RIDERE DIETRO IL MICROFONO
Si sta affermando una nuova leva di giovani e bravi stand-up comedian italiani. La loro è una comicità che abbandona gli sketch per il monologo e si basa sul vissuto personale degli attori, che diventano anche autori di se stessi
di Matilde Quarti
Un palco illuminato da luci soffuse, un microfono ad asta, un comico in completo che fa un lungo monologo in inglese: questi sono gli elementi a cui pensiamo quando sentiamo parlare di stand-up comedy. America del Nord e locali fumosi, come da tradizione, ma anche teatri e auditorium, che accolgono un pubblico più vasto e sicuramente meno esperto e dove vengono registrate le puntate poi trasmesse da canali televisivi e piattaforme online. I nomi li conosciamo tutti: Sarah Silverman, diventata famosa per i suoi monologhi improntati su attualità, problemi delle donne e sulla sua eredità ebraica, John Maloney, che racconta scene tragicomiche della sua vita privata e matrimoniale, o Gad Almaleh, che con marcato accento francese ironizza sulle differenze tra statunitensi ed europei. E si potrebbe andare avanti così all’infinito, o quasi.
Una comicità per certi versi più intima, che impone agli attori di scavare nella propria esperienza e nel proprio vissuto, affinato in modo da renderlo comprensibile a tutti. Si parte dal privato e poi si universalizza, insomma, perché l’obiettivo è far ridere una platea il più vasta possibile, facce di cui il comico non può conoscere la storia e a cui deve, comunque, strappare almeno un sorriso. «La stand-up comedy è molto personale, i comici parlano delle proprie vite e quindi non esistono più gli autori: la persona che recita il monologo è anche quella che lo ha scritto. Ed è una cosa che nella tradizione comica italiana non è molto presente, siamo abituati a comici che hanno ciascuno il suo autore». A parlare è Jacopo Cirillo, cofondatore insieme a Giulio D’Antona, Davide Azzolini e Dazzle Communication di Aguilar Entertainment, realtà che ha il merito di aver acceso i riflettori anche in Italia sulla stand-up comedy, portando in tournée una nuova leva di giovani comici, ispirati e divertenti, seguiti da un pubblico sempre più nutrito.
Aguilar ha solo due anni, ma Cirillo e D’Antona hanno cominciato a organizzare spettacoli di stand-up già dall’anno prima. Una storia che è partita da Milano, con la solida collaborazione di un locale – Santeria Social Club – e che è scesa lungo lo stivale collaborando con teatri storici e nuove realtà, da Le Musichall di Torino, diretto da Arturo Brachetti, all’Auditorium di Strada Nuova di Genova, condotto da Eleonora D’Urso, al Teatro Bellini di Napoli. Un progetto ambizioso, che ha toccato anche varie capitali europee e non fa mistero di ammiccare agli Stati Uniti: i ragazzi di Aguilar, infatti, portano nei nostri teatri anche comici americani, come Matteo Lane, e stanno organizzando, per il futuro, tournée statunitensi per gli attori di casa nostra.
Tra questi, la punta di diamante è sicuramente Saverio Raimondo, con cui Cirillo e D’Antona collaborano da tempo. Raimondo, fucina di creatività (suo è il programma Comedy Central News sul canale Sky Comedy Central), è ormai conosciuto al grande pubblico per le sue ospitate in vari programmi di La7. Il suo gesticolare, la mimica facciale, la voce acuta, penetrante, quasi stridula, si riconoscono subito, così come le sue pungenti battute su attualità e politica. E poi c’è Luca Ravenna, milanese trapiantato a Roma, che con ironia garbata mette in parodia la vita quotidiana e continua la fortunata tradizione dello humor basato sulle opposizioni tra città, abitudini e attitudini: per chi è cresciuto a Milano ordinare un caffè o prendere un taxi a Roma possono essere esperienze sinceramente traumatizzanti. Michela Giraud, romana, arriva da esperienze televisive (tra cui anche Colorado) e porta sui palchi della stand-up comedy un’ironia più introspettiva, concentrandosi su problematiche femminili e piccole e grandi insicurezze delle trentenni di oggi.
Sono sempre di più i giovani che si avvicinano alla stand-up comedy, probabilmente stufi di una comicità che si basa principalmente sull’assurdo o sulla satira politica, e favoriti a entrare nell’ambiente dalle serate open mic, in cui chiunque può prenotarsi e provare per cinque minuti ad alto tasso d’ansia a far ridere il pubblico. È qui che gli aspiranti comici capiscono davvero se hanno la pasta per stare su un palco e divertire con le loro storie. «È una cosa meritoria per un ragazzo giovane», ribadisce Jacopo Cirillo, che racconta anche la fatica che fanno i comici – e questo vale sia per le nuove leve, sia per gli attori più rodati – a costruire un intero spettacolo, uno one man show di un’ora. Per arrivarci devono testare le loro idee, rubando cinque minuti qui, dieci minuti lì appena c’è un palco a disposizione, cambiare le frasi per renderle più incisive, valutare – letteralmente – la temperatura del pubblico. E poi, di nuovo, con altri cinque minuti di battute, fino a comporre un intero show, provato e riprovato in decine di esibizioni diverse. Quello che la solitudine della stand-up comedy ci insegna è che per divertire, per provocare risate sincere, ci vogliono due ingredienti: piccole e grandi sventure di vita vissuta dalle quali attingere e ore e ore di duro lavoro. Ma poi, quando una battuta riesce, e lo sai che riesce, si ride anche sul palco.
Articolo pubblicato su WU 92 (novembre 2018). Segui Matilde su Facebook
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