere maschile, si colloca non solo la contestata idea di bellezza delle protagoniste di B.A.D., ma anche quella, a essa associata, della femminilità, gabbia dorata da secoli appesantita dalle decorazioni della sorveglianza maschile. Alla sterile unicità dei suoi codici comportamentali qui è contrapposta la tangibile corporeità di molteplici esistenze, interpretate con franchezza, vissute, rappresentate, messe in scena da donne. Che, per farlo, hanno scelto spesso la loro nudità, mostrata con gioia, orgoglio, ironia, sfrontatezza. Perché, come dice Elle Stranger nell’altra breve introduzione al libro, «getting and being naked can be a political act». E in questo gesto politico si esprimono le donne che, facendosi padrone della propria immagine, possono scegliere di usarla per sedurre, o per irridere le pose della seduzione, per dare scandalo o semplicemente vedersi fotografate, possono allestire una scena della propria quotidianità o i propri sogni esotici, nude o vestite. In ogni caso, la parte che interpretano è una delle facce liberamente scelte della loro identità. E in questo B.A.D. trova la sua specificità.
Tutto bene, allora? È questo il lieto fine del libro? Non proprio. Perché, una volta che il gioco tra modelle e fotografe si concretizza in un pacchetto di fotografie da scegliere e confezionare in un volume per la pubblicazione, le procedure del visibile si fanno più complicate. Le donne e i loro corpi lasciano il posto alle loro immagini e le fotografe all’editore. Il quale, a sua volta, dovrà barcamenarsi con i dispositivi del governo della visibilità, in bilico tra ciò che la società e la sua censura riterrà utile “non far vedere” e ciò che il mercato riterrà vantaggioso “far desiderare” al suo pubblico, tra divieti e appetiti, tra bacchettoni e voyeur. Insomma, le nostre donne coraggiose dovranno affrontare altre sfide, perché i loro corpi, sinceri e nudi, mantengano la loro forza e autenticità. Si tratta di sfide insidiose e striscianti. Che la loro bellezza e determinazione, tuttavia, stanno già vincendo.
Nella foto in alto: Ashira Siegel Fox, queer artist, fotografa per ‘B.A.D.’ a Downtown LA, 2013
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Articolo pubblicato su WU 108 (giugno – luglio 2021). Segui Emma su IG