MASBEDO – CONFINI CHE DIVENTANO ORIZZONTI
Dopo oltre vent’anni nella videoarte, Iacopo Bedogni e Nicolò Massazza esordiscono al cinema con Arsa, un film personale e potente, tra paesaggi estremi, padri fragili e l’inesauribile forza dell’immaginazione
di Davide Colli
Dopo l’anteprima mondiale durante l’ultima edizione della Festa del Cinema di Roma, Arsa inizierà il suo percorso nelle sale cinematografiche a partire dal 24 aprile. Abbiamo avuto l’occasione di parlarne con i registi del film, Iacopo Bedogni e Nicolò Massazza, duo conosciuto come Masbedo. Dopo più di vent’anni di carriera nel mondo della videoarte, Arsa rappresenta il loro esordio nel linguaggio del cinema narrativo.
Il film racconta la storia di Arsa, una giovane donna che, tra limiti fisici e geografici, cerca di dare forma alla propria immaginazione, ereditata da un padre artigiano e visionario. Protagonista assoluta è l’esordiente Gala Martinucci, affiancata da due interpreti di grande rilievo come Lino Musella e Tommaso Ragno, che assumono ruoli essenziali, seppur più defilati. Girato dai Masbedo sull’isola di Stromboli, Arsa fa della natura selvaggia e dei confini insulari un elemento narrativo centrale, esplorando attraverso immagini potenti il tema della fragilità e della creatività come forme di resistenza.
Da cosa nasce il desiderio di cimentarsi con un’arte narrativa? Quanta le vostre installazioni passate hanno influenzato questo passaggio?
Iacopo Bedogni: È un processo estremamente naturale. Nel nostro percorso che supera i due decenni, il nostro timbro cinematografico è stato sempre molto presente anche negli apparati installativi. Dal 2014 è stato un desiderio sempre più persistente nell’idea di mettere in pratica certe esperienze ereditate dalla narrativa per immagini in dialogo con un percorso cinematografico. Questo è un secondo step, ma di certo è il primo nostro lavoro in cui la sceneggiatura ha un ruolo predominante. Di certo non sarà l’ultimo, in quanto siamo molto determinati a proseguire in questa direzione.
Nicolò Massazza: Nel 2003 un curatore d’arte, Danilo Eccher, disse: «Il naturale sbocco dei Masbedo è il cinema». Come impostazione dell’immagine, credo che abbia ragione. Nel corso della nostra carriera abbiamo sempre voluto meticciare le arti, lavorando con scrittori come Michel Houellebecq, ma anche con attori, performer, ballerini… Non ci piace stare in una comfort zone. Il cinema però ha questa grande potenza di renderti facilmente tossicofilo, nel senso che è talmente potente lavorare e mettere in discussione questa macchina che è difficile staccarsene. La complessità è un nostro elemento, così come lo è della settima arte.

Una scenadi ‘Arsa’, primo film dei Masbedo
Guardando il film non si direbbe che Gala Martinucci, la protagonista, sia un’esordiente. È sempre stata la vostra intenzione? Soprattutto in relazione ai due volti più noti (Lino Musella e Tommaso Ragno), figure più defilate e intermittenti.
NM: Per il personaggio abbiamo rubato molto da Gala, in quanto è davvero difficile trovare una ragazza così giovane alla prima esperienza in grado di reggere tutto il film addosso.
IB: Questa scelta parte dalla grande libertà del gesto artistico, ovvero di non essere sottomessi all’egida dittatura del nome in ambito cinematografico, ma chiedere a tutti di adattarsi al progetto. I camei che hai citato hanno un ruolo essenziale proprio nella loro brevità sullo schermo.
NM: Lino e Tommaso sono attori giganti, ma umili. Si sono fidati della nostra visione anche se non nasciamo come registi di film. Poi la figura del padre di Arsa, nel caso di Lino, è importantissima: è grazie a lui che la ragazza eredita la creatività e l’immaginazione. Banalmente il papà è colui che la fa diventare amica della sua “merda”. Tommaso, invece, è un personaggio con un preciso scopo, cattivissimo in quello che dice, ma al tempo stesso complice. Una figura patetica che si umilia facendosi bandiera del “bello per finta”.

Gala Martinucci in ‘Arsa’, il primo film dei Masbedo
Avete più volte parlato di una forte componente autobiografica nel film. Come vivete l’atto di “mettere voi stessi” in una vostra opera? È un processo doloroso o catartico?
IB: Nell’ambito artistico è sicuramente un gesto catartico, ma solo per dargli “un bel vestito”. In realtà nasconde un processo psicologico di messa a nudo delle proprie fragilità tramite l’opera stessa. Non è detto che vada sempre a buon fine, ma quando succede, facendo emergere la sincerità del lavoro, risulta estremamente potente. L’opera diventa il feticcio delle tue fragilità e delle tue paure, nonché il tuo specchio. Per esempio, abbiamo tante opere che rappresentano la nostra idea di relazione e le difficoltà dietro essa. In Arsa c’è uno sguardo di due padri, che realizzano quale tipo di eredità lasci, che comprende anche una componente di fragilità. Non traspare più la dicotomia padre-potere.
NM: Negli anni Settanta e Ottanta vivevamo in una società in cui nessuno poteva opporsi alla legge del padre. Ora invece abbiamo a che fare con padri rotti, bucati e fragili, ma che hanno una capacità in questo di essere un nuovo tipo di guide per i propri figli. Lino non ha niente da offrire se non i materiali poveri con cui lavora, eppure le trasferisce tutto il suo mondo e la creatività che ne fa parte. Quando guarda il personaggio di Tommaso Ragno è un momento fortissimo: in quel modo di guardarlo sta difendendo sua figlia, gli ideali che ha sempre provato a trasferirle. Credo sia un dettaglio molto importante.
Le riprese si sono svolte all’interno di luoghi suggestivi, ma anche molto difficili per le riprese di un film, che prende il tono quasi di una missione herzoghiana. Arsa sarebbe potuto esistere anche in una location diversa da Stromboli?
IB: È una parte fondamentale dell’opera, anzi direi che è un attore molto preponderante. Per noi è un luogo di grande riflessione in quanto la natura ha ancora un ruolo predominante sull’uomo. Anche nel luogo si mostra il fianco della nostra debolezza. Il territorio “isola” ha proprio una funzione metaforica essenziale, presentando fisicamente dei limiti ben precisi. Ci piaceva identificare a livello allegorico i limiti di Arsa con i limiti tipografici del territorio. Lei si sente a suo agio in queste limitazioni, soglie che la distanziano dal resto del mondo.
NM: Si dice che la gente che va a Stromboli e, in generale, nelle isole soffra di claustrofobia. Arsa invece si sente assurdamente libera in quella sensazione claustrofobica. Abbiamo questa idea strana come concetto umano che lo spazio aperto corrisponda alla libertà. Invece crediamo che l’isola, da sempre parte del nostro lavoro, sia un territorio in grado, con i suoi ostacoli naturali, di lasciare l’uomo a fare i conti con la sua immaginazione.
IB: L’uomo, in un luogo finito, ricorda di essere finito. È importante tenerlo a mente in un’epoca di smanie di grandezza.
Nella foto: Iacopo Bedogni e Nicolò Massazza, i Masbedo