RICKO SCHWARTZ – URBAN HEART
Ricko Schwartz è un punto di riferimento nel mondo dello streetwear in Italia, ma da circa due anni ha deciso di impegnarsi anche in una nuova carriera musicale. La possibilità gliel’ha data Yalla Movement di Big Fish e Jake La Furia, etichetta con la quale pubblicherà presto un EP
di Enrico S. Benincasa
Ricko Schwartz, a quasi due anni dall’uscita del suo primo singolo Hype, è quasi pronto per pubblicare il suo primo EP per Yalla Movement, l’etichetta fondata da Big Fish e Jake La Furia. Questa uscita discografica è una nuova tappa del suo percorso nel mondo della musica, una scelta che non è stata esente da critiche per via della sua esposizione in ambito social, in particolare nelle sfere più legate alla moda e allo streetwear. Tutte cose che Ricko ha messo senz’altro in conto prima di mettersi alla prova davanti a un microfono, consapevole che l’unica risposta possibile è lavorare e impegnarsi. La parola “impegno” ricorre spesso nella nostra chiacchierata ed è un tratto comune del suo approccio alle cose, così come lo è un aggettivo, “urban”, un filo rosso che unisce gran parte delle esperienze che lo hanno fatto conoscere.
Se diamo un occhio al tuo “curriculum” troviamo le esperienze con i Da Move e il basket freestyle, poi l’attività nel mondo streetwear, oggi anche la musica: possiamo dire che il termine “urban” è un po’ un minimo comun denominatore di tutto quello che fai?
Sì, anche se forse i termini che più mi piacciono sono “cittadino” e “metropolitano”. Sono nato e cresciuto a Milano e la vivo, non sono uno che va spesso in vacanza. Sono abbastanza fan del cemento, diciamo (ride, NdR). In passato sono stato spesso in giro per gli spettacoli di freestyle, sia in Italia, sia in Europa, ma sempre in contesti urbani. Per quanto mi possa piacere la campagna, non è il mio habitat, anche se ho deciso di ambientare il video di Luci Blu proprio in un ambiente più verde, una scelta che per me rappresenta quasi una fuga da me stesso.
Quando nasce il desiderio di fare musica? È una cosa recente o ha radici più lontane?
È sempre stata una cosa che volevo fare, non nasce da un “bisogno di click” o per altri motivi. La musica fa parte della mia vita fin da quando ero un pischello. Mio fratello maggiore oggi è un affermato pianista di musica classica (Riccardo Schwartz, NdR), quando eravamo più giovani e vivevamo in famiglia era solito registrarsi con un minidisc. Quando non lo usava, lo prendevo, mettevo su il lato B dei vinili che compravo da Time Out a Milano e, sulle strumentali, registravo le mie barre. Sempre in quel periodo, con i miei amici, mi sono sempre sfidato in gare di freestyle e mi sono cimentato anche con la produzione, diciamo che è sempre stata una parte genuina della mia vita che non sono mai riuscito a esporre in maniera concreta. Ultimamente ho espresso a me stesso questo desiderio: sentivo e sento di avere qualcosa da dire e penso non ci sia modo migliore di farlo con la musica.
Un capitolo non del tutto nuovo, quindi…
Da una parte è un restart, perché si distanzia molto da quello che ho fatto, dall’altra la musica è parte di quello che sono. Non sono l’influencer che fa musica, sono Ricko Schwartz che vuole fare bene e migliorarsi. È un approccio che ho sempre avuto con tutte le cose in cui mi sono messo alla prova, a cominciare dal basket. Voglio fare sempre meglio, sia per me, sia per il messaggio che voglio portare. Non mi interessa il successo istantaneo, ma porre le basi. E penso che questa sia la cosa che ha convinto Fish, Jake e il team di Yalla a darmi una chance.
A che punto siamo con il primo EP di Ricko Schwartz?
Siamo in fase di conclusione. Sarà tutto prodotto da Big Fish e ci sarà un feat importante che ancora non posso annunciare. Sono molto soddisfatto perché è stato fatto per un discorso di qualità della proposta musicale che con Fish stiamo portando avanti. Con lui mi trovo alla grande, abbiamo un rapporto molto diretto, qualsiasi cosa mi dice lo assorbo come una spugna. A tratti ti sembra di parlare con la storia del rap italiano.
Che momento sta vivendo lo streetwear oggi? C’è spazio per gli emergenti o solo per i brand con radici solide?
Il brand con le radici solide, magari nelle subculture e negli universi musicali come il rap o il punk, o negli sport come il basket o lo skate, resisteranno per sempre. Chi sfrutta solo la corrente, invece, prima o poi se ne va. I brand storici cercano a volte di coinvolgerli, sta a chi sfrutta la corrente cogliere l’opportunità di mettere radici più solide quando questo accade. La cosa importante per tutti, però, è sapere dove stai andando e dove vuoi arrivare.
La strada per i brand specializzati in un segmento, come per esempio Hevò, famoso per i suoi capispalla, è sempre quella di partire dalle proprie radici?
Certo, si parte sempre dalle radici. Lì sta la vera forza: nel momento in cui riesci a fare un prodotto di qualità e di contenuto puoi anche permetterti di “svirgolare” e fare cose nuove. Ed è più facile che tutto vada poi per il verso giusto.
Finiamo da dove hai cominciato: chi vince la NBA quest’anno?
Eh, sono un grande tifoso dei Los Angeles Lakers e mi auguro che riescano a vincere anche quest’anno e fare così back to back, mi piacerebbe tantissimo vedere Lebron James con il quinto anello. Ai playoff manca ancora un po’, ci sono tante squadre forti sia a est, come Phila e Boston, sia a ovest, come Utah e Denver. Brooklyn è da considerare per via dei suoi campioni e poi mai dare per vinti questi Clippers.
Intervista pubblicata su WU 106 (febbraio – marzo 2021)
Nella foto in alto: Ricko Schwartz indossa il giubbino ‘Castrignano’ di Hevò. Foto di Riccardo Mordenti, concept e style di Alessio Bruno Pomioli, hair Luca Nolasco, make up Martina Scotucci
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