BLUEM – ABBRACCIARE IL NUOVO
Con il suo secondo album, ‘Nou’, l’artista sarda da tempo di base a Londra ha scelto di percorrere nuove strade artistiche senza “appoggiarsi” troppo sulla buona accoglienza del suo debutto. La vedremo a settembre a Spring Attitude, decisamente in ottima compagnia
di Enrico S. Benincasa
Chiara Floris ci guarda da lontano, per la precisione dalla capitale inglese in cui risiede da quando ha 18 anni. Con il suo ultimo Nou, parola “sardo- catalana” che significa “nuovo”, ha riacceso la luce sul suo progetto musicale, Bluem, con cui ha debuttato con Notte nel 2021. Questo è un album diverso, a cominciare da come è stato registrato, che prende strade musicali differenti dal precedente e che coinvolge altri artisti nella produzione e al microfono. La Sardegna non manca in questo nuovo lavoro, sia nelle tematiche e nelle figure che ne fanno parte, sia nella sua immagine (l’artwork curato insieme alla conterranea Valeria Cherchi). In un’estate che l’ha vista tornare a suonare anche in Italia, non potevamo che cominciare parlando del palco e delle sue sensazioni.
Nou, il tuo secondo album, è uscito lo scorso 12 maggio per Peermusic. Come sono state le date successive all’uscita del disco?
La cosa più importante è che sto suonando di più, un fattore che sta cambiando la mia percezione del live, mi sento più tranquilla e a mio agio sul palco. Una grande novità è stata l’aggiunta della batteria che sta dando una dinamica diversa al tutto. Non necessariamente migliore, ma diversa. Poi sto notando con piacere che sempre più persone stanno scoprendo il mio progetto e le vedo molto attive sotto al palco. Mi accorgo di quelle che sono più affezionate a Notte e quelle che invece conoscono già Nou, ed è ed è interessante e divertente cercare di scorgerle durante i concerti.
Tra i concerti di questi mesi c’è stato anche il tuo debutto al ‘Mi Ami’…
Sì, ed è stata la prima occasione in cui abbiamo presentato il live in maniera completa. Era anche il mio debutto in questo festival, se escludiamo la mia partecipazione al ‘Mi Manchi’ di qualche anno fa. Purtroppo, vivendo a Londra da tempo, non ci ero mai stata nemmeno come spettatrice. Mi sembra un festival che prova a fare una scelta artistica stimolante ed è importante che cresca. Sono stata molto contenta, soprattutto di vedere così tanta gente sotto al palco mentre mi esibivo.
Hai scelto Nou come titolo del tuo nuovo disco prima ancora di iniziare le lavorazioni. Come mai questa scelta?
Il titolo è arrivato prima, è stato il primo tassello. Non ricordo esattamente il momento in cui è arrivato, forse stavo pranzando o leggendo qualcosa, ricordo però che ero in un periodo di riflessioni. Artisticamente parlando, ero combat- tuta sul prossimo passo da compiere: da una parte ragionavo sul fare qualcosa che potesse essere gradito a chi mi aveva accolto positivamente, dal pubblico agli addetti ai lavori, dall’altra percepivo il rischio di uscire con qualcosa che non mi rappresentasse. Sono una persona curiosa per natura e sapevo quanto fosse impossibile per me rifare qualcosa di simile a Notte. Il titolo, quindi, è stata la mia promessa a me stessa di proporre qualcosa di nuovo.
È stato un disco scritto di notte come il precedente?
Questa volta la notte non è stata una costante, l’ho scritto prevalentemente di giorno. Ci ho lavorato molto di più, d’altronde Notte è stato fatto in una sola settimana. Nou è nato in un momento frenetico della mia vita ed è stato normale occuparmene per più tempo. Il momento in cui si spengono le luci, però, rimane comunque uno di quelli più produttivi e nel quale riesco molto spesso a esprimermi bene dal punto di vista creativo.
È un disco di dieci brani: hai dovuto fare delle scelte dolorose e lasciare fuori dei pezzi?
No, difficilmente lavoro per sottrazione e, in questo caso, ho fatto fatica ad arrivare a dieci (ride, NdR). Non mi considero una persona iperproduttiva e cerco di condensare le cose che ho da dire in pochi brani. Sono minimale nell’approccio alla musica in tutti gli aspetti. Ci sono brani che sono nati velocemente e istintivamente, come AM, altri invece hanno richiesto un processo più lungo. Ripensando a quei momenti, oggi mi sembra per magia tutto si sia allineato, ma in realtà tutto più lentamente e con più fatica.
Come sta andando l’esperienza a Radio Raheem con Musica per il corpo?
Non ci crederai, ma proprio pochi minuti fa stavo lavorando alla playlist per il programma (ride, NdR). Mi piace molto questa esperienza perché mi spinge ad ampliare i miei orizzonti e ad ascoltare cose che forse non avrei mai ascoltato. Metto al centro il legame tra musica, corpo e movimento, è una selezione fatta per un momento di connessione fra questi elementi.
Ti sei avvicinata da tempo al mondo della pole dance. È stata una piacevole scoperta nella tua vita? Sta avendo qualche influenza sul tuo lato musicale?
Sì, in un certo senso mi ha salvato dal punto di vista mentale. È una disciplina creativa che ha una connessione forte con la musica e con un mezzo molto particolare come il palo, impegnativo dal punto di vista fisico. Mi ha fatto realizzare che c’è musica che è istintivamente legata al movimento del corpo. Oggi la mia musica non sempre rispecchia quello che seleziono per il programma, ma è un mio intento fare avvicinare questi due mondi.
C’è ancora uno stigma nei confronti della pole dance?
È un problema che la comunità vive. C’è bigottismo nei confronti di qualunque cosa rappresenti la sensualità, anche sui social per via dei loro algoritmi. Ci sono tante pole dancer che fanno un lavoro incredibile – provate a cercare @ebeb.spins o @sammypicone su Instagram – nello sforzo di connettere corpo e musica. È un mondo da noi ancora poco conosciuto e variegato, con molta creatività. Negli ultimi tempi molta musica di nicchia l’ho scoperta proprio grazie alla pole dance.
Intervista pubblicata su WU 121 (settembre 2023)
La foto in alto è di Valeria Cherchi
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