MARCO RIZZI – L’OSSESSIONE
Ha sempre avuto un approccio “ossessivo” nei confronti delle cose che ama e le sneakers non sono state un’eccezione. Project Manager di Special Sneaker Club, autore, editor e brand consultant, sa come trasmettere agli altri la passione per questa cultura
di Elisa Scotti
Marco Rizzi ha trent’anni e fa un sacco di cose, la maggior parte delle quali legate all’universo sneakers e alla street culture. Attualmente è project manager di Special Sneaker Club e si occupa di attivazioni ed eventi culturali, ma è anche autore, editor freelance e (ogni tanto) brand consultant. Ha un blog, Never Not Talking, dove parla (anche) di scarpe e un podcast che si chiama proprio Scarpe., che conduce insieme a due amici, Andrea Tuzio e Niccolò Bevilacqua. Qui ci racconta come ha iniziato a interessarsi a questo mondo, che per lui è allo stesso tempo passione e ossessione, e di come, mano a mano, è diventato sempre più centrale nella sua vita.
Come hai iniziato ad appassionarti al mondo delle sneakers?
Mi piace informarmi e mi entusiasmo facilmente per ciò che mi piace, al limite dell’ossessione. Quando mi sono avvicinato per la prima volta alla sneaker culture mi sono trovato davanti a un gap generazionale: tutte le persone con cui avevo a che fare avevano dieci anni più di me e ho dovuto dimostrare di sapere di cosa stavo parlando. È una dinamica abbastanza normale nelle sottoculture, ogni tanto scherzando dico che in ambito sneakers sono capitato a metà tra analogico e digitale. Come formazione sono un grafico, ma non sono adatto alla vita di agenzia e le sneakers si sono rivelate una via di fuga. Ho iniziato lavorando in negozio e gestendo, insieme a un po’ di amici, Swap Meet Italia, una delle prime community italiane online per collezionisti e appassionati di sneakers. Poi, più o meno dieci anni fa, ho cominciato a scrivere prima per magazine e blog italiani e stranieri, cercando sempre di inserire elementi di ricerca e racconto in tutti i miei progetti, anche in quelli non editoriali.
Come ti sei documentato su tutto ciò che per motivi anagrafici non hai vissuto in prima persona?
Il mio interesse per le sneakers risale a metà anni 2000, in un momento di enorme popolarità per i blog. In quegli anni frequentavo molti forum come ISS, NikeTalk, SneakerFreaker, Sole Collector, Crooked Tongues, ma la svolta sono stati i blog: Gwarizm di Gary Warnett su tutti, ma anche quelli di Chris Law, Jeff Staple, Bobby Hundreds, Julia Schoierer (SneakerQueen) o Scott Frederick (DeFY New York). Qui ho capito come ci fosse un altro modo per parlare di sneakers che fino a quel momento avevo soltanto immaginato, approfondimenti pieni di dettagli e retroscena in cui si intrecciavano elementi di sottoculture e nicchie soltanto apparentemente distanti tra loro, dai graffiti al metal, dal collezionismo di dischi al djing alle biciclette a scatto fisso giapponesi. Era ciò che stavo cercando e finalmente aveva tutto senso, non erano “soltanto” scarpe.
Quale modello tra tutti quelli che possiedi ha per te maggior importanza e perché?
Dovendone scegliere uno solo, probabilmente direi la Nike Air Force One. È un po’ il mio primo amore, è il primo modello che mi ha portato a cercare rarità e chicche in giro per l’Europa e per me è un po’ il simbolo della sneaker culture per come la intendo io. L’AF1 è arte, musica e sport ma, andando a scavare, ci trovi di tutto, dal rap francese alla cultura afroamericana, dall’alta moda e all’ingegneria aerospaziale. Mi ripeterò, ma alla fine non sono mai soltanto scarpe
Oltre alle sneakers, collezioni altri tipi di oggetti?
