GUMMY GUE – ART DON’T LIE
Gummy Gue con il suo Playground, il lavoro sul campo da basket del Parco Carrà di Alessandria, ha realizzato uno dei migliori esempi di intervento creativo in uno spazio dedicato allo sport. A Catania, dove è nato e vive tuttora, è anche direttore artistico di Ritmo, spazio culturale molto attivo in città
di Enrico S. Benincasa
È passato circa un anno e mezzo quando le foto di Playground, il lavoro di Gummy Gue al Parco Carrà di Alessandria, hanno fatto il giro di Internet finendo su ogni sito specializzato di arte e design del mondo. La potenza visiva di questo lavoro non poteva, d’altronde, non lasciare un segno forte. In questo lasso di tempo il percorso artistico di Marco Mangione aka Gummy Gue (se vi chiedete perché questo nome, è legato alla Sicilia e alle “battaglie” con le arance che faceva da giovanissimo con i suoi amici) è continuato mantenendo un doppio lo con lo sport e con gli spazi pubblici, ma senza dimenticare il lavoro dello spazio Ritmo a Catania, di cui segue la direzione artistica insieme a suo fratello.
Qual è il tuo percorso scolastico e artistico? Sei autodidatta o hai alle spalle studi specifici?
La passione per il disegno si è manifestata prima degli studi, ho sempre disegnato tanto sin da bambino. L’invenzione di personaggi e fumetti ha svolto un ruolo importante nella produzione della mia adolescenza. Sono cresciuto in un clima familiare favorevole, i miei genitori sono entrambi artisti e insegnanti in questo ambito. Come scuole ho frequentato l’Istituto statale d’Arte e il corso di scenografia l’Accademia di Belle Arti di Catania.
Sei attivo nel mondo del graffiti writing dagli inizi degli anni 2000. Quanto è cambiato il tuo stile rispetto a quando hai cominciato?
Ho cominciato con il writing dedicandomi allo studio della lettera, un universo infinito e molto stimolante. In seguito l’ideazione di personaggi e ambientazioni hanno contaminato profondamente il mio modo di intervenire su una superficie murale. Il 2006 è stato un anno molto importante, dove il desiderio di dare forma a un’icona riconoscibile ha portato alla creazione di un personaggio femminile nella produzione di Gummy Gue, Pupa Guè, da cui si è poi sviluppato un linguaggio sempre più definito che ha accompagnato la mia produzione fino a oggi. Rispetto agli inizi ho acquisito consapevolezza: prima c’era solo un’espressione liberatoria e molto istintiva, adesso c’è più controllo, rigore e un intenso studio nella fase progettuale che rappresenta il momento della creatività.
Quali sono i riferimenti artistici di Gummy Gue?
Apprezzo molto il lavoro di Kandinsky e del gruppo artistico De Stijl, di cui Mondrian faceva parte, li ammiro molto anche per la loro importanza storica, ma ce ne sono altri che mi toccano più da vicino. Mi piace moltissimo l’uso del colore e l’allegria di Matisse, le forme morbide dell’immaginario di Hans Arp, le figure stilizzate di Depero. Ammiro inoltre Mendini e la ricerca sul colore e sulla forma del gruppo Memphis. Tra gli artisti contemporanei che mi hanno influenzato ci sono 108 e Momo, due rappresentanti di spicco dell’astrattismo urbano. Loro in particolare sono stati fondamentali in certi passaggi della mia ricerca.
Ti aspettavi il grande successo del playground di Alessandria? Sei finito su tutte le riviste e siti specializzati del mondo. Com’è nato quel progetto?
Non mi aspettavo tutto questo riconoscimento, anche se solo guardando le foto scattate da Ugo Galassi avevo capito che si trattava di qualcosa di forte e coinvolgente. Il progetto è nato grazie all’associazione che organizza Inchiostro Festival, un appuntamento estivo dedicato all’illustrazione che si svolge ogni anno e a 108, che si è occupato della direzione artistica dell’iniziativa. L’idea nasce dalla possibilità di attraversare lo spazio del campo, di stare dentro la composizione e di poter cambiare la percezione delle forme con il movimento del gioco. Naturalmente si dovevano rispettare gli schemi delle aree prestabilite, ma al tempo stesso era necessario sentirsi liberi di interagire con forme e colori. La scelta è stata motivata da un riferimento diretto al mondo dello sport, per questo ho utilizzato un campionario di colori usati nei campi da basket combinandoli tra loro e aggiungendo varianti personali. Dalla composizione volevo che emergesse la dinamica del gioco e che venisse esaltato il movimento.
