THE CREATORS | LABZERØ
I Labzerø sono i primi ospiti di ‘The Creators’, un nuovo format nato per raccontare le professioni della musica e i loro protagonisti. Iniziamo questo viaggio in compagnia dei creatori di alcuni dei videoclip più significativi degli ultimi anni come ‘7 miliardi’ e ‘Sabbie d’oro’ di Massimo Pericolo
di Futura 1993
The Creators è un nuovo format nato per raccontare e approfondire tutte quelle professioni che nel mondo musicale compongono il “dietro le quinte”, un mondo ricco di figure indispensabili e di primaria importanza fondamentali per la riuscita di un progetto artistico. Abbiamo voluto dare la parola ad alcuni di questi creativi, per addentrarci il più possibile all’interno delle sfaccettature che caratterizzano il loro lavoro.
Iniziamo questo viaggio dal videomaking e, in particolare, da un’agenzia di produzione che negli ultimi mesi si è fatta notare per il suo stile crudo e anticonformista, in grado di conferire uno stile riconoscibile a tutti i loro videoclip. Stiamo parlando dei Labzerø, un collettivo composto da diversi membri, ognuno con un preciso ruolo: Alberto Rubino, operatore e montatore; Matteo Aldeni, operatore e colorist; Eugenio, social media manager; Scar, recente new entry, addetto al montaggio e alla color correction; infine Oliver, il loro “stoner”.
Insieme formano un team che in meno di un anno è riuscito a imporsi sulla scena rap italiana grazie soprattutto agli iconici video realizzati per Massimo Pericolo, che con la loro estetica di grande impatto hanno aiutato l’artista di Brebbia a definire un solido ed efficace immaginario. Successivamente è proseguito il loro sodalizio con l’etichetta Pluggers e i suoi artisti, lavorando con Barracano e Pepito Rella. Abbiamo chiesto loro di accompagnarci in un piccolo viaggio nel loro mondo, addentrandoci nelle pieghe di ogni frame. Ecco cosa ci hanno raccontato.
Partiamo dal principio: cosa vi ha spinto ad appassionarvi al videomaking?
Oliver: Ci ha spinto l’esigenza e la fame di fare qualcosa di nostro al 100%.
Alberto Rubino: Direi la necessità. Personalmente sono sempre stato appassionato di tutto ciò che riguarda il cinema e le arti visive in generale. Essendo tutti musicisti, ci siamo sempre affidati ad altre persone che curavano i nostri video. A un certo punto abbiamo iniziato a farceli da soli.
Matteo Aldeni: Abbiamo sempre avuto a che fare, tutti e quattro, con la realtà della musica. Inizialmente, quando avevamo bisogno di realizzare un videoclip per noi o per amici, ci affidavamo ad altri videomaker. Nella nostra provincia non c’era molta possibilità di scegliere e non sempre eravamo soddisfatti dei risultati, quindi ci siamo detti: «Perché non proviamo a realizzare i video direttamente noi?». Io e Rubo – soprattutto lui – abbiamo sempre avuto la passione per il video e abbiamo negli anni provato anche a realizzare qualcosa ma mai con un indirizzo preciso. Con Labzerø abbiamo deciso di far diventare la cosa un progetto più concreto.
Eugenio: Abbiamo iniziato a collaborare diversi anni fa, grazie ad alcuni progetti musicali. Credo che Labzerø sia una naturale evoluzione della nostra volontà di creare un’immagine completa ed autentica degli artisti con cui ci interfacciamo. Fin dalle situazioni più piccole abbiamo sempre cercato di proporre un prodotto serio, dal videomaking alla comunicazione.
Quali sono state le vostre principali influenze audiovisive? Avete dei registi, film o artisti di riferimento che vi hanno segnato?
O: Sicuramente tutto il giro di videomaker che gravita attorno ad A$AP Rocky. Per quanto riguarda i film, sono un fan di Wes Anderson per l’uso della simmetria e di Miyazaki per il suo stile narrativo.
AR: Non credo che in Labzerø ci siano delle influenze “specifiche”. Abbiamo una lista infinita di suggestioni e riferimenti cinematografici che non riuscirei a elencare nella loro completezza. Siamo senz’altro fissati con le simmetrie, ma siamo anche dei grandi fan dei movimenti lenti di camera e del rappresentare le cose nella maniera più “reale” possibile. Ecco, forse più che un riferimento a film o registi, direi che abbiamo, più o meno inconsciamente, alcuni riferimenti “tecnici” che ci guidano nella realizzazione dei nostri video.
Come vi siete avvicinati a Massimo Pericolo e all’etichetta Pluggers?
O: Con Massimo Pericolo siamo amici da parecchi anni, ci siamo conosciuti facendo rap e ballando breakdance. Poi gli ho prodotto CSC e Totoro. Con Pluggers abbiamo iniziato a lavorare perché soffriamo di ritardi simili.
