IMILLA
La fotografa brasiliana Luisa Dörr indaga da tempo il rapporto tra il mondo femminile e le tradizioni culturali, in particolare in Sud America. Una storia come quella del collettivo boliviano di skater tutto al femminile non poteva sfuggire alla sua camera…
di Enrico S. Benincasa
«Quando ho visto la loro prima immagine su Instagram, ho sentito subito il bisogno di saperne di più». Inizia così a parlarci di Imilla Luisa Dörr, fotografa brasiliana autrice dell’omonimo reportage su questo particolare gruppo di skater donne di Cochabamba, terza città della Bolivia di oltre 600 mila abitanti che sorge a 2.500 metri sul livello del mare.
Il lavoro fotografico, presentato all’ultimo Festival della Fotografia Etica di Lodi dello scorso ottobre, durante il quale ha ottenuto la menzione speciale del World Report Award nella sezione “short story”, rientra perfettamente nel filone di ricerca che Luisa sta portando avanti: «La fotografia mi porta a essere una persona più empatica nei confronti della società e in qualche modo cerco di mostrarlo nelle mie immagini. Quando mi sono imbattuta in Imilla, ho capito che sarebbe stata una buona occasione per mettere insieme alcuni temi per me rilevanti come giovani donne, minoranze, identità, etnografia, sport, politica, patrimonio culturale e autenticità, rompendo inoltre alcuni stereotipi». Dopo il primo contatto su Instagram il rapporto tra Luisa e le componenti del collettivo è andato avanti tramite una chat su Whatsapp, attraverso la quale hanno pianificato i dettagli di come incontrarsi e raccontare con la macchina fotografica questa storia. La pandemia, però, ha imposto un ritardo di diversi mesi sulla tabella di marcia che si erano prefissate. Alla fine, Luisa è riuscita a raggiungere Coachabamba e ha trascorso due settimane insieme a loro.
L’elemento che rende unico l’approccio delle componenti di Imilla è l’utilizzo delle polleras, delle gonne tradizionali che, nella loro apparente distonia rispetto all’immaginario che abbiamo del mondo dello skateboarding, diventano invece un simbolo che incarna forza, perseveranza e una richiesta di rispetto per le proprie radici culturali. Molte delle componenti di questo gruppo hanno origini Aymara e Quechua, comunità che negli ultimi decenni, in particolare durante la presidenza di Evo Morales, hanno rivendicato le loro origini anche con atti simbolici come l’utilizzo di abiti tradizionali. «Imilla», ci racconta Luisa, «è un termine proveniente dalle lingue indigene che può essere tradotto con la parola “ragazze”. Questo collettivo di skaters mira non solo a promuovere lo skateboarding in Bolivia e a dare potere alle giovani donne, ma anche a lanciare un appello sociale più ampio per riconciliare le disparità culturali e smantellare i secolari stereotipi sulle donne. La società indigena boliviana, a mio parere, è una delle società matriarcali più robuste. Secoli dopo l’arrivo dei conquistadores spagnoli, queste persone stanno finalmente rivendicando la propria dignità e influenza sociale, e Imilla emerge da questo quadro come una testimonianza di questa continua rinascita ed emancipazione».
Oggi il collettivo continua la sua opera sui social – ha oltre 100 mila follower su Instagram e 55 mila su TikTok – e, grazie anche a questo lavoro fotografico, sono riuscite a farsi conoscere in tutto il mondo: «Ora vedono la fotografia attraverso una lente diversa, riconoscendo la potenza della narrazione», ci dice Luisa. Imilla si interseca perfettamente con il lavoro della fotografa brasiliana, che precedentemente aveva pubblicato un progetto su un altro collettivo femminile boliviano, quello delle wrestler Flying Cholitas: «Il machismo profondamente radicato dell’America Latina rende difficile essere una donna, e le Cholitas volanti, sebbene conosciute per il wrestling, combattono un’altra battaglia: quella quotidiana per i loro diritti fondamentali e per il riconoscimento sociale, mentre cercano di provvedere alle loro famiglie oltre a quello che fanno sul ring. Sono vere combattenti nella lotta incessante per la sopravvivenza».
Questi lavori fotografici, che uniscono l’universo femminile e le tradizioni culturali, hanno certamente tanti punti in comune tra loro. Come ci rivela Luisa, l’idea è quella di farli diventare parte di un progetto più ampio: «Voglio fare un libro in futuro, ma ho ancora molta strada da fare. Attualmente sono in fase di ricerca per tre storie distinte che intendo fotografare tra il 2024 e il 2025. Una riguarda le ostetriche indigene nel nordest del Brasile. Queste donne rappresentano l’incarnazione della resilienza, della saggezza ancestrale, delle credenze cosmologiche e dei rituali sacri e sono dei pilastri all’interno delle loro comunità. Non ci sono molte storie sugli indigeni di questa zona e vorrei provare a creare un pezzo multimediale, mescolando audio, testo, video per raccontare questa storia. Poi vorrei concentrarmi sulle rimanenti maiko, le apprendiste geisha che sono ancora disposte a vivere in una okiya (la casa delle geishe) governata da una oka-san (madre). Kyoto è il cuore del loro mondo, l’unica città in cui oggi esiste il programma di formazione iniziale per adolescenti. Lo scopo è documentare come una tradizione così antica sopravviva e conviva con una società moderna, prima che scompaia o diventi irrilevante. Infine, l’ultima riguarda la tribù Kayan dal collo lungo a Mae Hong Son, in Thailandia. Sono ansiosa di approfondire la loro cultura e documentare il turismo legato al neck ring».
Articolo pubblicato su WU 124 (febbraio 2023)
Immagine in alto di Luisa Dörr dal progetto ‘Imilla’. Tutte lel foto nella pagina sono di Luisa