È casuale il fatto che hai messo la tua firma anche su uno skatepark a Ravenna e che stai facendo un lavoro per il CONI?
Playground è stato determinante a far sì che l’ambiente dello sport si interessasse al mio lavoro, soprattutto per le mie forme che, per certi versi, richiamano molto l’attività sportiva. Il mio interesse per le nuove potenzialità espressive della superficie, che da verticale diventa abitabile e percorribile, nelle ultime esperienze mi ha portato a intervenire in diversi ambienti legati all’attività collettiva. Impianti sportivi e aree ricreative sono gli spazi urbani dove sperimentare il movimento e l’attraversamento di uno spazio fruibile, per ottenere una visione variabile che si rigenera continuamente, come in una simulazione virtuale vissuta nello spazio reale.
Lo stile che stai esprimendo adesso mi sembra che si adatti benissimo alle dimensioni importanti, come quelle di un muro o di un campo da basket. Ti trovi bene a proporlo anche su altri supporti o in dimensioni più “ristrette”?
Lavoro molto volentieri anche in studio e realizzo opere su tela e su altri supporti. Mi piace sperimentare anche linguaggi diversi come il video, l’elaborazione di tappeti sonori da poter utilizzare negli allestimenti o nei teaser di presentazione di alcuni lavori, l’utilizzo della carta o di altri materiali per piccole sculture. Mi piace lavorare insieme a mio fratello Andrea che, oltre a portare avanti il suo percorso artistico, accompagna l’attività del progetto The Gummy Gue sin dagli inizi e mi affianca nella realizzazione delle opere di grandi dimensioni. Questo ci porta anche a esprimerci insieme con il progetto Brevidistanze, dove indaghiamo le possibilità associative dei diversi linguaggi proposti da entrambi.
Insieme a lui sei direttore artistico di Ritmo, spazio culturale indipendente di Catania nato nel 2013. Come procede questo progetto e come interpreti questo ruolo?
Il progetto continua la sua attività di divulgazione, promuovendo il lavoro di artisti per i quali nasce curiosità. La nostra programmazione cerca sempre di alternare progetti differenti, la parola Ritmo è stata scelta per indicare proprio il desiderio di circolarità tra artisti diversi e differenti linguaggi espressivi. Per quanto riguarda l’attività di direzione artistica, decidiamo insieme gli artisti da proporre, discutendo e valutando le possibilità di sviluppo in maniera collettiva con tutti i membri di Ritmo. Li scegliamo in base a un interesse sincero nei confronti del loro lavoro dopo un’attenta osservazione. La collaborazione con un autore pone a volte le basi per lo sviluppo di progetti futuri, si individuano così dei canali di ricerca che tentiamo di perseguire, come ad esempio quelli dell’arte urbana, dell’editoria, delle tematiche di rappresentazione figurativa, dei linguaggi digitali e multimediali. A volte gli artisti arrivano senza che noi li scegliamo, scrivendoci per proporci un progetto che vorrebbero realizzare, e noi lo valutiamo in base al nostro gusto e alle nostre possibilità.
Oltre al progetto con il CONI di cui ci hai fatto vedere una piccola anticipazione online, che appuntamenti hai nei prossimi mesi?
Siamo in attesa delle fotografie del lavoro al CONI, spero presto di poter pubblicare qualcosa. In programma ho una serie di progetti nello spazio pubblico, sia in Sicilia sia in altre parti d’Italia, forse all’estero a settembre ma non è ancora sicuro. Lavorerò in studio per alcune esposizioni previste per quest’estate: un progetto Brevidistanze per la fondazione Oelle e una collettiva dedicata all’Astrattismo Italiano, che mette in relazione i maestri del Novecento con le nuove tendenze urbane.
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