GLI OCEANI SONO PIENI DI PLASTICA
Non sono segnate sulle carte nautiche, neppure si possono avvistare su Google Earth, eppure sono ben cinque le isole di plastica che fluttuano negli oceani: due nel Pacifico, due nell’Atlantico e una nell’Oceano Indiano. Le ha censite l’oceanografo Curtis Ebbesmeyer. E il Mediterraneo non è messo tanto meglio
di Marilena Roncarà
«Di fronte al mare la felicità è un’idea semplice» è facile essere d’accordo con lo scrittore francese Jean Claude Izzo. E tuttavia il mare a cui pensiamo per riconnetterci con un po’ di felicità è sempre qualcosa di vicino al paradisiaco, dove protagonista è la natura per nulla piegata dall’opera incurante e distratta dell’uomo. Ma i fatti, si sa, sono diversi e fonti documentate stimano in milioni di miglia quadrate l’estensione delle isole di plastica presenti negli oceani.
Si tratta di enormi accumuli di spazzatura galleggiante composti soprattutto da plastica. Quest’ultima pur subendo una fotodegradazione che produce una frammentazione in pezzi sempre più piccoli, mantiene intatte le catene molecolari di base per cui quello che resta è sempre un composto inquinante. La pericolosità va moltiplicata per l’estensione crescente degli accumuli: basti pensare che solo quella del Pacifico settentrionale, la Great Garbage Patch, è più grande degli Stati Uniti. Creata dall’azione di una corrente oceanica che si stima venga alimentata da una tonnellata di plastica al giorno, quest’isola (detta anche Pacific Trash Vortex) viene scoperta a fine anni Novanta dal capitano californiano Charles Moore che, di ritorno da una gara di vela, racconta di aver percorso un enorme tratto di oceano ricoperto di detriti galleggianti. Il problema ulteriore è che questi frammenti di plastica assomigliano al plancton, le particelle elementari da cui inizia la catena alimentare alla base dell’esistenza di ogni creatura marina, e anche i pesci e gli uccelli che non lo mangiano direttamente vivono comunque di altre creature che se ne cibano procurando, alla ne, notevoli danni per l’uomo.
Restando sempre in tema di Marine Litter un altro caso da segnalare è l’isola di Henderson, uno dei posti più remoti della Terra, un’isola disabitata nel mezzo dell’Oceano Pacifico meridionale un tempo considerata uno dei migliori esempi di atolli corallini, “paradiso naturale” secondo l’UNESCO, e ora praticamente invasa dall’immondizia che, dopo essere stata spostata per migliaia di chilometri dalle correnti oceaniche, è approdata sulle sue coste. Quello che arriva sono soprattutto bottiglie e sacchi di plastica, oltre che reti da pesca rotte, in più due terzi dei rifiuti non sono visibili perché coperti da uno strato di sabbia ammassata dalle maree. Per gli scienziati marini che l’hanno decretata l’isola più inquinata al mondo, si tratta della peggiore dimostrazione di come il comportamento umano possa rovinare un ecosistema delicato. Un ulteriore esempio di come il nostro stile di vita non proprio impeccabile ci torni indietro come un boomerang.
La situazione non è migliore nel Mediterraneo: uno studio pubblicato dalla rivista “Nature” e condotto per tre anni dall’Istituto di Scienze Marine di Lerici in collaborazione con il mondo universitario, parla di Mediterranean soup, un’isola di plastica che in alcuni punti raggiunge una concentrazione pari a quattro volte quella oceanica. L’area peggiore sembra essere quella compresa tra Corsica e Toscana, con concentrazioni misurabili fino a dieci chili di plastica per chilometro quadrato. Queste “isole” si formano in seguito ai vortici delle correnti capaci di raccogliere frammenti di varie dimensioni ripescati dagli scarichi lungo le coste, dai maremoti o dalle navi cargo che qualche volta si rovesciano in mare.
Cosa fare? La prima soluzione è il riciclo reale delle materie plastiche e non a caso ci sono città come San Francisco, Amburgo e Montreal che hanno messo al bando le bottiglie di plastica. In Italia Legambiente ha lanciato una proposta per arrivare a zero-plastica in discarica entro il 2020, mentre sempre nel nostro Paese dal 2012 i sacchetti monouso non biodegradabili e non compostabili sono banditi. Va però ricordato che gli interventi politici devono essere accompagnati da comportamenti individuali più consapevoli: e portiamola via quella busta abbandonata sulla spiaggia, la prossima volta che andiamo al mare.
Originariamente pubblicato su WU 80 (luglio 2017). Segui Marilena su Facebook
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