JACOPO FARINA – HELP YOURSELF
Fotografo per Contrasto, regista di video di artisti italiani come Cosmo, Zen Circus, Cosmetic, e Ministri, Jacopo Farina è metà del misterioso collettivo Sterven Jonger. È convinto che le cose succedano, in particolare quando c’è di mezzo una telecamera. Ma, prima di tutto, bisogna farle succedere
di Alessandra Lanza
Jacopo Farina è nato e cresciuto a Milano. Avrebbe dovuto studiare giurisprudenza ma, a 19 anni, si trova a fare da assistente a un fotografo e complici il caso, l’intuizione e la determinazione, segue un percorso che lo porta dalla fotografia al video, seguendo una costante imprevista: la musica. Nessuna scuola “creativa”, fa pratica correndo in motorino per Milano di notte alla ricerca di luoghi veri e insieme artificiali. Un lavoro sui rapper di Milano, Underground Doc, viene esposto nel 2011 a MiCamera, un giornalista di Vanity Fair lo nota e lo arruola come ritrattista, poi arriva l’invito da Contrasto. Il primo video musicale di Jacopo Farina è Noi fuori de I Ministri. È Federico Dragogna a suggerirgli di lavorare con Marco Proserpio, regista che arriva dalla gavetta di MTV. La coppia funziona e inizia l’avventura di Sterven Jonger. Il nome lo rubano a un pacchetto di sigarette olandesi trovato sulla scrivania di Marco, con la scritta Rokers Sterven Jonger: «i fumatori muoiono giovani».
Perché avete deciso di nascondervi dietro quel nome?
Proserpio-Farina suonava come una marca di lavatrici della Brianza ed era un periodo di esterofilia, non solo in ambito musicale. Era il 2011, Pisapia aveva appena vinto le elezioni ed eravamo gasati per quel piccolo miracolo, perché terminava il periodo oscuro con la Moratti, che aveva fatto di Milano un posto per vecchi. Nell’euforia abbiamo deciso di adottare l’alone di segretezza, una “lollata” nei confronti di tutti e un modo per creare complicità tra me e Marco, che facevamo tutto in due: io prima di allora non avevo mai montato un video. Quando quello di Noi fuori è stato presentato eravamo seduti in mezzo al pubblico: è stato molto più bello e misterioso.
Recentemente, però, avete sciolto la riserva e ora sul sito viene chiaramente riportata la vostra identità.
A un certo punto abbiamo iniziato a lavorare anche da soli. Ci sono video interamente realizzati da me, mentre Marco sta investendo molto tempo in un documentario su un Bansky rubato da un tassista in Palestina, di cui io sono solo direttore della fotografia. Per il momento voglio continuare a realizzare videoclip, linguaggio ancora molto snobbato e ritenuto a torto un’arte minore. Certo, alcuni video fatti male fanno schifo, ma trovo che sia la forma di sperimentazione più fica che ci sia.
Com’è l’ambiente creativo italiano, paragonato all’estero?
Molti in Italia non si fidano, hanno paura di rischiare e sono convinti che il pubblico voglia la merda. Invece il pubblico sa cosa vuole e appena qualcuno osa viene premiato. Se pensi alla musica, a gente come Calcutta, Ghali o la Dark Polo Gang, piaccia o meno, è evidente che la novità non la fermi. Le strutture vecchie non lo capiscono, forse è meglio così. Ultimamente ho lavorato con Taschen e CNN: gli stranieri rispettano maggiormente le tue idee e il tuo stile, vogliono sentirti dire la tua, perché sanno che è il valore aggiunto che puoi dar loro. In Italia, comunque, non tutto è indietro, prendi Fondazione Prada, per cui lavoro da un anno, che non ha paura di sperimentare e mi permette di farlo.
La musica che parte ha nella tua vita? Sei tu a scegliere i gruppi per cui fare video?
Ho sempre ascoltato tanta elettronica e poca musica italiana. Oggi la maggior parte delle proposte mi arriva da gruppi che ascolto per la prima volta. L’anno scorso mi hanno chiesto di realizzare il video di Occidentali’s Karma: ho risposto con un’idea che alla fine non è stata accettata. Io non avrei mai messo una scimmia che balla.
Per Cosmo hai realizzato il video de Le Voci nel 2016 e di Sei la mia città quest’anno. Chi ha contattato chi?
L’ho avvicinato a un evento cui presenziava come produttore di un piccolo gruppo. Gli ho chiesto di fotografarlo durante le loro prove con i Drink to Me (la sua band, NdR) e poi gli ho proposto di fare un video insieme: lui mi ha fatto ascoltare un paio di brani e io ho scelto Le Voci, girato interamente a Ivrea, la sua città. Per diversi motivi Marco Proserpio non era riuscito a partire con me e mi sono trovato per la prima volta a fare tutto da solo, con il risultato che a fine riprese mi è venuta una bronchite terribile.
