CERI – SENZA REGOLE
Ceri è tra i producer più innovativi e iconici in circolazione, tra i fautori del sound che ascoltiamo negli ultimi anni. Con il suo Waxtape ora vuole farci ballare e ricordarci che la musica non ha limiti, mai
di Giulia Zanichelli
Non devono esserci confini, o traguardi finali, nella musica: Ceri ne è la prova vivente. Nonostante il successo delle costanti collaborazioni con il gotha della scena urban/pop italiana, da Salmo a Mahmood, il producer trentino continua a cercare, a sperimentare, a lanciarsi in quel magma fluido e magico che è la musica. E con Waxtape, il suo ultimo progetto discografico diviso in “movimenti”, ci mostra un nuovo aspetto del suo inarrestabile viaggio creativo. Partiamo proprio da qui, dalle premesse che hanno portato Ceri a impostare questo nuovo capitolo della sua produzione.
Waxtape è un viaggio elettronico da ballare, che riporta all’idea di clubbing e collettività. Una ricarica energetica per riprendersi la vita dopo la pandemia.
Sì, è una ricarica sotto molti punti di vista. Per me è stata anche una ricarica creativa. Pensavo che il primissimo lockdown, quello più pesante, mi avesse ucciso la creatività, invece mi sono reso conto che non è stato così, e alla fine tante idee le ho sviluppate durante quel periodo. Avevo comunque voglia da tempo di fare un Waxtape, un disco – anche se poi è un mixtape – di musica strumentale.
Hai detto che questo disco è «come Gigi Dag, ma lo-fi e dark».
Non voglio certo paragonarmi a Gigi! In generale, anche non razionalmente, cerco di rifarmi poco a qualcosa di specifico. Anche nei miei periodi creativi non ascolto nient’altro, parto per il mio viaggio. Un riferimento presente, soprattutto in alcune tracce, è quella cosa tipicamente italiana e mediterranea che è la melodia. Nella musica italiana in qualche modo deve esserci sempre, e penso che sia questa la grossa differenza – parlando di clubbing – rispetto a quella più europea o tedesca. Forse il principale riferimento qui è la mediterranean progressive, che come nome a me fa impazzire: accostare il clubbing al mar Mediterraneo mi sembra un clash incredibile. Musica scura, ma dove la melodia bene o male c’è sempre. E io sono così, consciamente o inconsciamente cerco sempre di metterla. Ogni tanto mi arrabbio perché vorrei riuscire ad avere quella semplicità estrema per fare un pezzo senza mettere dentro niente, ma proprio non riesco, forse è un mio limite. O forse in definitiva non è quello che cerco.
Il tuo lavoro – questo come quello passato – afferma chiaramente come la musica sia fluida, e non sia giusto che un artista venga ridotto o racchiuso in un genere. Penso che questo sia un concetto molto importante per te.
Certo. C’è stato un periodo della mia vita dove facevo solo rap con dei canoni ben precisi, poi quando mi sono reso conto che era molto limitante, ho mollato subito questa idea di chiudermi in regole e costrizioni. Non rinnego quel periodo, perché mi ha insegnato molto anche a livello attitudinale. Sono convinto, però, che la musica non possa essere ristretta: non segue regole, segue il mondo, e anche il mondo non segue regole ben precise. Noi creiamo regole per seguire la musica e il mondo, ma poi possono cambiare.
A proposito di questa liquidità e assenza di confini, hai diviso Waxtape in movimenti, come una sinfonia. È un riferimento a un mondo molto distante, musicalmente parlando…
Il punto è che ormai noi conosciamo solo la canzone, che deve durare circa tre minuti, sennò non finisce in radio. Ma in realtà la storia della musica conosce forme completamente diverse, che poi sono cambiate con il tempo. Ci siamo abituati che tutto debba durare poco, ma voglio trovare una dimensione in cui si possa fare an- che musica lunga. È più difficile, però ne sentivo il bisogno. Volevo qualcosa che durasse un po’ di più, sennò siamo sempre qua con i video che durano 15 secondi e le canzoni di due minuti.
È uno stimolo certamente per te ma anche per il pubblico, che non è più molto abituato ad ascoltare ad esempio un disco intero.
Su questo c’è anche una narrazione sbagliata. Si dice che i dischi non funzionano più, poi però ci sono album anche super recenti che hanno funzionato eccome: penso a Marracash, che ha fatto non uno ma due dischi che hanno funzionato in quanto dischi. Il pubblico ha poca voce in capitolo, ma penso che sia colpito anche di più quando incontra un lavoro anche più lungo ma con un senso, con un suo perché.
Nel I movimento c’è un solo feat, con Ginevra in I Luv U, e con il II movimento è arrivata Joan Thiele in Intuizione sincerità. Come le hai coinvolte?
Non sapevano di essere state coinvolte! (ride, NdR) Semplicemente avevo nel mio computer delle voci che avevano registrato qui da me e le ho messe nel progetto… A Ginevra è andata meglio perché si capisce quello che dice, il pezzo di Joan invece è tutto tagliato e non si capisce niente, sembra una roba inventata! Invece era italiano, che io poi ho tagliuzzato. Lo avevo già fatto prima: in Bimba mia il ritornello è la voce di una ragazza, Sara, che era venuta a registrare da me. Perché alla fine la voce umana è forse lo strumento più bello che c’è, e a me piace utilizzarlo così.
Articolo pubblicato su WU 113 (aprile – maggio 2022)
Ceri su IG
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