CSKA
La passione per uno sport universale come il calcio è la stessa a tutte le latitudini? Il fotografo francese Manol Valtchanov è andato a scoprire cosa unisce gli ultras del CSKA Sofia, squadra della capitale bulgara alle prese con un periodo di crisi societaria
di Nicolò Piuzzi
Sei di origini bulgare come la squadra che hai ritratto, è per questo che hai scelto il CSKA Sofia come soggetto del tuo lavoro?
Sono nato in Bulgaria, ma ho lasciato il Paese molto presto. Sono cresciuto a Parigi e da parigino tifo naturalmente per il Paris Saint-Germain. Nel 2016 in Francia era molto acceso un dibattito circa la reintegrazione degli ultras della capitale, inseriti nella blacklist dello stadio dal 2010. Il club sentiva l’esigenza di ritrovare il fervore dei suoi fan, per rendere nuovamente lo stadio un luogo dedicato al calcio e non solo un luogo per lo show. Da lì ho pensato al CSKA Sofia, che in quel momento stava attraversando una crisi economica. Quei giocatori stavano giocando nella terza divisione bulgara, nonostante ciò lo stadio era sempre pieno.
Hai scattato le foto prima o dopo la crisi del club?
Durante la crisi, alla fine della stagione mentre stavano giocando la finale della coppa nazionale. In quel momento c’era molta attesa di notizie sul futuro del club, i tifosi fremevano per sapere se qualcuno avrebbe comprato la squadra e saldato i debiti accumulati o se la lega calcio bulgara sarebbe intervenuta per sciogliere il club a seguito dei suoi problemi finanziari.
Quante volte sei andato a scattare le foto?
Ho fatto tutto in due giorni con i ragazzi. La prima giornata l’ho passata con alcuni ultras, scoprendo il loro ambiente, la seconda allo stadio per seguire la partita.
I fan, nei tuoi scatti, risultano quasi aggressivi, è realmente così?
Non si tratta solo di calcio in questo caso: si parla di identità. Difendendo i propri colori, i fan rivendicano chi sono. L’immagine della squadra viene dalla storia della nazione, in quanto il club faceva parte dell’esercito in epoca socialista. Oggi, il CSKA è molto più legato alla gente comune. Il calcio unisce, ma è anche lo specchio della società: il coinvolgimento di cui parli è il risultato della frustrazione di un popolo che vive in una nazione malandata e che cerca ancora qualche appiglio sicuro su cui poggiarsi.
La crisi ha cambiato l’atteggiamento dei tifosi?
Vivere in un Paese povero, dove la corruzione fa notizia tutti i giorni, è un fatto che opprime il popolo. Andare allo stadio e supportare la propria squadra diventa una cosa federativa: una boccata di aria fresca, una distrazione dai problemi quotidiani. La crisi che la squadra ha affrontato è stata una nota negativa rispetto all’attitudine ottimistica dei fan. Ma i fan sono il DNA di una squadra. Finché ci sono loro il team non può morire.
Hai riscontrato differenze tra tifosi di differenti paesi, città e culture?
A seconda del Paese e della sua cultura, il calcio può essere un collante sociale. In Spagna la squadra è una questione di eredità familiare, in Inghilterra invece puoi trovare imprenditori e minatori insieme con la stessa maglia. In Francia, al contrario, sarebbero in settori ben distinti. Nell’est europeo i tifosi provengono per la maggior parte dalla classe popolare, le persone vanno allo stadio alla ricerca di qualcosa di più di una buona partita, desiderano un “set” dove poter esprimere se stesse.
(tutte le foto sono di Manol Valtchanov. Il suo sito è manolvaltchanov.com)