AR: Ho conosciuto Vane (Massimo Pericolo, NdR) perché veniva con un altro ragazzo nel mio studio nel 2013. Dopo gli arresti domiciliari aveva bisogno di registrare un po’ di tracce che aveva scritto ed è tornato, da lì abbiamo iniziato poi a collaborare. Quando abbiamo messo in piedi Labzerø è stato uno dei primi (se non addirittura il primo) a chiederci un video: Sabbie d’Oro. Era l’estate del 2018. L’etichetta Pluggers l’abbiamo conosciuta poco dopo, a ottobre, in concomitanza con tutto quello che è successo con Vane. Ci troviamo molto bene a lavorare con loro e con i loro artisti perché condividiamo l’approccio che hanno nel mondo musicale e sono una realtà davvero forte e genuina.
Come nasce un vostro video? Come avviene lo scambio di idee creative con i vari artisti?
O: Fumo e ascolto la canzone.
AR: La maggior parte delle volte uno di noi fa da tramite con gli artisti, e poi ci confrontiamo “internamente” per poter gestire al meglio le richieste e fare in modo di soddisfare tutti gli aspetti del lavoro. Ovviamente ci sono lavori più o meno stimolanti, dove c’è più o meno bisogno dell’approccio di tutto il team.
MA: Non c’è una regola per quanto riguarda il procedimento. Il più delle volte gli artisti arrivano già con un’idea che cerchiamo di valorizzare e modificare, rendere più “realizzabile” ed efficace, diciamo. Poi con ogni artista il rapporto è diverso: a volte è più un lavoro creativo collettivo, altre invece si tratta di realizzare al meglio l’idea che ha. Il più delle volte è una via di mezzo. L’obiettivo per noi deve sempre essere quello di realizzare un prodotto che sia comunque convincente a prescindere dal brano al quale si lega, ma allo stesso tempo deve essere uno strumento per valorizzare la musica e dare un qualcosa in più, che sia la resa visiva di un messaggio o di un immaginario.
Raccontateci un po’ le varie fasi di realizzazione di un videoclip, perché molto spesso dal grande pubblico non è percepita l’importanza di alcuni passaggi come, per esempio, il montaggio o la color correction.
MA: Il montaggio e la color sono fondamentali, lì puoi davvero dare un taglio molto personale al video. Non puoi farlo però senza aver studiato bene tutta la parte precedente, che a volte viene presa un po’ sottogamba. La scrittura della sceneggiatura e lo storyboard sono decisivi per avere in mente il progetto nel suo complesso ed essere pronti poi a realizzare le riprese in maniera efficace e senza perdere tempo. Per noi è importante essere “rapidi”: lavoriamo quasi sempre senza veri e proprio set, quindi dobbiamo essere pronti a rispondere a esigenze di cambi di luce, imprevisti e modifiche in corsa. Siamo della scuola di pensiero del “meglio avere due take in più che una in meno”, questo sempre per un discorso di praticità: tornare a girare in altri giorni rispetto al preventivato non è sempre possibile, quindi giriamo tanto e con tecniche e inquadrature diverse. Poi arriva, appunto, il montaggio e la color. Lì è un’altra storia.
AR: Un ruolo fondamentale lo gioca la pre-produzione, ovvero tutto quello che viene prima del giorno delle riprese. Sembra banale, ma sapere cosa bisogna fare rende le cose più semplici, e di molto anche. C’è da dire però che i nostri video più di successo sono stati girati abbastanza “a braccio”. La verità è che in ogni lavoro ricerchiamo quella naturalezza nel lavorare che ci contraddistingue, avendo a grandi linee idea di cosa si deve fare, ma lavorando snelli, senza rimanere incastrati in un approccio troppo “macchinoso”.
L’immaginario da voi utilizzato è molto “street”, dalle immagini forti e dirette. La considerate un po’ una vostra firma?
O: Abbiamo forti influenze dal mondo del rap e ci piace molto curare l’aspetto fotografico della ripresa. Essendo in tre poi ci si influenza molto a vicenda.
AR: Penso che la nostra firma sia il nostro modus operandi, ovvero l’approccio che abbiamo ai lavori. Come dicevo prima, ci piace lavorare in modo snello, diretto, senza troppi intoppi e senza troppi “fronzoli”. Vi faccio un esempio: la maggior parte delle riprese di Polo Nord sono state girate una volta sola, one take, con la camera a mano. Senza direttori della fotografia, addetti luci, scenografi, e tutto quello che c’è su un “vero” set. Abbiamo fatto di necessità virtù e non avendo mai avuto il budget per avere nei nostri video tutte quelle figure, ci siamo abituati a girare in modo molto più diretto, per non perdere naturalezza.
MA: L’immaginario è quello se pensiamo principalmente a Vane. Per altri lavori invece abbiamo cercato di creare altre atmosfere, l’immaginario che un determinato brano ci trasmette, cerchiamo di amplificarlo e veicolarlo. Comunque penso che ci siano sempre delle sfumature, mai solo un livello di lettura. Sabbie d’oro ne è l’esempio.
E: L’autenticità è la base di tutti i nostri lavori. Come dice Rubo, cerchiamo di ottimizzare i mezzi a nostra disposizione, senza perdere di vista l’obiettivo: finalizzare un video incisivo e che rappresenti l’artista.
