L’ODIO NON MUORE MAI
Al festival di Cannes del 1995 Mathieu Kassovitz vince il premio per la miglior regia grazie al suo secondo lungometraggio, L’odio. 30 anni dopo, le vicende raccontate nel film restano attuali, come testimoniano uno spettacolo teatrale e il rap
di Luca Gricinella
Restaurato in 4K nel 2020, L’odio di Mathieu Kassovitz in questi ultimi cinque anni è tornato a più riprese sul grande schermo nelle sale cinematografiche di molte nazioni, Italia compresa (grazie a Minerva Pictures, Rarovideo e Cat People). In Francia, inoltre, sua madrepatria, dall’autunno scorso il film sta vivendo una vera e propria seconda giovinezza grazie all’omonimo spettacolo che, attualmente, continua a riempire i teatri di molte città. Con la direzione artistica dello stesso Kassovitz e con protagonisti ancora una volta Hubert, Vinz e Saïd (interpretati dai giovani attori Alivor, Alexander Ferrario e Samy Belkessa), la nuova messinscena fonde teatro, musica, danza e cinema. Il successo che sta avendo è talmente grande che, presto, lo spettacolo approderà anche in Svizzera e Belgio prima di tornare, il prossimo autunno, di nuovo a Parigi – già sede della prima – per quasi 20 repliche.
Il plot è lo stesso del film: tre ragazzi sono scossi dalla notizia del grave ferimento, durante un interrogatorio in commissariato, di un sedicenne del loro quartiere-dormitorio. Il fatto ha causato una notte di rivolta e, dal mattino seguente, i tre, in un primo momento, ingannano il tempo vagando per questa cité della banlieue parigina dove sono cresciuti, poi si spostano verso il centro di Parigi in un crescendo di disavventure e incontri conflittuali. La frase di lancio dello spettacolo però è diversa da quella del film: dalla storica «fino a qui tutto bene», infatti, si è passati a «fino a qui niente è cambiato», per sottolineare come la realtà sociale a cui le vicende si ispirano, dopo 30 anni, sia ancora piutto- sto dura e complicata.
A maggio la pellicola interpretata da Vincent Cassel, Hubert Koundé e Saïd Taghmaoui compirà, appunto, 30 anni e la storia si conferma quanto mai attuale, come attestano sia l’accoglienza dello spettacolo, sia la passione e l’interesse che molte generazioni, comprese le ultime, continuano a riservarle. Lo dimostra molto bene l’hip hop, ambiente in cui il film spopola ancora. Solo in Francia, fino al 2023, secondo RapMinerz – progetto editoriale transalpino che racconta il rap partendo da dati statistici – 258 canzoni hip hop e 212 artisti di diverse generazioni – a partire dai colossi Booba (1976) e Jul (1990) – hanno fatto riferimenti diretti ai personaggi e alle vicende messe in scena da Kassovitz. In Italia una statistica simile darebbe cifre più basse, senza dubbio, ma in ogni caso si parlerebbe di decine e decine di citazioni, per esempio Lazza in Lario (RMX) menziona Grumwalski, protagonista di un aneddoto raccontato da un signore anziano incontrato dai tre protagonisti in un bagno pubblico parigino, mentre 8bitlevrai ha dato a un suo brano proprio il titolo originale del film, La Haine, e nel videoclip ufficiale ha riprodotto fedelmente molte situazioni della messinscena.
Spostandosi negli Stati Uniti, a citare il film ci sono pesi massimi del rap come Nas (1973) e A$AP Rocky (1988), per fare due esempi di artisti importanti appartenenti a generazioni differenti. Insomma, se nel 1995 il rap ancora non dominava le classifiche mondiali, quando si è preso la vetta un po’ ovunque non ha dimenticato chi aveva descritto con consapevolezza e onestà la periferia metropolitana, ambiente di provenienza delle rime a tempo esplicite. Non a caso nella colonna sonora dello spettacolo figurano rapper importanti della scena francese, sia dell’old school come Akhenaton e Oxmo Puccino, sia della middle school come Yousoupha e Médine, sia dell’ultima generazione come Nahir e Jyeuhair. In particolare Médine è autore di un pezzo emozionante al confine tra spoken word e rap, L’4mour: dopo una serie di rime che descrivono in maniera cruda e realistica la realtà quotidiana delle periferie francesi, il rapper classe 1983 cresciuto in un quartiere popolare di Le Havre, lancia un verso finale che suona come l’unico antidoto all’odio imperante: «Finiremo tutti per ucciderci l’un l’altro, quindi mi resta solo una cosa da dire: l’amore».
Insomma, a 30 anni di distanza, quegli spari a schermo buio con cui si chiudeva il film sono percepiti quanto mai attuali soprattutto dagli abitanti delle periferie. Per giunta, rispetto alla metà degli anni Novanta, oggi sembra esserci una consapevolezza diffusa, cresciuta anche grazie alla lunga scia lasciata dalla pellicola scritta e diretta da Kassovitz quando aveva appena 26 anni. A molti artisti disturba l’associazione continua con una sola opera tra quelle realizzate, ma il regista e attore parigino, aiutato dai continui fatti di cronaca drammatici riguardanti i giovani delle banlieue, ha sempre coltivato la memoria del film con entusiasmo: lo spettacolo teatrale è solo la prova più recente della sua grande disponibilità in questo senso, e arriva dopo una lunga serie di partecipazioni a eventi e proiezioni (è stato più volte anche a Roma), scritti o interviste in cui ha sempre denunciato il disagio di molte periferie urbane e le responsabilità delle istituzioni.
In alto: Vincent Cassell ne ‘L’odio’, photo courtesy Cat People
Articolo pubblicato su WU 131 (aprile 2025)
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