ANY OTHER – SCELGO TUTTO…
L’attesa per il nuovo disco è finita: il 26 gennaio è uscito Stillness, Stop: You Have a Right to Remember, il nuovo lavoro del fortunato progetto di Adele Altro. Il tour è cominciato con un sold out, ma siamo sicuri non sarà l’ultimo
di Carlotta Sisti
Chiunque altro e nessun altro. Any Other ha scelto di chiamare così il suo progetto musicale dieci anni fa, ma ci si accomoda ancora perfettamente dentro. La sua musica parte dai luoghi che vive e abita, ma è come una stanza con la porta aperta in cui le persone possono entrare e uscire al bisogno. Stillness, Stop: You Have a Right to Remember, il nuovo disco di Adele Altro-Any Other, giunto sei anni dopo il precedente Two, Geography, ci ricorda che il suo mix di indie folk e cantautorato è capace di grandi incantesimi. E quando Adele torna, ci si rende conto di quanto ci era mancata.
Quando esce un tuo disco è sempre un fiorire di recensioni meravigliose, applausi a profusione. Come accogli questo entusiasmo trasversale per il tuo lavoro?
Questa volta, per la prima volta, ci ho dato meno peso. O meglio, sto cercando di non preoccuparmene troppo non leggendo quasi nulla. Sono ancora in una fase in cui devo elaborare che questo disco sia uscito, e cerco la risposta, alla domanda se sia piaciuto o meno, nei concerti. Detto ciò, mi verrà sicuramente voglia di recuperare recensioni e articoli, ma adesso mi sento ancora vulnerabile, e dato che ho imparato ad ascoltare la vulnerabilità, sto rimandando.
Questo perché ti senti più esposta con questo disco rispetto a quelli precedenti?
Non è solo questo. Banalmente, ho finito di registrarlo un anno fa, quindi c’è una bella finestra di tempo da quando l’ho finito a quando è uscito. Per me, quindi, esiste già da parecchio, mentre devo ancora realizzare che per gli altri sia una cosa nuova. Dovrei essere abituata a queste dinamiche, e invece mi fa ancora strano. Il fatto di sentirmi vulnerabile, però, è dovuto al fatto che ci tengo. Ci tengo tanto.
Un anno è parecchio, però in mezzo hai fatto mille altre cose.
Sì, quest’autunno, per esempio, ero in tour con Colapesce e Di Martino, e lì aveva poco senso per me far uscire un mio album mentre stavo suonando ai concerti di qualcun altro.
Com’eri all’inizio di questo disco e come sei oggi?
(Si prende un attimo per pensarci, NdR). Ci sono due sensazioni portanti: da un lato alcune cose che ho scritto mi fanno quasi tenerezza, perché avevo 21 anni e molto da scoprire sul mio conto; dall’altro, invece, non trovo qualcuno di estraneo, anzi molti pezzi della me poco più che ventenne, ci sono anche adesso che sono vicina a compierne trenta. Sono cresciuta, ma sono sempre io. Poi chiaramente un pezzo come Zoe’s Seeds, dove racconto un litigio con una cara amica, è un mix: mi fa tenerezza, ma allo stesso tempo mi capisco, per quelle emozioni così forti. E poi il fatto che a livello umano quella cosa sia risolta, perché abbiamo riallacciato il rapporto, non me lo fa vivere con malinconia. Fosse una ferita aperta sarebbe più complesso, anche se io sono una che mentre scrive, si spreme a livello emotivo, ma per non perdermi dentro la performance di quello che sto facendo riesco a mettere la giusta distanza tra le cose.
Dicevamo del fatto che fai mille cose in contemporanea: ti trovi bene nell’assenza di pause o è una costrizione?
Entrambe le cose. Da una parte è il trick di fare per lavoro quello che ami di più, per cui ogni cosa è entusiasmante, ogni proposta è un sì. Però questo è anche un aspetto dei mestieri artistici che viene troppo romanticizzato. Non si parla abbastanza del fatto che siamo persone che hanno una vita e si devono mantenere. Come chi fa un lavoro di ufficio non può permettersi di prendersi delle pause, anch’io, che non sono una pop star con un sacco di soldi, non mi posso fermare per, boh, tre anni e non fare nulla. Tutto quello che faccio mi piace, sì, ma mi dà anche da mangiare, quindi c’è anche una parte molto pratica e poco romantica, in questo mio non fermarmi quasi mai.
Ti diverte, fra mille virgolette, fare il “mestiere” della turnista?
Mi diverte perché l’ho sempre fatto in contesti in cui c’è molto margine per l’interazione umana. Antonio (Di Martino) e Lorenzo (Colapesce) sono amici, anzi Antonio è stato anche mio coinquilino, e l’impostazione del lavoro è: suoniamo assieme in modo arricchente per tutti. Fatto in questo modo sento che mi appar- tiene come cosa, mi diverte e sul piano emotivo è molto più leggero, perché non mi devo confrontare con il mio lavoro di autrice.
Nel disco si parla del superare la tendenza alla rimozione delle cose: come si fa?
Andando in terapia (ride, NdR). Purtroppo non ho un’altra risposta. La voglia di mettere a posto la stanza che è la nostra testa deve partire da noi. Quello che posso dire è che la rimozione è una fregatura, perché insieme ai ricordi brutti spesso si perdono anche quelli belli, quelli che rendono il bianco e nero una zona grigia, e questo non mi andava. racconta l’artista. Perché le cose complesse e importanti non possono essere bianconere. A un certo punto mi sono detta: mi merito di ricordare anche le cose belle, non è giusto che quelle mi siano portate via.
Hai già fatto una data sold out a Milano, a breve parti per il tour che ti porterà anche fuori dall’Italia. Suonare dal vivo è la tua dimensione preferita?
Sì. A me piace lavorare in studio, ma avere a che fare con un pubblico, avere interazioni, è quello che rende speciale il tutto. Che fa sì che suonare smetta di essere una cosa che faccio nella mia camera, e diventi reale.
Domanda banalissima: che differenze ci sono tra suonare in Italia e suonare all’estero?
Non tante, restando in Europa centrale. Dall’altra parte del mondo sono stata solo una volta, quindi è una realtà tutta da scoprire. Ho fatto Cina, Giappone e Taiwan, tra l’altro nel novembre 2019, poco prima della pandemia. Anzi, la prima data sarebbe dovuta essere Wuhan, poi ce l’avevano cancellata e ora ho un’idea del perché. Assurdo, vera psichedelia.
Tra Occidente e Oriente, scegli quest’ultimo?
No, scelgo tutto. Alla fine tutti i posti sono belli e tutti i posti fanno cagare.
Mi sa che abbiamo un titolo: cosa ne dici?
Sì, ci sta. E poi mi fa anche un po’ ridere.
L’intervista è stata pubblicata su WU 124 (febbraio 2023)
Nella foto in alto: Adele Altro, foto di Ludovica De Santis
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