Raccontateci qualche aneddoto di lavorazione dei vostri progetti più iconici: da 7 miliardi a Sabbie d’oro: avete qualche curiosità che vi andrebbe di condividere?
O: Quando abbiamo girato il video Malboro Morbide di Barracano ho scoperto che la birra in realtà è pane liquido (ride, NdR).
AR: Sabbie d’oro doveva avere un altro finale. Vane e Sagghino (il co-protagonista del video) prendevano la macchina e dopo una chiamata andavano a rapinare un tipo. Abbiamo anche le riprese ma in fase di montaggio ci siamo resi conto che il finale nel lago faceva molto più effetto.
MA: Per quanto riguarda 7 Miliardi mi ricordo il freddo maledetto durante le riprese nel parcheggio, di sera, quando abbiamo girato le scene con Marco. Interessante anche la “famosa tecnica” per realizzare le carrellate in quelle riprese: un carrello del supermercato con dentro Rubo tutto incastrato con lo spallaccio in mano, spinto da noi. Abbiamo sempre puntato su prodotti ad alto budget (ride, NdR).
E: Le riprese di 7 Miliardi girate nel campo sarebbero dovute iniziare almeno due ore prima, ma la maggior parte delle comparse era in ritardo – era domenica mattina – così abbiamo pranzato con della grappa.
Com’è fare i videomaker in Italia? C’è la giusta considerazione professionale o ritenete che si possa fare ancora di più?
O: Nel nostro caso, per fortuna, gli artisti con cui abbiamo lavorato ci hanno sempre dato la giusta esposizione. Sicuramente dopo il successo di Alessandro Murdaca con Ghali si bada molto di più alla figura del videomaker. Anche se, devo dire, non ancora abbastanza, perché spesso si guarda solo il nome o il portafoglio.
AR: Penso sia una sfida fare i videomaker, così come le altre professioni relative all’audiovisivo. Lo streaming e i social spingono le cose verso contenuti sempre più veloci, ma credo bisogna cercare di continuare a realizzare prodotti forti che si adattano anche al cambiamento del modo di fruizione del pubblico.
MA: Non so se c’è giusta considerazione. Mi sembra sia molto complicato riuscire a farsi spazio in un mare sempre più ampio di contenuti, attirare l’attenzione. Forse è più “facile” riconoscere un bel prodotto video da uno audio. Ne siamo tutti più “abituati”. È un concetto da prendere con le pinze però. Penso sia una difficoltà di qualsiasi prodotto artistico oggi giorno, quella di essere considerati professionalmente, non solo per quanto riguarda i videomaker ma per qualsiasi settore che riguarda la creazione di contenuti.
Ovviamente immagino che per voi questo periodo di quarantena forzata sia stato molto limitante, come l’avete vissuta?
O: Ho sfruttato il tempo per lavorare a nuove idee, facendo musica e allenandomi.
AR: Stiamo cercando di portare avanti alcuni lavori che si sono dovuti interrompere a causa del virus e organizzandone altri che speriamo di poter affrontare al più presto. Nel frattempo la cosa migliore è provare a “aggiornarsi” e non pensare troppo a un futuro che potrebbe essere meno roseo del previsto.
MA: L’ho vissuta facendomene una ragione, cercando di essere pronto per quando si potrà iniziare di nuovo a lavorare come prima.
E: Di base ho cercato di avere dei ritmi regolari, mi alzavo presto e cercavo di non perdermi durante la giornata, prendendo il buono che questa pausa dal mondo ci ha riservato.
Chiudiamo chiedendovi quali, secondo i Labzerø, sono stati i videoclip più memorabili usciti negli ultimi anni in Italia e all’estero, ovvero quelli che fra dieci anni ricorderemo ancora e che hanno cambiato le regole del gioco.
O: Sabbie d’oro, senza dubbio (ride, NdR).
AR: Ne sono usciti parecchi, per non sbagliare te ne dico uno solo tra tutti che penso sia uno dei più forti degli ultimi anni, This is America di Childish Gambino, quello che mi ha colpito di più quando è uscito. In Italia, per diverse ragioni, citerei gli ultimi lavori di No Text Azienda e Younuts!.
MA: In This is America c’è tutto, e questo tutto arriva in maniera trasversale. Ha mille livelli, e ha ridato al video lo status di prodotto artistico che può anche avere un contenuto forte, pesante, non solo estetico. In Italia più che a un video penso a uno stile: Lettieri, che piaccia o meno, ha creato un’estetica e una narrazione interessantissima, come anche gli Younuts!. Ci sono artisti che collaborano con videomaker e, ogni volta che esce un video, ti fanno venire subito voglia di andare a scoprire di che si tratta. Penso che per chi realizza videoclip questa sia una grande vittoria.
E: Devo citare la miniserie di videoclip dei PNL, praticamente dei cortometraggi, che tanti hanno provato a copiare. In Italia mi piacciono molto i lavori di Enea Colombi, crea delle atmosfere che mi fanno volare.
Intervista a cura di Filippo Duò
Nella foto in alto: i Labzerø, Alberto Rubino, Oliver e Matteo Aldeni
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