THE NIGHT SKINNY – UNA FOTO AL RAP ITALIANO
La ricerca quasi compulsiva dei campionamenti e l’attenzione a fare emergere il meglio di tutti gli artisti che vi hanno preso parte fanno di Mattoni, il suo ultimo lavoro, un’opera antologica della scena rap italiana che avrà valore nel tempo
di Nicolò Tabarelli
Luca Pace, in arte The Night Skinny, è un producer e dj molisano da molti anni trapiantato a Milano. Nato nel 1983, si è fatto un nome senza mai rinunciare alla ricerca e alla sperimentazione e non si è tradito nemmeno con Mattoni, il suo primo disco per una major, che segue Pezzi (2017), Zero Kills (2014) e il suo acclamatissimo debutto Metropolis Stepson (2010). Chiamando a raccolta 26 artisti, tutti con retroterra diversi, The Night Skinny con il suo ultimo progetto si è lanciato in un’esplorazione trasversale del rap italiano che non ha deluso le aspettative e che, probabilmente, resisterà allo scorrere del tempo.
Mattoni nasce da un viaggio a New York, vuoi parlarci di questo viaggio?
Prima di risponderti: il disco lo hai ascoltato?
Sì, certo, l’ho ascoltato!
Voglio sempre essere sicuro che dall’altra parte ci sia qualcuno che ha ascoltato l’album. Allora, è nato da un viaggio a New York di circa un anno fa: il 27 settembre sono partito con Noyz e Luchè, abbiamo preso uno studio a Brooklyn e abbiamo buttato giù le basi per questo mio quarto disco. Da lì è venuto fuori Attraverso me, che è la quarta traccia del disco con Luchè e la strofa di Noyz Narcos. Diciamo che il disco è realmente nato a New York.
Nel 2015 è uscita Interstellar di Akon e Guè Pequeno, nel 2018 Cupido di Sfera Ebbasta e Quavo. Sono stati due momenti altamente simbolici per il rap italiano perché hanno dimostrato che può competere con quello internazionale e avvicinarsi addirittura a quello americano. Pensi che, progressivamente, sarà possibile una saldatura ancora maggiore tra la scena italiana e quella internazionale?
Bisogna ringraziare Sfera Ebbasta, grazie a lui si stanno avviando delle cose incredibili, delle cose che fino a qualche anno, qualche mese fa addirittura, erano considerate impossibili. Il mercato si è aperto molto, finalmente si è puntato il riflettore anche sull’Italia. Il livello comunque si è alzato tantissimo e da quello che ho visto e da quello che so, ci sono sempre più collaborazioni in atto.
Perché hai scelto di dedicare Mattoni alla scena italiana? Cos’è cambiato rispetto a Pezzi?
Sono uno che è sempre stato attento, che ha sempre sperimentato tanto, ma forse ho ancora numeri un po’ troppo piccoli per ambire a determinate collaborazioni. Quello che ho fatto, dall’inizio a oggi, è stato lavorare con artisti come i 67, un gruppo londinese che ha collaborato anche con Mura Masa e con altri artisti di fama internazionale. Nel vecchio disco avevo fatto un pezzo con loro. Ho anche io in ballo delle cose che se andranno a buon fine usciranno verso Natale, però sono sempre cose di ricerca, che penso di potermi permettere di fare. In quest’ottica mi è sembrato giusto concentrare Mattoni sulla scena italiana.
Come hai scelto di accoppiare gli artisti nei tuoi pezzi? Mi incuriosiscono in particolare Madame con Rkomi e la quasi-posse track Mattoni in cui c’è metà della scena.
Il criterio è del tutto a caso, ma allo stesso tempo in maniera naturale. Chiaramente ci sono delle basi dove cerco di capire se ci sono affinità tra gli artisti, dall’altro lato sono un ottimo motivatore e studio a fondo sia il mercato sia le persone a livello umano. Ci siamo incontrati con Madame e Rkomi, lei è un’artista che aveva tra i suoi riferimenti un po’ di roba mia e un po’ di roba di Izi e Rkomi. Se noti il pezzo è di Madame featuring Rkomi perché c’è un piccolo contributo di Mirko, che comunque arricchisce il brano. Per quanto riguarda la posse track, è un esercizio stilistico che mi sarebbe sempre piaciuto fare. Dal punto di vista tecnico, dello streaming e della divulgazione è difficile perché è un pezzo che supera i sei minuti, ma volevo dimostrare all’ascoltatore medio che i dischi che funzionano sono anche quelli che sanno andare contro la tendenza.
Di 26 artisti ci sono solo due donne, Chadia Rodriguez e Madame. Nel 2017, quando è uscito Pezzi, dicevi che in Italia non è troppo presto per le donne nel rap anzi, che semmai «è tardi». Vedi degli sviluppi da questo punto di vista?
Credo che il livello sia alto sotto ogni punto di vista. Il rap è cresciuto e anche le donne si stanno affermando. Nel mio disco ci sono due personalità femminili totalmente diverse, una più conscious, una più provocatrice. Sono contentissimo del risultato in entrambi in casi, di aver portato le ragazze verso il mio suono. Chadia non aveva mai fatto un pezzo di quel tipo, un banger, forse ne aveva fatto uno su YouTube su una base di Nicki Minaj se non sbaglio, che poi è quello da cui io ho campionato quel ritornello. Per quanto riguarda Madame, ha un tipo di scrittura che mi ricorda tanto il primo Tedua, il primo Izi e il primo Rkomi e quindi mi sono trovato benissimo. Entrambe le ragazze avranno un futuro se continueranno a credere in quello che stanno facendo.
Non trovi che il fatto che a distanza di due anni tu abbia fatto due album, entrambi con così tanti artisti della scena italiana, ti dia una vocazione antologica? Che tra dieci anni, pensando al rap italiano del periodo 2010-2020, ascolteremo Pezzi o Mattoni in quest’ottica?
(Ride, NdR) Sì, è una fotografia. È esattamente quello. Sono abbastanza dietro le quinte, non mi piace apparire, non sono uno che su Instagram mette le proprie foto con delle didascalie che colpiscono. Questa ondata di fama che si sta abbattendo su di me in queste ultime settimane mi sta destabilizzando del tutto. Ho pensato questi dischi ricordandomi di quando si scoprivano i film a casa dello zio o i libri in libreria, non so se mi spiego. Sono lusingato che attorno a questo lavoro ci sia interesse e spero possa “streammare” tanto, però la verità è che mi interessa che il disco sul lungo periodo lasci qualcosa. Sono contento se andrà bene, ma so che non ribalterà le sorti della discografia in Italia. Come tutte le cose ricercate avrà un pubblico più piccolo, ma sono convinto che possa durare negli anni.
Quindi non ti interessa così tanto che il disco abbia un grande successo nel breve termine, ma più che rimanga poi nel lungo periodo?
Certo che mi interessa: questo è il mio primo disco major, ho uno staff dietro che ci ha lavorato molto, si è dato da fare e tutti vogliamo avere un riscontro. Personalmente, però, sono uno che dice: «Ok, il disco è qui, fatene quello che volete».
Intervista pubblicata su WU 98 (ottobre – novembre 2019). La foto in apertura è di Leonardo Scotti
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