ARTAWAY – VIAGGIARE COMUNQUE, ANCHE CON IL LOCKDOWN
La crisi sanitaria è stata l’occasione per mettere a punto il progetto Artaway, un portale dedicato a modi alternativi di viaggiare: ce lo presentano i due fondatori, Laura Lamonea e Paolo Gabriele Falcone
di Enrico S. Benincasa
Artaway è un nuovo portale nato durante il lockdown per iniziativa di Paolo Gabriele Falcone e Laura Lamonea. Il primo è un product manager che da tempo si è stabilito nella Silicon Valley per motivi di lavoro, la seconda è la fondatrice e direttrice artistica di Video Sound Art, festival dedicato alle arti visive attivo dal 2011 (non solo) a Milano.
La crisi sanitaria ha dato loro la possibilità di lavorare a questo progetto, che ha come scopo quello di consentire a chiunque di avere un’esperienza turistico/culturale anche senza muoversi dalla propria abitazione. Basta selezionare uno tra i tanti tour a disposizione su artaway.com e presentarsi all’orario prestabilito davanti al proprio computer/tablet/cellulare: dopo pochi click si viene accompagnati, insieme agli altri partecipanti, alla scoperta delle nostre città e dei nostri luoghi d’arte da una delle guide selezionate da Artaway. Abbiamo chiesto a entrambi di raccontarci la genesi di questo progetto, nato in tempi particolari ma destinato a durare anche quando ci lasceremo questa storia alle spalle.
Quando è nata l’idea di artaway.com?
Paolo: Tutto nasce dalla voglia di aiutare di persone che avevano perso il lavoro nel campo artistico. Le immagini delle piazze italiane vuote, poi, hanno acceso qualcosa in noi. Crediamo che il desiderio di viaggiare e conoscere non possa essere sparito per via delle purtroppo necessarie restrizioni di questi mesi. È un desiderio che ha molto più in comune con il sogno che con la possibilità.
Quanto ci avete messo ad andare online?
Laura: Paolo mi ha chiamato il 22 marzo, parlandomi di questa idea di servizio. Ci siamo messi all’opera immediatamente e i primi tour prova fuori piattaforma sono stati fatti alla fine di marzo. Il primo tour ufficiale è avvenuto il 3 aprile, a poco meno di due settimane dall’inizio di tutto.
P: Sì, è stato un processo velocissimo, abbiamo lavorato completamente in remoto. Nel giro di un paio di settimane avevamo messo in piedi tutto, creando un’esperienza da zero che non vuole essere sostitutiva del viaggio, ma una cosa completamente nuova e diversa. Il format è stato raffinato in corso d’opera ma, a mio parere, questo è il modo giusto per approcciarsi.
Come avete selezionato le guide?
L: Abbiamo attinto inizialmente al bacino di Video Sound Art. Siamo stati facilitati dal fatto che con il festival, nel tempo, abbiamo stabilito relazioni solide con tanti mediatori culturali, che riteniamo essere i profili giusti per il tipo di compito che una guida di artaway.com deve eseguire. Hanno tutti un solido background artistico e collaborazioni già attive con realtà museali.
P: Le guide hanno dovuto imparare a fornire un’esperienza artistica con mezzi per loro nuovi. Si sono dimostrate aperte all’utilizzo della tecnologia, che si è rivelata un mezzo non disumanizzante. Anzi, per certi versi può essere molto umanizzante, perché permette di godere dei posti con una velocità differente e da prospettive diverse, che alle volte possono essere inaccessibili nella vita reale.
Che relazione c’è tra i tour e le location proposti e le guide?
L: Per noi è importante che la guida sia “aderente” al territorio, soprattutto per i tour che riguardano città. La scelta delle location è sempre un lavoro a “quattro mani”, sia noi sia le guide cerchiamo di delineare quello che sono gli itinerari migliori. In questa prima fase c’è stato molto scambio tra noi e i collaboratori che ha aderito al progetto.
Quali tool e strumenti utilizzate per i tour di Artaway?
P: Utilizziamo materiale disponibile a tutti, come Google Street View e Google Art & Culture, mentre i tour avvengono attualmente su Zoom. Sono tutti strumenti che ci servono per creare format che generino partecipazione, non per esempio video che possano essere rivisti, per quello c’è già tantissimo materiale su YouTube. L’esperienza di viaggio e apprendimento è molto più divertente se fatta insieme, altrimenti può diventare anche poco stimolante.
Come vi immaginate Artaway in quella che sarà, speriamo presto, la nuova normalità?
L: Penso possa diventare uno strumento importante per chi fa educazione, come un’insegnante, o per chi sta studiando, sia in Italia sia all’estero. Potrà essere inoltre un ottimo strumento per costruire un viaggio, per pianificare al meglio la propria esperienza prima di partire. Una sorta di “Lonely Planet digitale”, ma più interattiva e più approfondita.
P: Anche se nata in un momento di crisi, pensiamo che la nostra idea potrà funzionare anche quando tutto sarà finito. Probabilmente, avrebbe funzionato anche prima del Coronavirus, la crisi ci ha semplicemente aiutato a delineare questa possibilità. Nella nuova normalità che vivremo il desiderio di usufruire del patrimonio artistico da casa senza barriere – economiche, linguistiche e logistiche – ci sarà ancora. E, parlando di barriere, vorrei ricordare anche quelle architettoniche, che non sempre consentono a tutti di godere dell’arte nel nostro Paese. Artaway cercherà di soddisfare questo bisogno, per chi sta progettando una visita in Italia, per chi sta studiando e vuole parlare con un esperto, e anche per chi semplicemente vuole parlare la nostra lingua (il sito al momento offre tour in italiano e inglese, NdR). Perché spesso non ci ragioniamo molto, ma sono tante le persone che amano la nostra lingua, soprattutto quando descrive le bellezze della nostra arte e dei nostri artisti.
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Nella foto in alto: una veduta delle colline del Chianti, uno dei tour proposti da Artaway – foto di Roman Hruvel da Unsplash
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