CHIAMAMI COL TUO NOME È UN’OPERA D’ARTE
Chiamami col tuo nome fa riscoprire in Italia il regista palermitano Luca Guadagnino e gli regala quattro candidature agli Oscar, tra cui miglior film e attore protagonista
di Gaetano Moraca
Una bellissima villa da qualche parte nel nord dell’Italia circondata da pergolati, alberi di pesche, albicocche e melagrane. I ruscelli scorrono nella pianura circostante, formando pozze d’acqua ghiacciata, dolce ristoro dopo una sudata in bici sui sentieri di terra battuta. Colazioni all’aria aperta, domestici che si occupano delle incombenze, giornali da sfogliare, sigarette da aspirare voluttuosamente, libri da tradurre, musica da trascrivere, diapositive di sensuali statue greche da catalogare. Attendendo la fine dell’estate, il 17enne Elio (Thimothée Chalamet) in vacanza nel casolare nobiliare insieme ai suoi coltissimi genitori si culla in un rassicurante otium e qualche uscita con gli amici. L’arrivo di Oliver (Armie Hammer), 24enne dottorando del padre, bello e sicuro si sé, spariglia le carte e l’animo di Elio, rendendo indimenticabile quell’estate del 1983 che nell’aria afosa propaga le note di Radio Varsavia di Battiato, J’Adore Venise di Loredana Bertè e Love My Way dei The Psychedelic Furs.
Tra nuotate, gite in bicicletta, sonate di Bach e sculture di Prassitele, i due ragazzi sono avviluppati in un vortice d’attrazione che prima li porta a respingersi, poi ad avvicinarsi, infine a avvinghiarsi sentimentalmente l’uno all’altro. In Chiamami col tuo nome (candidato agli Oscar in quattro categorie, tra cui miglior film), il regista palermitano Luca Guadagnino mette in scena l’attrazione e la passione senza bisogno di didascalie. La sensuale presenza della natura ha la meglio sui dialoghi, i comportamenti incontrollati sulle parole, gli slanci sulle spiegazioni. Come in un quadro impressionista, la macchina di Guadagnino sfiora turbamenti, passi falsi, ripensamenti e il dolore di conoscersi davvero per la prima volta; fino a diventare rispettoso testimone di quella passione senza nome. «Chiamami col tuo nome, io ti chiamerò con il mio» si sussurrano Oliver ed Elio, finendo per donarsi la rispettiva identità come supremo atto d’amore.
«La natura ha metodi ingegnosi per scovare il nostro punto debole», dice a Elio suo padre alla fine di Chiamami col tuo nome – dialogo che vale tutti i non detti precedenti – lasciando trasparire il suo supporto, l’ammirazione per il suo coraggio, e una punta di rammarico per non averne avuto abbastanza alla sua età. Ne viene fuori un’opera d’arte di estrema potenza e fascinazione – forse meglio riuscita del libro di André Aciman, da cui il film è tratto – che si rivolge a una platea universale, facendoci dimenticare che i protagonisti sono due ragazzi. La colonna sonora di Sufjan Stevens fa il resto, se ce ne fosse bisogno.
L’Italia deve tanto a Guadagnino per questo film, per la magnifica rappresentazione della pianura padana che odora di Bertolucci, per il suo sguardo delicato. In passato la sua patria gli ha riservato fischi (Io sono l’amore e A Bigger Splash, entrambi “buati” a Venezia) ora, grazie anche al clamore degli Oscar, pare stia rivendicandone i natali. Statuette o meno, vale la pena chiamare questo film col suo nome: capolavoro.
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