SEX EDUCATION, FINALMENTE
La nuova serie prodotta da Netflix parla di sesso con naturalezza e senza fare la morale: altro che teen-drama
di Gaetano Moraca
Era dai tempi di The End of the F***ing World che non si trovava su Netflix un seria di tale portata. Anche in Sex Education abbiamo l’impressione di trovarci in America per genere e temi trattati, ma anche in questo caso accento e humor inglese tradiscono la vera origine. E anche la guida a sinistra, certo.
Ebbene, in una cittadina rurale immersa in una lussureggiante campagna si staglia un liceo pubblico in stile Glee, dove vegeta la solita e trita flora adolescenziale: lo sfigato e la popolare, il bullo e il gay bullizzato, la cattiva che però è buona e il buono che però è scemo. A cercare di porre un freno all’esuberanza di questi liceali che si vestono come fossero negli anni Ottanta ma usano gli smartphone, c’è un preside autoritario ma non abbastanza autorevole, coadiuvato da un paio di assistenti buoni e maldestri. E quindi?
Sarà l’aria pura che si respira per la natura circostante, ma questi adolescenti sono sempre, costantemente fissati col sesso. Ovunque, con chiunque, prima del suono della campanella, all’intervallo, nel dopo scuola. Sempre. E, seppur molto aperti alla diversità e alle nuove esperienze (non si è mai vista una scuola con così alta percentuale di etnie e orientamenti sessuali differenti), sono per lo più inesperti delle questioni legate al proprio corpo.
Così in Sex Education Otis (Asa Butterfield, il piccolo Hugo Cabret), che vive insieme alla madre ingombrante terapeuta del sesso (una magnifica Gillian Anderson) in una casa cosparsa di suppellettili a forma di fallo, forse per scienza infusa, si ritrova a fare consulenza sessuale ai suoi compagni a scopo di lucro. L’idea però è di Maeve (Emma Mackey), femminista e brillante, che ha fiuto per gli affari e bisogno di soldi perché viene da una famiglia scombinata. Inutile dire che lui si prende ben presto una cotta per lei; meno scontato è che Otis diventi un esperto del sesso nonostante soffra di un incomprensibile blocco del fazzoletto bianco (questa è mia, voglio i diritti).
Ogni puntata si apre con un focus su un caso terapeutico della premiata ditta Otis- Maeve, per arrivare a sviscerare qualsivoglia problematica adolescenziale (e non solo adolescenziale), dall’omofobia all’accettazione del proprio corpo, all’amicizia. Ma Sex Education si spinge oltre: con la leggerezza e l’ironia a cui ci abitua sin dal primo episodio la serie tratta la masturbazione femminile, l’interruzione volontaria della gravidanza, il sesso tra lesbiche, l’identità di genere, in un modo in cui non si era mai visto, senza mai diventare paternalistica (sarà perché è scritta da una donna, Laurie Nunn?). In mezzo a tante risate di gusto, anche qualche punta di tenerezza che non guasta mai. Si incrociano le dita per la seconda stagione, attualmente ancora non confermata.
In un paese come il nostro che processa Vladimir Luxuria per essere andata sulla televisione pubblica (eccezionalmente in seconda serata, guarda un po’) a indottrinare i bambini su come si diventa transessuali (sic!), questa serie non sarebbe mai potuta nascere: a conferma che un po’ di Sex Education, nelle scuole, nei consultori, in famiglia sarebbe necessaria.
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