ANDREA CRESPI – L’ESSENZIALE
Artista phygital, classe 1992, è nato in provincia di Varese e oggi espone le sue opere a Pechino, Hong Kong, Miami e New York. Si definisce un artista pop, perché con un’estetica riconoscibile lancia messaggi sulla contemporaneità e sui cambiamenti sociali
di Carolina Saporiti
Incontriamo Andrea Crespi al telefono, è un venerdì di marzo e per lui molte cose bollono in pentola. Lo si capisce dal tono entusiasta con cui inizia a raccontarci alcuni progetti a cui sta lavorando: «È un periodo pieno di impegni e di belle soddisfazioni. È appena stata lanciata la mia monografia, un libro da collezione che racconta la mia ricerca nell’ambito dell’arte digitale e crittografica. Questa settimana è stata presentata in centro a Hong Kong, su uno schermo lungo 70 metri, una mia opera inedita sul tema della libertà, e contemporaneamente, al CAFA Art Museum di Pechino, ha inaugurato la prima mostra NFT in un’istituzione artistica cinese. Esporre insieme a grandi nomi dell’arte mi rende molto orgoglioso». E poi, ancora per qualche giorno, sarà possibile vedere alla Triennale di Milano un’opera monumentale che Andrea ha realizzato con i ragazzi di Dynamo Camp, «un’esperienza davvero bella e importante».
Già tutte queste cose basterebbero per parlare tre ore… C’è altro?
In realtà sì, tanto, sto collaborando con diversi brand, a breve uscirà la campagna per Fred Perry e a maggio inaugurerà una mia personale a Mantova, curata dalla Galleria Zanini. Poi c’è MIA Photo Fair la prossima settimana… Aspetta, fammi vedere se c’è altro sull’agenda… Ci sono anche le multe da pagare!
Beh quelle forse non rientrano negli impegni di lavoro…
In realtà sto pensando a come farle diventare un’opera d’arte. D’altronde la creatività è questo: trasformare una cosa in qualcos’altro.
E allora è il momento di spendere qualche parola sul tuo percorso creativo: cosa hai studiato? Dove sei cresciuto?
Sono classe ‘92, la mia generazione è cresciuta in un mondo in cui il digitale ha sempre fatto parte della nostra vita. Muovendomi tra smartphone, PC e fotocamere, ho semplicemente trovato terreno fertile per esprimermi con questi strumenti. Siamo figli della nostra epoca che poi si è amplificata, tanto è vero che per rimanere al passo con i tempi mi piace continuare a sperimentare con le nuove tecnologie. La via è questa, un’integrazione sempre più forte tra mondo fisico e mondo digitale.
Lavori con il metaverso?
Per quanto tutti ne parlino, nessuno può dichiarare ancora l’esistenza del metaverso, per ora si tratta solo di esperimenti, di realtà immersiva con supporti come Oculus o di creazione di realtà virtuali. Sono una persona creativa, dunque curiosa, quindi tutte queste cose sono di stimolo: sono interessato a fare innovazione, a fare cultura, ad avere una visione artistica di lungo periodo, al di là dell’aspetto commerciale che comunque ha la sua importanza.
Può suonare strano sentire parlare di lato commerciale un artista…
Non lo è, per me l’arte è la mia vita e io devo vivere del mio lavoro, soprattutto avere la disponibilità economica per reinvestire in ricerca. Poi, ovviamente, mi interessa anche il riconoscimento a livello umano: mi gratifica la creazione in sé ed esprimermi artisticamente è per me un’esigenza primaria.
Parliamo di valore dell’arte allora: da dove nasce?
Il valore dell’arte è molto relativo, c’è il valore tecnico, c’è quello concettuale e c’è quello storico. Oggi un artista non può essere solo una persona con competenze artigianali, deve avere una mente trasversale, essere anche un imprenditore, le capacità tecniche non sono sufficienti. Molti grandi artisti di oggi delegano ad altri la realizzazione delle proprie opere. Il valore sta nell’idea e, aggiungo, anche nel personaggio. Il personal branding è un altro tema importante.
Strano sentire parlare anche di personal branding. Forse ha a che fare con il tuo percorso lavorativo?
Certo, io vengo dal mondo della comunicazione, non ho fatto l’Accademia e non sono un figlio d’arte, all’inizio lo vedevo come un mio limite, ora credo che sia la mia forza.
Parliamo quindi della tua arte. Come la possiamo definire?
Sicuramente rientra nell’universo della pop art, è espressione della società e dell’immaginario collettivo. Ci tengo che la mia arte possa essere compresa dal- le persone.
Si sente parlare sempre più spesso di arte NFT, ci spieghi cosa vuole dire?
NFT non è sinonimo di opera d’arte. È un acronimo che sta per Non-Fungible Token e in breve è un certificato di proprietà applicabile a contenuti digitali. Sono stati adottati anche dagli artisti per proteggere il valore e l’autenticità delle loro opere digitali, ma non c’entra con l’arte digitale in sé, quella esiste da molto tempo, da decenni. Essere un crypto artista significa fare parte di un nuovo movimento artistico eterogeneo che include artisti che lavorano con tecniche e stili molto diversi, dal 3D al video alla fotografia, per fare qualche esempio.
A proposito di stili, molti tuoi lavori utilizzano l’illusione ottica per lanciare messaggi sociali forti o per raccontare cambiamenti culturali in atto. Come mai questa scelta?
Nasce da un’esigenza espressiva, mi sono trovato a voler fare figurativo femminile, ma non volevo essere censurato: ho sperimentato diverse tecniche prima di scegliere questa. Instagram censurava il nudo e io sono riuscito a rappresentarlo attraverso un espediente visuale. E poi sono allievo della filosofia di Munari, che semplifica per arrivare all’essenzialità.
Ci racconti come funziona il tuo lavoro?
Parto sempre da un’idea che trasformo in un’immagine, che sia una frase o figurativa e poi la rielaboro digitalmente. A volte il mio lavoro è completamente digitale, altre volte si materializza anche su supporti fisici, principalmente tele che dipingo a mano con colori acrilici. Adesso su alcune opere sto integrando anche l’intelligenza artificiale.
Il tuo lavoro esprime un bisogno di comunicazione e di denuncia. Senti una responsabilità in questo senso? E in che modo credi che l’arte possa essere una forma di attivismo anche per il pubblico?
Il nuovo oro del mondo è l’attenzione. Per tutti: per le aziende, per le persone… tutti sono alla ricerca di pubblico e di attenzione. Essere riuscito a guadagnarmi un’attenzione mediatica mi fa sentire una certa responsabilità perché la mia arte veicola sempre dei messaggi ma rimango fedele a me stesso, in questo senso, non faccio niente per compiacere qualcuno. Insomma l’arte è una forma di atti- vismo, sì e non è detto che sempre accolga il favore del pubblico.
Articolo pubblicato su WU 119 (aprile – maggio 2023)
Andrea Crespi su IG
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