GO DUGONG – VIAGGIO AL CENTRO DELLA TERRA
Giulio Fonseca continua a sperimentare con Meridies, un album dalla genesi particolare i cui “ingredienti” sono la ricerca, le radici, la tradizione, il viaggio e la psichedelia. È musica nata in isolamento, forzato ma poi successivamente voluto, che saprà anche farvi ballare
di Carlotta Sisti
Capita che i viaggi più sorprendenti non siano quelli che ti catapultano dalla parte opposta del globo, ma quelli che ti riportano a casa, qualunque cosa essa significhi. Go Dugong, che ama immergersi nelle culture del mondo quanto ama fare musica, si è trovato, come tutti noi, a dover fare i conti con un immobilismo non scelto, e per questo doloroso. Da lì, tuttavia, da quel potenziale disagio da stasi costretta, è nata un’inaspettata, nuova esplorazione, che lo ha visto muoversi a ritroso, verso luoghi vicini ma fino a quel momento trascurati, luoghi delle origini e delle radici, fatti di una materia che Giulio Fonseca aka Go Dugong ha rimodellato, seguendo un flusso viscerale, che lo ha divertito moltissimo. Meridies, uscito per Hyperjazz e La Tempesta Dischi, è figlio di questa sperimentazione estrema, proprio perché connessa al concetto di tradizione, che, però, non è mai stato così fresco come in questo momento storico.
Meridies e Gianpace sono due tuoi dischi, usciti a poco tempo di distanza, ma molto diversi tra loro: che cosa li collega l’uno all’altro?
Il comune denominatore è la psichedelia, ma affrontata con due linguaggi diversi. Meridies ne è in parte frutto, ma la sfiora, per andare altrove, mentre Gianpace è stata un’occasione per parlarne a fondo, ma è un disco a sé e non so se ci sarà un seguito. Mi è caro perché in quel caso ho raccontato la mia esperienza con le sostanze psichedeliche, che è fatta di un uso consapevole, per scopo terapeutico. Ho letto tantissime cose, mi sono documentato a fondo, ed è quello che consiglio di fare a tutti quelli che sono interessati alla materia.
Che cosa ti senti di dire, su queste sostanze così poco conosciute e dibattute in Italia?
Che vanno approcciate dopo essersi ben informati, che non creano dipendenza, perché non regalano un’esperienza che puoi fare ogni giorno, e che se assunte con un set e in un setting adeguato, possono dare davvero giovamento. Sono riuscito, abbinandole alla meditazione trascendentale, ad andare in profondità, a capire che cosa non andava, a trovare soluzioni. E finito l’effetto, questa conoscenza e consapevolezza sono rimaste con me.
Le letture e le cose che guardi, ti guidano spesso, nella creazione della tua musica: mi racconti che cosa c’è stato in parallelo a Meridies?
Ho iniziato leggendo saggi di De Martino, in primis La Terra del Rimorso, dove si parla del fenomeno del tarantismo, e anche Sud e Magia, dove racconta i rituali magici, appunto, del Sud Italia, spiegando il contesto sociale per il quale venivano compiuti. Questi due saggi in particolare sono stati per me molto d’ispirazione. Poi le registrazione di Lomax e Carpitella, altri due antropologi e musicologi, che negli anni Cinquanta hanno fatto un viaggio in Puglia e Lucania a registrare canti e ritmiche di cerimonie di tarantismo ed esorcismi vari.
Nei rituali sciamanici c’è sempre una forte componente di dolore, di sofferenza da parte dello sciamano, che poi, però, porta del bene alla comunità, e tutto passa anche attraverso il suono: anche per te la musica ha una funzione curativa?
La musica usata per certi tipi di rituali ha una forte connotazione ipnotica, è appositamente ripetitiva perché proprio grazie a questo ti conduce a uno stato di trance, di alterazione, di distacco dal mondo materiale, proprio come un mantra. Questo vale per lo sciamano come per chi si lascia guidare. Riuscendo a distogliere l’attenzione dai pensieri è possibile raggiungere uno stato mentale di pace molto benefico.
Hai mai assistito a rituali?
In Italia no, ma non penso nemmeno esistano più. Ci sono associazioni che organizzano ritiri spirituali a volte con sciamani dal Sud America. Sicuramente è un aspetto che mi interessa ma non vorrei che fosse un esperienza “turistica” o una “ricostruzione occidentalizzata”. Per prima cosa ne devo sentire davvero la necessità e in secondo luogo vorrei che avvenisse in un contesto autentico. Purtroppo in questo lungo periodo di restrizioni non sono riuscito a viaggiare come facevo normalmente altrimenti avrei sicuramente ricercato un’esperienza di questo tipo.
Non ci sono stati viaggi, ma forse per questo c’è stato un forte ritorno alle radici della musica popolare e folkloristica?
In realtà in altre parti del mondo avviene da tanti anni, pensa alla cumbia o alla musica brasiliana, che è stata parecchio rielaborata e maneggiata.Per quanto mi riguarda, il ritorno alla radici è stato dovuto alla presa di coscienza del fatto che ho sempre ricercato nelle altre culture, come quella africana, sudamericana o mediorientale, ma alla fine non conoscevo la tradizione musicale del mio Paese. Ricordo che ero in compagnia di un’amica messicana e ci siamo messi ad ascoltare brani di pizzica e di tammurriata napoletana come Il Secondo Coro Delle Lavandaie. Lei è letteralmente impazzita, mi ha detto: «Ma siete matti a non valorizzare e a lavorare su questa roba potentissima, queste sono le vostre radici». Ecco, da qualcosa che era già un germoglio dentro di me, è scoppiata una voglia pazzesca di buttarmi in questa ricerca che mi ha portato, grazie anche al supporto di amici e colleghi con cui ho avuto modo di confrontarmi, come Raffaele Costantino di Hyperjazz, alla realizzazione prima di TRNT e successivamente di Meridies.
Dove lo hai registrato?
Una parte in casa durante il primo lockdown, un’altra in montagna, in mezzo ai boschi, dove mi sono ritirato per due mesi. Le giornate erano fatte di passeggiate, allenamento, alimentazione vegana, meditazione due volte al giorno, psichedelici e un sacco di musica. Sono rinato, mi è dispiaciuto tantissimo tornare a Milano.
Parlami di Randagio, in featuring con Mai Mai Mai, che è stata per me una folgorazione.
Sono molto felice di quel pezzo, perché è qualcosa che non ho mai sentito in vita mia: è una tammuriata napoletana versione noise, truce, sporchissimo, ma con un suono unico. Poi abbiamo corollato tutto con il video del terzo matto della situazione, che è Giacomo Laser. Mai Mai Mai mi prende sempre in giro dicendomi che sono pop e con me fa le hit commerciali (ride, NdR).
Hai suonato Meridies al Monk di Roma: com’è stato vedere la gente tornare a ballare?
Una figata. Non mi aspettavo che le persone ballassero con questo disco, perché non l’ho pensato per il dancefloor. Non vengo neppure dal clubbing, ho cominciato seriamente come dj da quando esiste Balera Favela. Sono comunque molto felice e molto stupito che accada che la gente balli Meridies, anzi, ormai ci ho preso gusto.
Nella foto in alto: Giulio Fonseca aka Go Dugong, foto di Giulia Barcaro
Go Dugong su IG
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