TUTTA UN’ALTRA BIRRA
In pochi decenni la produzione brassicola italiana si è fatta conoscere per creatività e qualità, e gli appassionati che si fanno la birra in casa sono parte attiva di questa rivoluzione. Ora possono portare questo “gioco” a un nuovo livello
di Marco Agustoni
L’Italia è il Paese del vino, nessuno si sognerebbe di negarlo. Ma perché fossilizzarsi su un’unica bevanda? A ben vedere (anzi, a ben bere), può benissimo diventare anche il Paese della birra, e forse un po’ lo è già. Da quel fatidico 26 ottobre 1995 in cui un ormai celebre decreto legislativo ha sancito la legalità del fare la birra in casa, il movimento dell’homebrewing Made in Italy ha preso progressivamente piede, con l’apertura in serie di brew pub, microbirrifici e birrifici decisamente meno micro, ma comunque artigianali, che nel giro di un paio di decenni hanno imposto la “scuola” tricolore come una delle più promettenti a livello globale.
«Paradossalmente, il fatto di non avere una tradizione brassicola ci ha dato un vantaggio», spiega Stefano Foglio, homebrewer dal 2006 e cofondatore di Personal Brewery. La libertà di sperimentare ha infatti da subito acceso la scintilla in tantissimi appassionati che hanno deciso ben presto di stravolgere le regole del gioco con quella creatività che ci contraddistingue, soprattutto in ambito alimentare. «All’estro tipicamente italiano si aggiunge una biodiversità incredibile, che ha permesso di lavorare su ingredienti di qualità legati al territorio». È così, per esempio, che in Sardegna Nicola Perra del birrificio Barley ha cominciato a produrre birra con il mosto d’uva di Cannonau e si è inventato le ormai affermate Italian Grape Ale, ed è così che sempre in Italia è nato lo stile delle birre alla castagna.
Dall’ambito brassicolo, nel tempo, la passione per il fai da te si è diffusa anche ad altri alcolici: di recente, per esempio, sulla scia della moda del gin stanno riscuotendo un discreto successo i kit per distillare questo liquore in casa, e in commercio si trovano simili set per produrre whisky e altri spiriti. Ma la birra è rimasta un passo avanti, tanto che alcune realtà hanno deciso di far compiere un salto di qualità all’homebrewing. È proprio il caso di Personal Brewery, laboratorio di Lambrate, a Milano, che offre servizi di vario tipo ai birrifici, ma permette anche ai semplici appassionati di utilizzare le proprie attrezzature per produrre birra superando i vincoli casalinghi e in maniera più accurata, fornendo anche dritte sul modo migliore per affrontare le diverse fasi produttive, dalla fermentazione all’imbottigliamento.
«I nostri primi clienti erano proprio homebrewer che a casa erano un po’ limitati con gli spazi e le attrezzature», racconta Stefano. Quello dell’homebrewing, dopotutto, può diventare un hobby ingombrante, con fermentatori depositati in vasche da bagno e casse di bottiglie vuote stipate in ripostigli. In questo modo, invece, i «mastri birrai per un giorno» possono innanzitutto evitare di dotarsi di attrezzature costose e voluminose, e in secondo luogo lasciarsi guidare dalle dritte degli esperti, portando così il proprio homebrewing a un altro livello. Tra le produzioni più gettonate di Personal Brewery ci sono soprattutto le ormai onnipresenti IPA, «perché è la tipologia che si associa più facilmente al concetto di birra artigianale». Al- cune volte però arrivano clienti interessati a stili più particolari, magari assaggiati durante un viaggio in Europa, come le Berliner Weizen o le Gose. «C’è anche chi vuole usare un frutto o una spezia che coltiva lui stesso. È il bello della produzione artigianale personalizzata: non ci sono limiti alla fantasia… a patto di creare qualcosa di bevibile!». Questo desiderio di costruirsi delle birre su misura è un segnale evidente della nascita di una nuova sensibilità nei confronti di una bevanda che dalle nostre parti è stata per molto tempo considerata “di serie B” rispetto a più nobili cugini frutto della fermentazione alcolica.
Quella che un tempo era vista quasi come una commodity da pagare un tanto al litro, sta assumendo la dignità di un prodotto gastronomico ricco di sfaccettature e di complessità, da degustare, abbinare, ma soprattutto comprendere anche a livello culturale e intellettuale. Il successo riscosso dalla birra sta pian piano abbattendo anche certi stereotipi di genere per il momento ancora ben radicati. Così, sempre più donne dimostrano il loro apprezzamento per una bevanda che nell’immaginario nostrano è ancora legata al fantozziano rutto libero davanti alla partita. Merito, appunto, dell’evoluzione qualitativa del prodotto. Anche perché, come spiega la sommelier e degustatrice Michela Cimatoribus, «le donne sono molto interessate al tema degli abbinamenti, e questo contribuisce alla sperimentazione nell’accostamento fra birra e pietanze». A un maggiore consumo al femminile corrisponde anche un parallelo aumento nella “rappresentanza sul campo”: non è quindi più così raro trovare donne fra mastri birrai e homebrewer, con l’ingresso di una sensibilità diversa che può incentivare l’esplorazione di vie gustative differenti. Insomma, in Italia la fermentazione, che già di per sé è un processo che trabocca vita da ogni goccia, non è mai stata così movimentata.
Nella foto in alto: foto di Meritt Thomas da Unsplash
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