N1NJA – SUONO E NARRAZIONE
“Alpine Air” di N1NJA inaugura Tales of Twilight, la label che trasforma field recording delle Alpi e influenze culturali in un sound elettronico unico
di redazione di WU
Con il lancio di “Alpine Air”, pubblicato oggi 19 settembre, Farah Nanji – in arte N1NJA – apre ufficialmente il primo capitolo di Tales of Twilight, la sua nuova etichetta discografica.
Il singolo, arricchito da field recordings realizzati tra le vette alpine, è racconto sonoro che restituisce la tensione tra immobilità e movimento: l’inizio di un progetto che l’artista definisce un “portale per sognatori”, uno spazio in cui suono e narrazione incontrano il ritmo primordiale della natura, liberandosi dalle logiche effimere dell’industria musicale.
N1NJA, britannica di origini indiane ed est-africane, ha costruito la propria cifra stilistica su una fusione che intreccia techno eterea, deep tech e sonorità afro-progressive con strumenti etnici raccolti in tutto il mondo, dal sitar alle percussioni tradizionali. Dopo un lancio intimo e simbolico sopra le nuvole del Monte Bianco, Tales of Twilight si prepara a proseguire con appuntamenti a Londra, Ibiza, ADE Amsterdam e di nuovo tra le Alpi svizzere. In questa intervista, N1NJA ci racconta la genesi dell’etichetta, l’incontro tra musica e velocità, il ruolo delle sue radici culturali e il perché la sua ricerca artistica punti a un suono senza tempo.
Partiamo dal lancio della tua label, e da questa idea di un “portale per sognatori”: quando hai capito che era qualcosa che dovevi creare?
La musica è sempre stata più di un semplice suono: è un punto di accesso a un’altra dimensione. Negli ultimi diciassette anni ho costruito un legame profondo con il mio pubblico più fedele, i miei “true 1000 fans”. Molti di noi condividono uno spirito nomade e sognatore, ma anche la ricerca di una mentalità da peak performance, ed è potente vedere quanto le loro missioni personali siano ispirate dalla musica a cui si connettono. L’etichetta è davvero la somma del mio lavoro e della comunità che si è creata intorno al mio suono. Con il tempo ho sentito la necessità di una vera casa per la mia visione: uno spazio in cui suono e narrazione potessero fondersi e riflettere il mio amore per la velocità, la natura e la musica. La consapevolezza è arrivata durante la pandemia, ma ho iniziato a lavorarci seriamente l’anno scorso, e il 2025 mi è sembrato il momento giusto per lanciarla. Con il mio coinvolgimento sempre più profondo nell’industria, tra curatela e podcasting, la label è anche un modo per comunicare valori a cui tengo molto, come opporsi alla mentalità del “criceto nella ruota” tipica di questo settore. Credo, ad esempio, che la musica non debba avere una vita utile di sole sei settimane. Deve vivere oltre il momento, senza tempo e senza vincoli. L’etichetta è un invito a stare in uno spazio libero dalle convenzioni dell’industria, dove l’ascoltatore diventa co-pilota nel percorso che si apre davanti.
Parlando di co-piloti, so che la tua altra grande passione oltre alla musica sono i motori. Sono mondi che entrano in conflitto o si completano?
Li vedo come un rapporto yin-yang, in cui l’energia di uno alimenta l’altro. Entrambi significano entrare nello stato di flow per trovare il ritmo perfetto con la traccia o con il pubblico, spingendo sempre oltre i limiti per trascendere la mente e raggiungere la migliore performance. Richiedono precisione tecnica, coraggio nel prendersi rischi, capacità di muoversi in politiche complesse dell’industria e resistenza per affrontare fusi orari infiniti esibendosi sempre al massimo.
Hai registrato i suoni delle motoslitte sulle Alpi. Come è stato il processo?
È stata un’esperienza incredibile. Volevo tradurre la sensazione di velocità in suono ed esplorare le diverse forme di movimento in montagna. Ho trascorso molto tempo tra le Alpi francesi e svizzere con un registratore portatile e un dispositivo MIDI biodata che si collega a organismi viventi, traducendo i loro segnali in sintetizzatori: suoni organici e unici, propri dell’ambiente. A 3.000 metri ho catturato di tutto: dal ruggito dei motori delle motoslitte ai clic dei manubri, dal vento alpino al suono degli sci. Sono andata anche sui ghiacciai in scioglimento per registrare i “respiri” della neve e mettere in evidenza il cambiamento climatico che colpisce le Alpi.
Come porti le tue radici indiane ed est-africane nella musica elettronica in modo autentico?
Per me non si tratta semplicemente di campionare una tabla o una voce e chiamarla fusione. È scavare a fondo nel DNA emotivo di quelle culture, e capire come il misticismo dei raga indiani e i poliritmi dell’Africa orientale abbiano curato gli ascoltatori per migliaia di anni. Quell’essenza ispira sempre la mia identità sonora: dedico molto tempo a cercare artisti locali formati dai grandi maestri. Se c’è una collaborazione che riflette queste culture, dev’essere autentica e rispettosa, e la musica deve portare con sé una linea di eredità, non solo un’estetica.
Perché hai scelto di iniziare con un secret gathering sul Monte Bianco, anziché con un lancio più convenzionale?
Trovarsi sopra le nuvole, nel silenzio del tramonto, con una cerchia ristretta di sostenitori, è stato il modo perfetto per proteggere la missione di un nuovo inizio, intimo, elementale e simbolico del viaggio che questo progetto rappresenta. Volevo che il primo momento fosse racchiuso in quello spirito. Per me l’energia amplificata delle montagne rappresenta ambizione, resilienza e armonia. Ho lanciato alcuni dei miei lavori più speciali da queste altitudini – dal mio podcast al mio primo disco – quindi mi è sembrato naturale far partire anche questa nuova visione così. Da lì, il resto dell’anno seguirà percorsi più convenzionali, con appuntamenti come l’ADE o l’evento a Londra.
Qual è stato il posto più insolito in cui hai campionato un suono per un brano? E l’ultima volta che hai pianto ascoltando musica?
Lo scorso anno, dopo alcuni concerti con IMS in Sudafrica, ho fatto tappa al Kruger National Park e ho iniziato a registrare suoni durante un safari. Dal ruggito delle vecchie jeep ai passi degli elefanti e al canto degli uccelli all’alba. Forse non il più strano, ma di certo uno dei più insoliti: suoni che portano con sé un ritmo primordiale, parte della terra da molto prima di noi. L’ultima volta che ho pianto ascoltando musica è stata più di recente, durante un viaggio in Svizzera, sulle rive di un lago. Stavo ascoltando la chitarra malinconica di Estas Tonne, attraversando un momento di guarigione e lasciando andare tutto ciò che è superflio
Chi ascolta per primo la tua musica, prima che venga pubblicata?
Un cerchio ristretto di persone fidate della Ninja Tribe – sia artisti sia fan, che conoscono profondamente la mia missione – e naturalmente mia sorella, che è uno dei miei punti di riferimento più importanti. Sono loro a dirmi se un brano suona bene davvero, oltre che nella mia testa.
Ci sono collaborazioni in arrivo che ci puoi svelare? E il luogo dei sogni dove non hai ancora suonato?
Sì, sto lavorando a un disco con Lazarusman, artista nominato ai Grammy, e a un EP su Get Physical con la straordinaria cantante sudafricana Nana Atta. Quanto al luogo dei sogni: senza dubbio il Womb di Tokyo.
Nella foto in alto: N1nja, Press Office Courtesy