SOULWAX – PUSH THE LIMITS
I fratelli Dewaele hanno pubblicato lo scorso marzo un nuovo studio album come Soulwax, From Deewee, dove tutto è stato registrato in un’unica take con stringenti limiti di tempo e una gamma limitata di strumenti a disposizione
di Enrico S. Benincasa
Sono tornati, ma non se ne sono mai andati. C’è forse chi li conosce solo come 2ManyDj’s, ma Stephen e David Dewaele, lo scorso marzo, dopo oltre 10 anni, hanno riproposto i Soulwax nella loro versione più “concreta” con From Deewee, un disco in studio nel quale suonano insieme al loro ex compagno Stefan Van Leuven, Laima Leighton e tre batteristi, Igor Cavalera, Blake Davies e Victoria Smith. Si sono autoimposti di fare tutto in pochi giorni, registrando l’intero album in un’unica take e limitando gli strumenti a disposizione. E lo hanno fatto nel loro studio Deewee (da qui il nome dell’album) a Gent, in Belgio. Qui era stata realizzata anche la colonna sonora del film Belgica, nella quale i due hanno composto 15 tracce immaginando di essere altrettanti artisti e gruppi tutti musicalmente diversi. Come nascono le idee dei Soulwax ce lo ha raccontato Stephen, che è in giro con la band per il tour estivo che li porterà anche a Catania (23/7) e Treviso (31/8).
Quando è nata l’idea di creare un progetto con tre batteristi?
È qualcosa che in fondo avevamo in testa da molto tempo, ma si è concretizzata l’anno scorso dopo Belgica. Abbiamo sempre ammirato sperimentazioni di questo tipo come, per esempio, quando i Boredoms hanno suonato con oltre 70 batteristi. Stavamo scrivendo nuovi pezzi e abbiamo provato a “destrutturare” le parti di batteria dividendole in tre. Intanto il nostro booking agent ci aveva trovato alcune date e, così, abbiamo deciso di chiamare i tre batteristi che suonano con noi adesso. È accaduto tutto molto velocemente, anche la scelta di fare un album dopo la manciata di date la scorsa estate.
Come li avete scelti?
Victoria l’abbiamo vista suonare live, ci è piaciuta sin dalla prima volta e ha accettato al volo. Igor è un nostro vecchio amico, ci siamo conosciuti a San Paolo oltre 10 anni fa e abbiamo sempre parlato di fare qualcosa assieme. È il primo che ci è venuto in mente quanto abbiamo pensato alla faccenda dei tre batteristi. Se non glielo avessimo chiesto penso che si sarebbe arrabbiato (ride, NdR) È stato proprio Igor a suggerirci di chiamare Blake, che aveva già suonato con noi. E per Blake sono sicuro che è un onore suonarci assieme perché è un suo grande fan.
Com’è andata la prima prova tutti assieme?
È stata dura. Io e mio fratello non siamo grandi batteristi, abbiamo fatto i pattern al computer e li abbiamo spiegati a Igor, Vic e Blake. Solo allora hanno capito che la traccia di batteria era unica e divisa in tre. Adesso, dopo le prove e i concerti che abbiamo fatto, conoscono benissimo le parti e, giorno dopo giorno, esce sempre più la personalità di ciascuno di loro quando siamo sul palco.
Quanto è cambiata la vostra scaletta dal primo live?
Alla prima data ai Magazzini Generali abbiamo suonato praticamente l’album intero e un paio di vecchie canzoni. Per i festival abbiamo preparare un nuovo set con anche un paio di pezzi nuovi. L’unico “problema” è che per fare un set nuovo dobbiamo provare molto, è complicato.
Perché nella cartella stampa avete scelto di elencare tutti gli strumenti con cui avete lavorato?
Abbiamo messo in chiaro che per farlo ci siamo dati dei paletti sulle tempistiche, ma in realtà lo abbiamo fatto anche con gli strumenti. Potevamo usare macchine più moderne, che abbiamo già nel nostro studio, ma abbiamo scelto di scrivere e registrare scegliendo prima cosa usare anche per rispettare i tempi che avevamo fissato. Sono le stesse cose che utilizziamo nei live, non ci sono differenze. Ci sono strumenti delicati, alcune rari o comunque non comuni e, in più di un’occasione dal vivo, abbiamo dovuto trovare una soluzione per qualcosa che non funzionava a dovere. Diciamo che sul palco, quando suoniamo, ci sono strumenti che cammino su una fune molto sottile (ride, NdR).
Qual è stata la parte più complicata dell’intero progetto?
Non è semplice scegliere. Forse avere un solo giorno per canzone in fase di mixing, sapendo che saremmo andati al mastering il giorno successivo. Ma è stato molto gratificante riuscirci. La parte più lunga è stata quella iniziale, tre settimane di prove. Poi abbiamo registrato 18 take in due giorni tra cui ne abbiamo scelta una. Non avevamo margini, se non avessimo finito nei tempi preposti non saremmo mai usciti con il disco in occasione della prima data.
Vi siete messi addosso un sacco di pressione…
Sì (lo ripete 4 volte e fa una breve pausa, NdR). Ci ha aiutato a tirare fuori il meglio, a prendere decisioni chiare e veloci sulla direzione da prendere, a privilegiare la sensazione generale alla perfezione. Abbiamo scelto la take finale basandoci più su questo aspetto che su tutto il resto.
Tra Belgica e From Deewee qual è stata la sfida più grande?
Direi From Deewee, ma solo perché dopo Belgica non siamo saliti sul palco, c’era altra gente a suonare le nostre canzoni. Con From Dewee è stato molto più intenso.
Non andiamo molto lontano dalla verità se diciamo che questi due progetti sono stati possibili perché avete creato il vostro studio a Gent…
Sì, certamente, uno dei motivi per i quali è nato è proprio per poter fare cose come Belgica e From Deewee. Avevamo bisogno di tempo per stare in uno studio e quale cosa migliore rispetto al proprio.
A proposito di dischi e studi di registrazione, tra poco ucirà il nuovo lavoro del vostro amico James Murphy. Hai già sentito qualcosa?
Sì, ho sentito un paio di cose, certo. E presto anche voi (ride, NdR).
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