TUTTI FENOMENI – PERDERSI NELL’INCANTESIMO
Giorgio Quarzo Guarascio vive nel futuro che, dice, sarà fatto della stessa decadenza della sua città, Roma. Ma per ispirarsi si immerge nel passato, stavolta in quello della poesia russa ottocentesca che si struscia lungo i bordi del suo secondo album, ‘Privilegio raro’
di Carlotta Sisti
La penna di Tutti Fenomeni non è per nulla stanca dopo il lavoro grandioso del precedente album Merce Funebre. Nel nuovo Privilegio raro, uscito il 6 maggio, è così spiazzante ed efficace che quasi mal si accompagna all’anagrafe che lo vuole appena 26enne. C’è il saggista russo Osip Mandel’štam a fare da musa in queste 13 tracce, ma soprattutto c’è Mikhail Lermontov, il poeta di cui Guarascio ha fatto leggere dei versi a suo padre in Porco. Quella poesia, Sulla strada esco solo, è un po’ la bussola di un album fatto di temi enormi come il tempo, il destino, la vita, che Giorgio Quarzo Guarascio, però, riesce a rendere amichevoli e quasi mai minacciosi. Sul piano musicale, poi, il connubio con Niccolò Contessa è ai massimi storici. A pochi giorni dalle prime date live di Tutti Fenomeni, abbiamo chiacchierato di come si possa dire tanto di se stessi pur non rivelando nulla.
Come stai dopo l’uscita del secondo disco, attorno al quale esiste da sempre una mitologia che lo vuole il più complesso da realizzare?
Sto bene, sono contento. È sempre un parto fare un disco, anche se la gestazione è durata più di nove mesi. Sto sentendo dalle persone che mi interessano grande entusiasmo, grande fiducia nel progetto, quindi penso che potrà crescere bene, questo bambino.
Si percepisce che sei contento di Privilegio raro: com’è stato il percorso per arrivare fino a qui?
Ci sono arrivato col tempo, accettando momenti di solitudine, con il giusto rispetto per me stesso e con amore per la qualità e la scoperta.
Hai un bel rapporto con la solitudine?
Non lo so se è bello, però posso dire di averla accettata e credo di averla saputa anche rendere, in parte e solo a volte, piacevole. E comunque fare qualcosa di artistico ti ci porta, alla solitudine, sia nel momento dell’ispirazione sia in quello successivo all’uscita di un’opera, che è il momento dell’essere capiti o dell’essere fraintesi.
Nei tuoi pezzi non parli di cose personali o biografiche, sei un narratore esterno ma non distaccato: credi che condividere la tua visione delle cose ti mostri agli altri più di quelli che scrivono canzoni sulle loro vite?
Assolutamente sì. Non dico in che via vado a fare colazione, o dove vado in palestra, però faccio entrare lo stesso le persone nella mia testa. La mia cosa più privata è proprio lo schema architettonico della mia mente, radiografata nel giorno esatto in cui scrivo quel pezzo, per cui sì, credo di darmi parecchio all’ascoltatore.
Ti hanno definito “l’ultimo dei romantici”: ti ci senti?
Un romantico dell’Ottocento forse sì, perché parlare de “gli ultimi dei romantici” a Roma è un modo di dire super pop, liceale, da social, quasi da meme. Ma se da un lato per questo disco mi sono ispirato a molta poesia russa del periodo romantico, filosoficamente non mi sento di appartenere a quella corrente.
Ascoltando Privilegio raro si ha la sensazione che in un momento storico in cui si stanno cercando di eliminare i generi, quello più senza genere sia proprio tu…
Sì, è vero, non faccio un genere, ho un modo di scrivere riconoscibile, ma metto così tanti ingredienti che alla fine quello che esce non è né un antipasto, né un primo e nemmeno un dolce. Quindi non so manco se è buono, ma è la mia cosa e spero che piaccia. Qualunque sonorità può farmi venire in mente una melodia, che può essere ispirata a qualunque cosa. Senza limiti. O meglio, gli unici limiti sono quello che si può dire con le parole e come io riesco a cantare.
Franco Battiato è davvero per te un grande riferimento o è come i Monty Phyton per Emanuela Fanelli, che ha detto “tutti pensano che siano la mia ispirazione, ma ho visto sì e no un loro film”?
Il paragone con Battiato, prima di tutto, è come uno zaino dentro al quale continuano a mettere pietre, per darti un’immagine della pressione che mi mette. Per me Battiato è un pilastro, è un idolo, è uno a cui dedicherei un Oscar. Lo ascolto da sempre, però sono onnivoro di ispirazioni.
Riesci a dire cose forti, anche estreme, senza essere disturbante: come ci riesci?
Credo di aver capito abbastanza bene come arrivo alle persone. Ascolto me stesso e capisco che certe frasi le posso dire e possono essere capite e altre invece farebbero crollare tutto. Dietro c’è un lavoro certosino anche sul comprendere come appaiono le parole. In ogni caso, la verità è che la creazione delle mie canzoni stupisce anche me stesso.
Niccolò Contessa con te, e questa è una mia personalissima opinione, si esprime al meglio: come è andata tra voi due, a questo secondo giro?
Ci sono stati dei momenti difficili, perché comunque siamo entrambi faticosi, pretenziosi, con due belle personalità, lui forse con una ancora più sovrastante della mia. Ma sono super orgoglioso e felice delle cose che abbiamo fatto insieme. Forse ci prenderemo una pausa, ma gli voglio un sacco bene.
Una domanda leggera: a che età hai cominciato a pensare alla morte, visto che è così tanto presente nei testi?
Presto, in prima elementare. Da lì ho cominciato a rendermene conto, a soffrirla un pochino, sempre per quel discorso sulla solitudine e sulla temporalità. Non è che ci penso in maniera da depresso, però sta lì, sta sul tavolo e non la si può ignorare. Ed è così presente nei testi perché mi convince sempre.
L’immaginario religioso ti piace sempre molto…
Sì, è proprio l’immaginario che mi piace perché fa parte dell’Italia, dell’Europa, della storia. Non sono così tanto religioso, eh, ma trovo nei libri religiosi grande letteratura che mi ispira. Sono scritti bene e hanno un sacco di sfaccettature di senso.
La frase più iconica di questo disco sarà “ogni puttana si vende/una vera puttana si vendica”?
Tutta quella canzone ha delle frasi del me vecchio stile, quindi potrebbe essere la più apprezzata. Ma per me le più belle sono A Roma va così, Antidoto e Addio.
A proposito di Roma, che rapporto hai con la tua città? Come la vedi oggi?
Roma è decadente, è morta, però credo che il destino del mondo sarà diventare come lei, quindi mi sento sempre nel futuro.
Articolo pubblicato su WU 114 (giugno – luglio 2022)
Tutti Fenomeni su IG
La foto in alto è di Ilaria Ieie
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