FRAH QUINTALE – D’ISTINTO
Abbiamo incontrato Frah Quintale per parlare del suo nuovo disco Regardez Moi, del suo trasferimento a Milano, dell’utilizzo “creativo” di Spotify e del futuro che lo attende. Sul palco, ovviamente
di Enrico S. Benincasa
Esce oggi per Undamento Regardez Moi, il nuovo disco di Frah Quintale, metà dei Fratelli Quintale che da qualche tempo ha intrapreso la carriera solista. Di questo lavoro abbiamo avuto la possibilità di sentire Cratere e Nei treni la notte, singoli con tanto di video che Frah Quintale e il suo team hanno pubblicato nei mesi precedenti e anche una playlist su Spotify, Lungolinea, che prima dell’estate ha raccontato il lavoro a questo album in maniera inusuale (la trovate anche sotto). Regardez Moi è il suo primo album ufficiale solista, ma dalle sue parole è chiaro quanto contino le persone che compongono il suo team, non a caso usa spesso il plurale quando parla. Incontriamo Frah Quintale negli uffici di Undamento intento a finire le cover del disco che sta realizzando a mano: disegnare è una delle tante cose che sa fare e il mondo dei graffiti, se lo conoscete un po’ o avete visto il video di Nei treni la notte, è qualcosa che gli è molto vicino. Lo interrompiamo per chiacchierare davanti a un caffè, di Regardez Moi e dei prossimi progetti che ha in programma.
Regardez Moi è un po’ il “riassunto”dell’ultimo periodo di vita di Frah Quintale, quello che ti ha visto trasferirti da Brescia a Milano in pianta stabile circa un anno fa. Giusto?
Sì, è un po’ un concentrato di cose che ho fatto da prima di venire a Milano e che poi ho continuato qui. Ci sono dei pezzi un po’ più vecchi, tipo Cratere e 8 miliardi di persone, le più nuove sono invece Avanti / Indietro e Nei treni la Notte. Un anno e mezzo di lavoro, un concentrato di vita che parte da quando ho iniziato a dire a me stesso «voglio venire a Milano». Sono dieci in totale, cinque inedite e cinque no.
È stato difficile scegliere?
Sì, avevo un sacco di materiale ed è anche uno dei motivi per cui abbiamo creato Lungolinea, la playlist che abbiamo pubblicato su Spotify qualche mese fa. Mi capita spesso di essere in studio, magari la sera, e apro strumentali e provini che non ho ancora chiuso. Magari in quel momento inizio a lavorarci, ma poi la mattina non sono più nel mood e finisco lì. Ci spiaceva buttare via certe cose che comunque avevano una loro validità, e quindi abbiamo creato la playlist, uno spunto curioso che mostra un po’ cosa succede quando si lavora a un disco.
Ci sono degli intermezzi con messaggi vocali di Whatsapp montati su delle basi. Hai avvertito le persone che ti hanno mandato questi messaggi che sarebbero finite su Spotify?
È stato super figo, ci siamo fatti grasse risate riascoltandoli così montati! Ho messo messaggi di tante persone che hanno girato attorno a questo disco, per esempio ci sono quelli della ragazza che mi ha aiutato a fare le grafiche. Non ho detto a nessuno che stavo preparando questa cosa, probabilmente c’è ancora qualcuno di quelli finiti sui vocali che ancora non lo sa (ride, NdR).
C’è qualche commento che ti è rimasto impresso su Lungolinea?
Mi hanno detto in tanti che è stata una scelta azzeccata, che ricorda i dischi rap anni Novanta, quando c’erano gli skit a metà disco. Mi sono un po’ ispirato a quel modo di fare per questa playlist.
Cos’è finito nel disco da questo esperimento?
Accattone, che era solo un provino realizzato una sera in studio. Avevo fatto prima e seconda strofa al volo, poi ci è piaciuta e l’abbiamo tenuta super spoglia perché secondo noi funzionava così. È il suo bello. Alla fine, sia Lungolinea sia Regardez Moi, sono come cartelle Dropbox che ho sul mio computer e che voglio condividere con chi mi ascolta.
Il video di Cratere è ispirato a Frank di Lenny Abrahamson?
In parte. Ai tempi del mio primo EP continuavo a disegnare la mia faccia e per questo disco volevo fortemente farne una maschera. Avevo visto Frank quando era uscito, e cercando un tutorial, mi sono imbattuto in quello dei creatori della maschera per il film. Per realizzarla avevano usato una palla da pilates: ho seguito più o meno il loro esempio, ma ho usato un casco da bici. Diciamo che ci ho messo la mia inventiva, è una mezza citazione più che altro visiva. Ma il fatto di non mostrarsi, per chi viene dal mondo dei graffiti come me, ha sempre un certo fascino.
Ti muovi comunque su tutti i livelli, oltre alla musica hai curato anche l’artwork di questo disco…
È la prima volta che faccio tutto a 360 gradi, dalla musica all’artwork. Strimpello un po’ tutti gli strumenti e so usare Logic, poi mi confronto sempre con Stefano Ceri che cura le produzioni. In questo lavoro qualcosa è partito da lui, qualcosa da me. L’artwork, le cover e in generale le grafiche le curiamo assieme con il team. Sono abbastanza puntiglioso su queste cose e preferisco lavorarci in prima persona perché alla fine so quello che voglio.
Canti in una maniera riconoscibile, hai uno stile personale e sei autodidatta. Hai mai pensato di approndire?
Preferirei farlo con uno strumento piuttosto che con il canto. È qualcosa di naturale e spontaneo, non so dove vado e mi lascio trasportare. Ho imparato così e mi sento abbastanza libero.
Come scrive in genere Frah Quintale? Parti sempre dalle parole?
Scrivo sempre molto e mi segno un sacco di cose, in studio poi le tiro fuori e mi concentro sui concetti chiave che mi ero appuntato. Alle volte parto da una melodia, altre invece è freestyle totale. Con Nei Treni La Notte, per esempio, avevo solo la barra «La strada è una pista da ballo / mi sorride con i denti in metallo», il resto è stato flusso di coscienza.
Hai in programma altri video?
Ne faremo altri due, di cui uno sarà Floppino. Ma il nostro non è un progetto che gira attorno al video. Per Nei treni La Notte, per esempio, il video non doveva esserci, ma mi è venuta l’idea di usare il materiale che avevo io e altri amici che dipingono. Alla fine è un video di materiale di archivio, con immagini tratte anche da un film underground che si chiama My Bad, realizzato da alcuni amici di Brescia che lo hanno proiettato solo una volta in un posto mezzo abbandonato. Con una mia amica ci è venuto in mente di utilizzare questo materiale che poi ho montato. Non è venuto fuori per progetto, è stato naturale farlo. Non lavoriamo certo a caso, ma conta molto l’istinto. Anche per il disco: in origine avrei voluto avere un po’ più di tempo per finirlo, ma alla fine si era creata la situazione giusta ed è stato bello farlo così.
Come ti vedremo dal vivo?
Sul palco saremo io e Ceri. Mi piacerebbe in futuro provare anche una soluzione più allargata, perché penso che quello che facciamo si adatta a essere suonato con una band. Vedremo.
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