CHACE – OLTRE IL DEEJAYING
Dallo stage principale del Tomorrowland, a un nuovo inizio come artista pop: Chace ci racconta il suo ultimo album. Con il Nameless nel cuore
di Dario Buzzacchi
Per la maggior parte degli artisti della scena elettronica, esibirsi sul palco principale del Tomorrowland è un sogno irrealizzabile più che un traguardo della carriera. Può però essere anche un’etichetta che imbriglia l’evoluzione di un artista a cui le categorie di genre stanno strette. Come nel caso di Chace che, tra una data e l’altra in un tour tra club cinesi e i migliori festival in Asia, ci ha raccontato della svolta pop con il suo primo album. E del suo festival preferito: il nostrano Nameless.
Il tuo album di debutto ‘Belated Suffocation’, è una miscela unica di dark e dance-pop. Come è evoluto il tuo suono dai tuoi inizi e cosa possono aspettarsi i fan dalle tue prossime uscite?
Quando ho iniziato a cimentarmi con la produzione, sono andato un po’ a tentoni: ho sperimentato molto, nel tentativo di ricreare sonorità che avevo sentito qua e là. Intorno al 2016 ho trovato un sound che era al contempo piacevole da ascoltare e che aveva una certa identità. Ma dopo un paio d’anni penso di aver sviluppato un moto di repulsione nei confronti della musica commerciale: mi sono rimesso a sperimentare e ho smesso di preoccuparmi della comunicazione tra me e il mondo. “Belated Suffocation” è praticamente la risposta a me stesso: mi sono isolato per un po’, e questo suono oscuro è quello che è risultato da quella fase. Ora, andrò oltre il mio periodo dark con nuova musica. E “Don’t Get My Hopes Up”, la mia ultima canzone, è l’inizio di un nuovo album, ed è il suono più “pop” che abbia mai avuto. Si tratta di un estratto interessante, perché anche se la sonorità è pop, l’argomento di cui parlo è piuttosto oscuro.
Il tuo brano precedente, “Mariya”, presenta una fusione accattivante di immagini e musica. Puoi dirci di più sull’ispirazione dietro la canzone e il videoclip musicale cinematic?
Volevo cimentarmi con immagini veramente cinematografiche, e i singoli “Cinematic” e “Mariya” sono stati degli esperimenti in tal senso. A dir la verità, mi sono costati parecchio: ma per scoprire le cose, le devi prima provare.
Sei stato il primo artista cinese ad esibirti sul palco principale del Tomorrowland. Come questo ha influenzato la tua carriera, e cosa pensi che abbia significato per la scena della musica elettronica in Cina?
Mi ha dato una grande spinta come DJ, ma ha creato delle false aspettative per la gente che ha scelto di seguirmi: è stato il traguardo più importante che abbia mai ottenuto, e molte persone mi conoscono solo grazie a questa cosa, ancora oggi. Ho cercato di liberarmi dei panni di “DJ Chace” per molto tempo: non voglio smettere di fare il DJ, ma è come se certa parte di pubblico non volesse accettare la mia evoluzione artistica. Cosa ha voluto dire per la scena cinese? Non lo so, sicuramente significa che la mia agenzia di booking è stata davvero brava (ride, ndr).
La collaborazione è un aspetto essenziale dell’industria musicale. Ci sono artisti con cui ti piacerebbe realizzare un featuring?
Non voglio lavorare con nessuno, a meno che non si tratti di una collaborazione totalmente organica. Vorrei collaborare con artisti solo dopo aver avuto conversazioni approfondite, e avere vissuto delle esperienze insieme nella vita reale.
Recentemente hai collaborato con Farfetch per un progetto. Come è nata questa idea, e qual è il tuo rapporto con la moda?
Un saluto al mio amico Olivier Kreis, che mi ha presentato a Farfetch perché ha visto il mio potenziale nel creare qualcosa anche in chiave brand. Ha sempre creduto che i marchi di moda possano aiutare i musicisti, e penso che nel nostro caso la cosa abbia funzionato abbastanza bene. Ritengo che la moda dovrebbe ancora essere una forma per esprimere se stessi: e, se posso esprimermi attraverso la moda sia visivamente sia musicalmente, perché no?
Mentre parliamo, sei in tour per i più grandi club cinesi, una scena che è cresciuta rapidamente negli ultimi anni. Da insider, potresti condividere con noi quali sono i tuoi club preferiti in Cina e ciò che li rende unici?
Non condivido il tuo ottimismo verso la clubbing scene cinese, conoscendola. La scena non è cresciuta: i locali e i festival cinesi hanno riempito di soldi tutti, artisti e promoter. E se c’è qualcuno che torna lì, è solo per continuare a mungere la mucca. Ciò che contraddistingue la scena cinese è questo: che ci sono un mucchio di soldi e che sembra che ne arrivino ancora e ancora, come un circolo vizioso tossico. Per quanto riguarda i locali da consigliare: ahimè, tutti i miei club preferiti sono chiusi negli ultimi tre anni.
Hai calcato i palchi dei più grandi festival in tutto il mondo: ce n’è uno che ti è rimasto nel cuore?
È curioso, ma una delle mie esperienze più memorabili è stata proprio in Italia, quando ho suonato al Nameless Festival. È stato sei anni fa: il palco era vicino al Lago di Como, c’era un tempo fantastico e l’energia del pubblico era quella giusta.
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