JAMIE MARGOLIN – FACCIO SUL SERIO
Classe 2001, l’attivista di Seattle ha lanciato insieme agli amici l’associazione ambientalista Zero Hour. Obiettivo: far arrivare la voce (arrabbiata) dei suoi coetanei ai potenti. Dedica il suo primo libro a chi – come lei – vuole cambiare il mondo
di Marzia Nicolini
Per imparare ad agire e farsi sentire anche da chi non vuole ascoltare, Jamie Margolin ha deciso che era giunto il momento di scrivere un libro, Alza la voce (Fabbri Editore, prefazione di Greta Thunberg). Diciannovenne attivista americana, Jamie Margolin è nata e cresciuta a Seattle e, da quattro anni, si occupa di cambiamento climatico e politica, dando prova di un carisma, un coraggio e una motivazione da vera leader. Co-fondatrice di Zero Hour, associazione ambientalista composta prevalentemente da suoi coetanei, ha un motto: «Anche se siete troppo giovani per votare, la vostra voce merita di essere ascoltata».
Come descriveresti la tua personalità?
Ho coniato per il mio carattere il termine di “ambivert”. Il fatto che ho una personalità a due facce, con caratteristiche sia da persona introversa, che da estroversa. Non mi ritengo affatto timida e, anzi, mi piace la compagnia e stare in mezzo alla gente, eppure quando mi devo ricaricare ho bisogno di solitudine o, al massimo, di una cerchia ristrettissima di amici.
Quando e come hai iniziato a interessarti alle tematiche ambientali?
Non ho avuto un’epifania improvvisa, è stato più un processo graduale e una crescita di interesse per la politica e, subito dopo, per l’ambiente. Sono nata a Seattle poco dopo l’11 settembre (il 10 dicembre del 2001, NdR), cresciuta respirando un’atmosfera per molti versi pesante, a partire dai controlli serratissimi in aeroporto e dal senso di costante pericolo. Come accade a gran parte dei miei coetanei, anche io ho sviluppato la certezza che la vita per come la conosciamo stia volgendo al termine, per via della distruzione ambientale messa in atto da chi ci ha preceduto.
Ti definiresti disillusa?
Senza dubbio è difficile, per chi ha la mia età, fare progetti per il futuro. Mi fanno sempre domande del tipo: “Chi vorresti essere da grande?” o “Cosa vorresti fare della tua vita?”. La domanda è: come posso pianificare qualsiasi cosa quando chi ci governa ignora completamente il futuro della mia generazione e di tutti quelli che nasceranno su questo pianeta? Voltandosi continuamente dall’altro lato per non affrontare l’urgenza della questione ambientale, ci stanno consegnando un mondo dove i sogni e i progetti sono semplicemente impossibili. Ciò nonostante, voglio mantenere la speranza, trasmettere un messaggio positivo.
Che aria si respira, oggi, negli States?
C’è voglia di cambiamento radicale. In molti stanno capendo che impossibile pensare di fermare il cambiamento climatico senza smantellare tutti i sistemi di oppressione che lo hanno causato e radicato. Non si tratta di scegliere tra, per esempio, il movimento Black Lives Matter o quello del Climate Justice. Basti dire che, nel mio paese, circa 20 mila persone muoiono ogni anno a causa dell’inquinamento atmosferico e la maggior parte di loro fanno parte della comunità afroamericana. Ovviamente non è una coincidenza. Non solo gli Stati Uniti, ma il mondo sta vivendo una gigantesca crisi esistenziale. Però vedo il bicchiere mezzo pieno: è giunto il momento per ricostruire il sistema, ponendo le basi per un futuro luminoso.
Per dare il tuo contributo hai co-fondato Zero Hour.
Ho aspettato un po’ prima di lanciarmi in quest’avventura: osservavo i ragazzi marciare in tutti gli Stati Uniti – e nel mondo – protestando per un’azione urgente per il clima. Ricordo la prima manifestazione delle donne, nel gennaio del 2017. A quel tempo mi sembrava di avere tanto da dire e da dare, ma ero nervosa all’idea di avviare un movimento di massa, assumendomene la responsabilità. Poi è arrivata l’estate del 2017. A luglio ho frequentato un corso di discorso politico e comunicazione presso la Princeton University, dedicato agli studenti delle scuole superiori. Era la prima volta che trascorrevo così tanto tempo lontano dalla mia famiglia. Es- sere dall’altra parte del Paese, circondata da liceali politicamente impegnati, mi ha motivata a dare il mio contributo. In più quell’estate abbiamo assistito a un disastro ambientale dopo l’altro, dalla nuvola di smog che ha coperto Seattle ai fortissimi incendi divampati nel nord del Canada. Era giunto il momento di fondare un movimento, ed ecco che è nata Zero Hour.
Immagino sia frutto di un lavoro di squadra, giusto?
Al cento per cento. Ho raggruppato alcuni dei miei amici sui social media, come Nadia Nazar, Madeline Tew e Zanagee Artis. Abbiamo raccolto una valanga di dati, fatto ore e ore di brainstorming, cercato sostegno e mentori. Non siamo in nessun modo un movimento improvvisato: abbiamo impegnato tantissimo del nostro tempo per costruirci, ed è un processo ancora in divenire. L’idea di Zero Hour è unire le voci di diversi giovani interessati al tema del clima e della giustizia ambientale.
Sei in libreria con il tuo primo volume, Alza la voce. Che cosa hai raccolto in queste pagine?Ho cercato di mettere insieme una serie di consigli pratici per chiunque desideri attivarsi per la salvaguardia ambientale, diffondendo a sua volta il messaggio. In più ho intervistato diversi giovani attivisti, tra cui Tokata Iron Eyes del movimento #NoDAPL (movimento contro la costruzione di un oleodotto vicino a laghi e corsi d’acqua della riserva indiana di Standing Rock, sita tra in North e il South Dakota, NdR) e Nupol Kiazolu del movimento #BlackLivesMatter. I loro punti di vista sono molto interessanti. La verità è che i giovani hanno tantissimo da dire: devono solo capire come farsi sentire.
Intervista pubblicata su WU 105 (dicembre 2020 – gennaio 2021). Segui Marzia su IG
Nella foto in alto: Jamie Margolin
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