ANDREA POGGIO – TORNARE A SCUOLA
Andrea Poggio dopo i Green Like July torna con il suo primo lavoro solista, Controluce, dove si è confrontato con la lingua italiana e l’universo del pop. Lo vedremo sul Palco del Mi Ami Ora insieme a Verano, Wrongonyou, Dubfiles e Gigante il 16 febbraio in Santeria Social Club
di Enrico S. Benincasa
«Tornare a scuola» è la metafora che Andrea Poggio utilizza per descrivere il suo percorso artistico degli ultimi cinque anni, che lo ha visto passare dal folk anglofono dei Green Like July al pop sperimentale ma ben radicato nella nostra tradizione musicale di Controluce, debutto solista per La Tempesta dove canta in italiano. Andrea ha posato la chitarra e si è confrontato con un altro strumento, la nostra lingua, con un approccio rispettoso delle sue peculiarità ma volto a sfruttarne le sfumature. Nove canzoni nate da una versione archeologica di Garage Band, con la quale ha suonato un sacco di strumenti e ha giocato con gli arrangiamenti.
La prima impressione che può dare Controluce è quella di un disco con arrangiamenti molto ricercati che potrebbero risultare non proprio immediati. Concordi?
Alle volte sì, mi ha sfiorato il dubbio di aver fatto un disco che possa piacere molto agli “addetti ai lavori”. D’altro lato penso che gli arrangiamenti siano un vestito che si dà alle canzoni. Questi sono solo un po’ più insoliti rispetto ai “vestiti medi” presenti nei pezzi di tante playlist di Spotify o nelle canzoni che passano in radio. Una volta scavalcato questo piccolo muro iniziale, penso che il disco si riveli per quello che è ovvero un disco pop.
La tua è una visione pop che, con tratti comunque ricercati, paga un tributo a quella che è la tradizione musicale italiana…
Credo sia un disco che affonda le radici nella storia della nostra musica. Vengo da sonorità di matrice americana e anglosassone e cinque anni fa, quando ho iniziato i primi tentativi di scrittura in italiano, è stato un po’ come tornare a scuola: ho rispolverato ascolti che avevo fatto durante l’adolescenza e ne ho aggiunti di nuovi. Il punto di partenza è un attento e rispettoso studio della tradizione italiana – Conte, Tenco e Ciampi per esempio – ma c’è comunque un desiderio di essere contemporanei, che si riflette negli arrangiamenti dovuti anche a tutta la musica da cui mi sono fatto consciamente e inconsciamente contaminare.
Con i Green Like July hai sempre cantato in inglese, anche per via delle virtù fonetiche della lingua in un discorso 100% folk: è stato difficile lavorare con i testi in italiano? Testi e arrangiamenti si sono influenzati a vicenda?
L’italiano è uno strumento espressivo con regole differenti rispetto all’inglese. All’inizio, abituato a un canto più trascinato, ho fatto fatica. Le regole dell’italiano, poi, sono ferree e la tradizione cantautorale impone una riflessione attenta sull’utilizzo dei vocaboli. Ho scritto il disco su una versione “scalcinata” di Garage Band partendo dall’ossatura basso-batteria, sulla quale sono poi andato a mettere vari strati di voci e gli stessi arrangiamenti. In alcuni casi sono parte strutturale della canzone stessa, quindi c’è stata al massimo una mutua influenza.
Come hai portato a bordo le persone che poi sono finite in questo disco?
Durante la fase di scrittura mi sono reso conto che volevo coinvolgere altre persone. Per le parti cantate cercavo colori vocali diversi dai miei e quelli di Adele Nigro erano perfetti. Enrico Gabrielli, con cui avevo già collaborato, lo vedevo come “tassello finale”. Nel momento in cui mi ha detto sì ha imposto – ma con mio grande piacere – la presenza di Sebastiano De Gennaro, che già conoscevo e stimavo, e Yoko Morimyo, entrambi parte dell’ensemble Esecutori di metallo su carta. Quando si è trattato di scegliere il produttore, con Enrico abbiamo pensato a Eli Crews, che ha messo la firma sugli ultimi due dischi di Tune Yards, Nikki Nack e Whokill.
È un disco che lascia molte immagini all’ascolto quasi come fossero dei flash, in una maniera che ricorda quella di Morgan e dei Bluvertigo. Alcune di queste riguardano i luoghi, i viaggi, lo spostarsi. Sei d’accordo?
Il paragone con i Bluvertigo mi è già stato fatto e mi fa piacere. Quando sono usciti avevo 15 anni e ascoltavo metal, non potevo permettermi delle deviazioni così pop. Credo di condividere con loro ascolti e anche un certo immaginario. L’idea del viaggio è un’idea presente, me ne sto accorgendo ora che mi sto distaccando dal disco. È senz’altro un disco che parla più di luoghi che di persone.
Chi ha apprezzato i Green Like July come recepirà il disco solista di Andrea Poggio?
Mi fa piacere parlare dei GLJ, per il quale oggi noto un affetto che non percepivo quando la band era in vita. Controluce è una proposta diversa, ma ha una certa continuità con Build a Fire ovvero la voglia di portarsi oltre la forma canzone. Entrambi i dischi sono animati dalla stessa curiosità sebbene Build a Fire suoni più classico, mentre Controluce è senz’altro più coraggioso. A chi è piaciuto quel disco chiedo di seguirmi anche in questa mia ulteriore piccola follia.
Staccarti dalla chitarra ti ha liberato artisticamente?
Mi ha consentito di essere per la prima volta padrone di ogni singolo processo creativo della canzone. Ho sempre dato importanza alla struttura ritmica, ma in una band non sei solo e la tua idea viene processata attraverso la tecnica e il gusto di chi suona con te. Lavorare su parti costruite da me, che fossero semplici loop o pattern più complessi, mi ha aperto delle possibilità. Poi mi ha reso conscio dell’importanza dei silenzi in musica: quando si è in cinque in una saletta si fa fatica a capirlo. Mi sono sentito come un direttore di un’orchestra invisibile, e mi ha divertito scrivere parti di sax o flauto, strumenti che non sono certamente in grado di suonare.
Come lo porterete sul palco?
È un disco complesso da riprodurre nella sua interezza. Al momento sono coinvolte quattro persone. Gak Sato curerà le parti di tastiera e piano e manda le basi delle parti ritmiche. Poi ci sarà Yoko, con il suo violino. Caterina Sforza, invece, mi aiuterà con le parti di voce. La mia idea è di aumentare gradatamente il numero di persone coinvolte sul palco. Io per la prima volta sarò senza niente in mano.
Ti mette a disagio?
Una volta che, senza una chitarra, capirò dove mettere le mani, diventerà più divertente (ride, NdR).
La foto di Andrea Poggio in apertura è di Miro Zagnoli
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