ELISA BEE
di Serena Belcastro
Abbiamo incontrato Elisa Bee, dj e producer di Alghero, da anni a Milano fra le fila di Radio 2 nel programma Babylon e oggi fuori con un nuovo EP, Mind Game, appena pubblicato per l’etichetta Unknown to the Unknown (UTTU). Parlando del suo percorso artistico, ci ha rivelato che le categorie (dal ruolo di donna, ai generi musicali, allo stile) le stanno piuttosto strette e abbiamo deciso di interpretare la sua anima sperimentatrice attraverso degli scatti intimi e uno stile essenziale.
Come sei diventata Elisa Bee? Ci racconti delle tue origini, territoriali e musicali?
Tutto è partito da Alghero, la mia città. Sono sempre stata ossessionata dalla musica sin da bambina: ascoltavo tanto rock, reggae e jazz. A 21 anni, appena laureata (controvoglia) in architettura, ho iniziato a suonare nel locale in cui lavoravo come cameriera nei weekend. È stato estremamente stimolante iniziare questo percorso in un luogo così “vergine” musicalmente parlando, perché questo mi ha permesso di sperimentare e di giocare con i miei set, spaziando dall’acid jazz al reggae, dal rap al trip hop. Soltanto dopo mi sono avvicinata alla techno e alla house, iniziando ad ascoltare le produzioni degli altri dj. Ho imparato la tecnica da autodidatta e poi non mi sono più fermata, fino ad arrivare a Babylon a Radio 2 e da lì alle prime produzioni nel 2012.
Parlami di Mind Game. In cosa si differenzia dalle precedenti produzioni?
Ho iniziato con dei singoli che sono usciti su etichette importanti, ma per i quali mi lasciavo sempre guidare dalle influenze del momento: passando da suoni più tropicali al footwork con bpm velocissimo… Diciamo che gli ultimi due EP, dai suoni decisamente più asciutti, sono le produzioni che mi rappresentano di più. Mind Game in particolare riassume alla perfezione il mio gusto e le mia più recente ossessione per un certo tipo di letture.
In effetti i titoli dei pezzi sembrano nascondere un significato preciso. Immagino abbiano a che vedere con queste letture, giusto?
Esatto, questo lavoro nasce in concomitanza e come completamento di queste letture, in primis Il Tao della Fisica di Fritjof Capra che è diventata, a tutti gli effetti, la mia “bibbia”. Ero già appassionata da anni di fisica quantistica. Se ci pensi, la fisica pervade qualsiasi cosa e sta alla base di tutto, anche della musica ovviamente. Così, durante la lettura di questo libro – che traccia le similitudini tra i misticismi orientali e le scoperte scienti che della fisica prettamente occidentali – ho iniziato a immaginare come potrebbe essere il suono di un ciclo cosmico (Kalpa) o di una stella di neutroni (Pulsar). Mind Game è quindi una mia personale interpretazione in musica di alcuni fenomeni che ho studiato sul testo di Capra e i titoli sono presi proprio dalle pagine di questo libro.
Le tue passioni/ossessioni sono quindi la musica e la fisica, due materie in un certo senso poco tangibili. Cosa puoi dirci del tuo immaginario visivo?
Essendo così ossessionata da sempre con la musica, gli artisti che seguivo hanno finito per influenzare anche il mio gusto per lo stile e per la dimensione visuale. Erikah Badu e Bjork fra tutte, con i loro look estremamente potenti ed eclettici. Sono stata sempre affascinata dalla loro capacità di sperimentare ed essere camaleontiche. Mi piacciono tante cose diversissime tra loro e non riuscirei proprio a scegliere un unico stile visivo che mi contraddistingua.
Essere donna ha in qualche modo influenzato il percorso artistico di Elisa Bee?
Decisamente no, non ho mai realmente sentito di appartenere a una categoria definita. Considero la sessualità e l’amore come qualcosa di fluido e per me non esiste distinzione netta tra uomo e donna. Nell’ambito lavorativo e artistico io credo tanto nel “saper fare”, poco importa il genere, se sei bravo in quello che fai e lo fai con impegno, puoi fare quello che vuoi. Diciamo che non mi riconosco nel ruolo di donna, ma in quello di essere vivente che abita questo pianeta a caso, sospeso nel vuoto.