Più che collezionismo, nel mio caso, ho paura si tratti di un problema di accumulo. Oltre alle scarpe, il mio punto debole sono dischi e libri: ne ho centinaia sparsi ovunque. Ho pile di scatole piene di riviste e giornali, memorabilia sportivi, vecchi flyer e volantini… Ho un feticcio per gli oggetti fisici e mi piace conservare tutto, convincendomi che prima o poi ne capirò l’utilità e la funzione. Più di una volta le mostre organizzate con Swap Meet, Ginnika o lo Sneaker Club sono nate proprio per poter giustificare in qualche modo l’aver conservato tutto.
Perché hai chiamato il tuo blog Never Not Talking?
Col tempo ho iniziato a rendermi conto che parte di ciò che avevo pubblicato nel corso degli anni stava sparendo. L’idea iniziale era creare una sorta di “portfolio” in cui recuperare vecchi articoli e sicuramente social come Instagram e Twitter non erano i mezzi giusti per farlo. Mi serviva un posto più comodo dove pubblicarli, insieme a qualche delirio estemporaneo o commento random sulle altre cento cose che mi interessano, senza preoccuparmi granché che si tratti di sneakers sconosciute, wrestling giapponese, vecchi fumetti o qualcosa di interessante trovato online. Così che è nato Never Not Talking, un blog/newsletter su cui cerco di pubblicare settimanalmente con scarsa puntualità da dicembre 2022. Il nome si riferisce alla mia totale incapacità di stare zitto, soprattutto se l’argomento mi interessa.
Come nasce l’idea del podcast?
Ho sempre ascoltato molti podcast di qualunque tipo. Durante il lockdown insieme a Laced Up Community abbiamo iniziato a fare delle live settimanali e nei mesi successivi sono stato ospite di un paio di amici. Ero convinto che se avessi fatto qualcosa di mio avrei parlato di sneakers, anche perché non c’era ancora nulla a riguardo in Italia. Il vero fautore della nascita di Scarpe. è Niccolò, mi ha praticamente obbligato a iniziare a gennaio 2023. Ci siamo già tolti qualche soddisfazione, ma il mio vero obiettivo è vedere quanto i miei co-autori e co-host riusciranno a sopportarmi.
Qual è la tua visione del futuro del mondo sneakers?
Non ne ho assolutamente idea e non vedo l’ora di vedere cosa ci aspetta, ma da poco sono stato coinvolto in un progetto legato a nuovi metodi di design e produzione tra realtà aumentata e stampa 3D. Ho intervistato designer che stanno già lavorando alle sneakers che tra 10/15 anni saranno la nuova normalità e ho visto cose che fino a qualche mese fa non sarei riuscito a immaginare. Le aziende continuano a lavorare con gli archivi, secondo me per pigrizia, ma le nuove generazioni sono molto più aperte nei confronti di design e look più futuristici.
Che progetti hai per il futuro a livello professionale?
Aver fatto della mia passione un lavoro è un bel traguardo, ma devo ammettere che non ho ancora deciso cosa fare da grande. Lo stop forzato agli eventi live a causa del Covid ha fatto nascere nuovi modi di fare comunicazione che, per fortuna, non si sono mangiati i vecchi metodi e le attivazioni in presenza. Le due cose stanno convivendo, dando modo a chi fa il mio lavoro di poter scegliere di volta in volta cosa fare. Da poco per esempio è uscita una piccola intervista realizzata con Special per il ritorno della Nike Air Footscape, una delle mie sneakers preferite, e mi piacerebbe realizzare altri di questi piccoli approfondimenti autonomamente o lavorando insieme a qualche retailer. Il podcast è un progetto al quale sto dedicando molto del mio tempo libero più per divertimento e passione che per qualche particolare aspirazione professionale, mi serviva una valvola di sfogo al quale dedicare del tempo senza preoccupazioni. Il sogno resta sempre quello di poter continuare a guadagnarmi da vivere lavorando con le sneakers, viaggiando un po’ di più e facendo un altro passo dietro le quinte per lavorare con qualche azienda, magari in archivio.
Intervista pubblicata su WU 122 (novembre 2023)
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