ICONS
Maestro della fotografia delle celebrità, Oscar Abolafia ha firmato tra gli anni Sessanta e Settanta ritratti senza tempo di star come Liz Taylor, Elvis Presley, David Bowie e Yoko Ono. Cultura pop in formato istantanea: quello che ci vuole per rivivere un’epoca attraverso i suoi protagonisti
di Marzia Nicolini
Click, che il viaggio abbia inizio. Sfogliare il nuovo libro Icone equivale a immergersi nel dorato mondo dello showbiz americano degli anni Sessanta e Settanta. Un’epoca di ricchezza e glamour nella quale le star del cinema, della musica, dell’arte e della politica custodivano gelosamente la propria vita privata, mostran- dosi in pubblico (in tutto il loro scintillante splendore) soltanto in occasione di performance, anteprime e red carpet. Quando, insomma, il loro ruolo di celebrity lo richiedeva.
Gli appassionati del genere riconosceranno all’istante la mano (e l’occhio) del fotografo autore degli scatti: Oscar Abolafia. Per tutti, semplicemente Oscar. La verità è che è lui il protagonista del volume, edito in Italia da L’Ippocampo. Certo, un protagonista che sceglie di dirigere i giochi stando dall’altro lato dell’obiettivo, ma pur sempre un indiscusso main character. Icone riporta alla luce molte fotografie inedite dalle oltre 300 mila che compongono l’archivio di Oscar Abolafia. Ritratti di icone tra cui Sean Connery, Robert Redford, Michael Jackson, Elvis Presley, Mick Jagger, David Bowie, Madonna, Meryl Streep, e moltissimi altri nomi altrettanto popolari.
I classici personaggi noti a tutti, quel tipo di esseri umani destinati a restare nella storia, nell’iconografia e nella memoria collettiva. Oscar Abolafia poteva permettersi di chiamarli per nome, bypassando il cognome: Nicholson era semplicemente Jack, Taylor era Elizabeth, se non Liz, Joplin era Janis, Hepburn era Audrey.
Abolafia, nato nel 1935 da una famiglia ebraica di stanza a New York, iniziò il suo percorso artistico come assistente del fotografo industriale William Vandivert. Da lì, con inesauribile determinazione e tanta voglia di farcela, si fece strada in un mondo che creava moltissime barriere tra il grande pubblico e le star. Si dice che fu la sua innata discrezione, unita alle mirabili capacità tecniche e alla formidabile arte dell’attesa, a permettere a Oscar Abolafia di ottenere la fiducia di tante personalità dell’epoca. Arrivando a realizzare ritratti contesi dai principali magazine, da “People” a “Vanity Fair”.
Con la sua inseparabile Leica al collo, scattava ritratti caratterizzati da valori di naturalezza e autenticità, riuscendo spesso e volentieri a cogliere i personaggi più in vista nei loro momenti di vulnerabilità, emotività e spontaneità. Non di rado questi incontri lo toccavano. Per esempio, quando gli presentarono Bette Davis, diva del cinema e protagonista di pellicole cult come Che fine ha fatto Baby Jane? e Figlia del vento, Oscar sentì le gambe tremare. La scena dell’incontro, inclusa a sorpresa tra le immagini del libro, è memorabile: nervosa prima di salire a parlare sul palco del teatro Town Hall, Bette Davis viene introdotta a Oscar e sentendo il suo nome cambia espressione, passando dall’ansia alla gioia. Era il secondo nome del suo primo marito.
Nella sua carriera costellata di successi Abolafia fu coinvolto nel dietro le quinte di grandi eventi come i concerti di Elvis Presley a Las Vegas e collaborò in produzioni cinematografiche, compresi alcuni film di James Bond. A volte discuteva di persona con la star la possibilità di farle un ritratto. Accade così con Salvador Dalì. L’artista spagnolo soggiornava nel 1967 a New York al St. Regis sulla Fifth Avenue. «Adorava quell’hotel, dipinse persino un murales dietro al bar. All’epoca lui era all’apice della fama e della carriera, quindi se fossi riuscito a cogliere il “vero Dalí” non avrei faticato a piazzare il servizio», racconta Oscar nel libro. «Arrivo lì e mi riceve nella hall, dove discutiamo di tale eventualità: un confronto tutt’altro che semplice, vista la sua parlantina contraddistinta da un accento particolarmente marcato. Diventa quasi una scena comica. Alla fine riusciamo ad accordarci. Del resto, lui ha un debole per la celebrità, e acconsente di buon grado allo shooting. Mi chiede di pazientare dieci minuti e di ritrovarci in una delle piccole sale conferenze al secondo piano».
«La stanza è tutta al buio. Gli domando dove sia, ed ecco che esclama: “Ma sei qui con Dalí!”. Accendo la luce e me lo vedo seduto in fondo a un grande tavolo da riunioni, con il bastone da passeggio davanti a lui. La posa è certo interessante, ma non è proprio quella a cui pensavo. Mentre se ne sta lì, Dalí nota una grande siepe artificiale e nell’eccitazione si alza di scatto e dice: “Dalí sa! Dalí sa!”. Punto l’obiettivo su di lui mentre si muove di qua e di là, scattando senza neanche badare a cosa stia combinando. Ma quando in seguito rividi i provini mi dissi: “Dalí sapeva! Dalí sapeva!”. A guardarmi fisso negli occhi, c’era Salvador Dalí tramutato in una croce. Che genio!».
Oscar Abolafia è purtroppo venuto a mancare nel 2020, ma ha lasciato dietro di sé un tesoro di immagini immortali, molte delle quali divenute riconoscibili da tutte e iconiche, altre ancora da scoprire e con cui meravigliarsi. «Credo che il mio dono sia catturare l’istante – l’istante in cui i loro occhi o il linguaggio del corpo raccontano la loro storia».
Articolo pubblicato su WU 128 (novembre 2024)
Immagine in alto: Sly Stone e Kathy Silva a New York nel 1976, foto di Oscar Abolafia