UN’ALTRA CUCINA (SUGLI SCHERMI) È POSSIBILE
La cucina “televisiva” è una bolla destinata a esplodere presto? Prima che ciò succeda, ci sono almeno un paio di buoni motivi – una serie e un film – che vale la pena vedere
di Matteo Torterolo
«Un giorno o l’altro passerà questa moda della cucina». Ricordo la discussione qualche anno fa con un amico, (giustamente) irritato dall’improvviso imperversare di trasmissioni sul tema, lui che tutte le mattine – sabato compreso – iniziava le sue dieci ore nella cucina di un piccolo ristorante milanese: orari senza senso, paghe non allettanti e un ambiente di lavoro non propriamente salubre.
Ok, non è stata una grande profezia. Eppure nei 12 anni che ci dividono dalla prima edizione di Masterchef Italia qualcosa sembra essere cambiato: trasmissioni aperte e chiuse, format sempre più simili e una certa noia dovuta all’inevitabile sovraffollamento. Lo stesso Masterchef lavora sempre più alla ricerca dell’effetto “famolo strano”, premiando i personaggi più che i piatti e cercando di convincerci che chiunque non sappia sfilettare un pesce gatto del Mississippi orientale in tre mosse sia una specie di troglodita.
Insomma, (forse) prima o poi la bolla si sgonfierà. Intanto però ci sono ancora almeno due buoni motivi per parlare di cucina “sullo schermo”. Due motivi apparentemente diversi, ma facilmente accostabili perché accomunati da un intento molto simile: dirci come stanno le cose.
Il primo è un film, The Menu, una specie di horror culinario consigliatissimo per il cast (dominato dal diabolico chef Ralph Phiennes, con l’ottima compagnia di Anya Taylor-Joy e John Leguizamo), per la sceneggiatura, ma soprattutto per la capacità di esporre in maniera fedele e paradossale insieme le storture di un sistema – quello dell’alta cucina e dei ristoranti stellati – mostrandone tutte le fragilità. Senza spoilerare, basta solo una frase dello Chef Slowik – «Voi, miei cari ospiti, non siete persone comuni, dico bene?» – che meglio di tanti discorsi ci fa capire come alla base delle follie della ristorazione ci sia ancora, come sempre, il desiderio di sentirci, di saperci migliori. Questo impareggiabile incubo patinato è ora disponibile su Disney+.
Il secondo motivo è una delle serie più interessanti che siano state prodotte negli ultimi tempi: creata da Christopher Storer (Ramy, Dickinson), The Bear è una serie prodotta da FX-Hulu che molti annoverano già tra le migliori dell’anno passato. Il protagonista, un Jeremy Allen White (Shameless) in stato di grazia – Golden Globe come miglior attore protagonista – è Carmen “Carmy” Berzatto, chef che si ritrova improvvisamente costretto a lasciare la sua casacca di sous-chef del “miglior ristorante del mondo” per rilevare lo sgangherato diner del fratello, morto suicida.
Il registro qui, lontano dai paradossi grotteschi di The Menu, è ultra-realistico: c’è la fatica di far quadrare i conti, la noia della ripetitività, la cattiveria di chi non accetta di essere messo in discussione, ma anche la voglia di riscatto, e soprattutto c’è quell’incredibile calore umano che si ritrova soltanto in una piccola comunità di individui costretti a vivere costantemente a stretto, strettissimo contatto. Se ci aggiungi una sceneggiatura incalzante, una fotografia da urlo e una colonna sonora minimale ma per niente scontata, il gioco è fatto: otto puntate di appena mezz’ora (e anche meno) che vi trascineranno da subito nel vortice serrato di un mondo incredibilmente crudo, vivido. In una parola: vero. E qualche lacrimuccia, lo confesso, me la sono anche fatta.
La prima stagione è disponibile su Disney+, ma c’è già il teaser della seconda, appena annunciata per il prossimo mese di giugno: è ora di mettersi in pari!
Nella foto in alto: Jeremy Allen White in ‘The Bear’
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Matteo Torterolo
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