È stato un video-spartiacque nel tuo percorso?
Sì, ha dato vita per me a un nuovo modo di pensare. Da lì, in un anno e mezzo, ho realizzato da solo una decina di videoclip.
Verità o finzione?
Quello che succede nel video de Le voci è tutto molto vero, ma è anche finto: non si fanno tutte quelle cose in tre giorni. È una sintesi estrema, ambientata nella provincia decadente. Non c’erano tanti soldi per un set, ma soprattutto il set ce lo avevamo già. Non deve tutto per forza sempre somigliare a New York, come succedeva negli anni Novanta, oggi è più figo che il soggetto sia ambientato a Ivrea. Il video di Sei la mia città, ispirato alla mia esperienza in tour con Cosmo, ha un mood più patinato e un pubblico forse più femminile, più propenso a vedere un gruppo di uomini che hanno un rapporto molto fisico tra loro, per quanto privo di connotazioni sessuale. È il loro modo di fare di uomini di provincia del nord, nuovo per me che sono nato e cresciuto a Milano, e Cosmo è il loro capobranco. È la stessa fratellanza che trovi nel video di The Blaze, Virile, girato nelle banlieu di Parigi e ci sono suggestioni che ricordano Le Voci, compresa la thumb del video. Ho scoperto queste convergenze abbastanza di recente, eppure i video sono usciti nei primi mesi del 2016 praticamente in contemporanea.
C’è un generale ritorno alla verità, insomma.
Andare al vero è più interessante. Si usa il finto per arrivare al vero e prendendo dal vero. Questo gusto per la vita vera sta tornando anche nella trap. C’è il fascino per le case popolari, la camorra, i dialetti. Liberato, per dire, è arrivato grazie a Gomorra. La gente, oggi, ha bisogno di vedere qualcosa di autentico: qualcuno ha saputo intercettare il bisogno prima di altri.
Quanto di quello che succede è improvvisato?
La sceneggiatura viene prima, senza canovaccio è difficile fare qualcosa che sembri spontaneo, poi arriva l’improvvisazione. Non sono uno che osserva da lontano e spesso faccio succedere le cose: quando hai in mano una camera ne capitano di assurde, che non ti aspetti, è la chiave di accesso a mondi magici. Non sono tanti gli strumenti che ti consentono di entrare così tanto nell’intimo e nella vita degli altri, di frugare e di restare nei loro ricordi, di influenzare la loro storia che diventa un po’ anche tua. Come nel video di Viva degli Zen Circus, realizzato con foto d’archivio. Ufo mi ha detto che ogni volta che arriva la parte in cui compare un suo carissimo amico, gli viene da piangere. Entrare nelle vite degli altri e nutrirsene è qualcosa di un po’ malato e insieme da camaleonte: bisogna adattarsi e soprattutto farlo con rispetto.
Come vive Jacopo Farina il suo ruolo di regista?
Per me ogni video è come un piccolo show. Non è molto diverso da una performance live di un musicista. Mi piace pensare che è un lavoro che faccio per gli altri e che loro sentano di potersi fidare di me. Cerco sempre di farli divertire di brutto, emozionarli, regalargli dei bei ricordi, farli spingere sempre un po’ più in là. Con uno come Cosmo non è difficile, lui è irrefrenabile. Mi sento di vivere dentro una realtà potenziata, in un film, mentre lo sto facendo: dopo le riprese sono sempre stanco morto, drogato di serotonina. Ho capito che tra l’altro alle persone sto più simpatico quando filmo, che quando parlo.
Determinazione o intuizione?
Ci vuole determinazione, tantissima, ma bisogna seguire un’intuizione, che da sola non basta, ma è fondamentale per capire che bisogna avere determinazione. Che basti solo ed esclusivamente quest’ultima per raggiungere un obiettivo resta però l’insegnamento più sbagliato che si possa dare. Per raggiungere livelli alti occorre essere onesti e spietati con se stessi. Io sono molto severo, mi sembra di non fare mai abbastanza. Il problema oggi è che c’è un sacco di gente che non ha fiducia in se stessa e che non accetta l’intuizione. Riuscire a riconoscerla, a seguirla e farne un lavoro è un obiettivo.
Hai sempre ottenuto tutto quello che volevi?
Più o meno sì. A 26 anni ho stilato una lista di obiettivi da raggiungere entro i 30 e ce l’ho fatta. Anche con quella che adesso è la mia ragazza. Ora di lista ne realizzerò un’altra, in cui una parte importante la giocheranno anche i soldi, da usare per fare cose sempre più belle.
(la foto di Jacopo Farina in apertura è di Alessandra Lanza. Segui Alessandra su Instagram e Linkedin)
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