LICIA LANERA – MUTEVOLE E IMPERFETTA È L’ESISTENZA
A 20 anni ha fondato la sua compagnia teatrale, nel 2014 ha vinto il premio Ubu come migliore attrice e nel 2022 quello per la miglior regia. Ora è in tournée con Altri libertini, un adattamento dell’opera di Tondelli
di Carolina Saporiti
Punk, viscerale, donna 40enne al timone di una compagnia teatrale tra le più interessanti in Italia, Licia Lanera è attrice, drammaturga e regista pluripremiata. Ma soprattutto è appassionata di parole e di vita. Quasi alla fine della tournée di Altri libertini, spettacolo teatrale tratto da tre racconti contenuti nell’omonimo libro pubblicato nel 1980 da Pier Vittorio Tondelli (è stata una prima volta, in precedenza non erano mai stati concessi i diritti per farlo), abbiamo parlato con lei di teatro, di morte, di cultura e di generazione di disagiati.
Quando hai scoperto il teatro?
I miei mi ci portavano spesso, vengo da una famiglia molto semplice che ha fatto di tutto per stimolare in me quello che loro non hanno potuto fare. Ho iniziato a fare teatro all’ultimo anno delle superiori e, al contrario di altre cose in cui mi affannavo con risultati pessimi, qui mi riusciva tutto benissimo. Poi durante l’u- niversità mi sono iscritta al Centro Teatrale, ho iniziato a vedere tanti spettacoli e ho incontrato la persona con cui poi avrei fondato la compagnia Fibre Parallele, Riccardo Spagnulo. È stata un’onda che non si è mai fermata.
Hai fondato molto giovane la tua compagnia teatrale. Una scelta coraggiosa…
Fibre Parallele, che ora è Compagnia Licia Lanera, tra due anni ne compie 20! Vengo da Bari che, come tutte le province, è sempre stato un luogo in cui l’offerta era bassa e quindi mi sono organizzata da sola. Aggiungo che ho sempre avuto la capa calda e ho avuto l’onestà di sottrarmi al conflitto con qualcuno al di sopra di me e di assumermi le responsabilità.
Negli anni il tuo lavoro si è evoluto e oggi dici di essere interessata soprattutto ai testi non teatrali, come nel caso di Altri libertini…
Dal 2015 con Beatitudine, abbiamo iniziato ad assottigliare sempre di più la distanza tra il personaggio e l’attore per rompere il meccanismo della finzione.
Si può parlare di autofiction?
No, perché siamo in presenza di elementi biografici reali. Il 2015 è stato un anno particolarmente doloroso per me: c’è stata la frattura di un sodalizio lavorativo e personale durato 12 anni tra me e Spagnulo. Questo fatto ha iniziato a creare la rottura del meccanismo.
Ora porti in scena anche le cose private più turpi…
Sì, porto soprattutto quelle, perché per me il teatro è il luogo in cui finalmente ci si può sentire i peggiori.
Molto controcorrente in questa società.
Vero, sono sempre tutti migliori di te. Io ci tengo che nello spettacolo la gente veda persone come sé o addirittura peggiori, così da sentirsi sollevati o condonati per non essere perfetti o i migliori del pianeta.
Torniamo alla rottura del meccanismo di rappresentazione, come funziona?
Dopo aver visto Game of Thrones pensare che qualcuno creda all’effetto neve a teatro è ridicolo. Non è la neve di per sé che fa l’effetto wow, ma è l’attore che sente il tocco della neve sulla spalla. Si va a teatro perché si sviluppa un rapporto con delle persone vive insieme a noi. L’attore permette allo spettatore di vedere tutto quello che a teatro non sarebbe possibile vedere, senza però illudersi di essere in un altro mondo. Quello che ti consente di credere è l’onestà con cui l’attore si approccia alla parola. Il teatro è un luogo che ha ancora delle grandi possibilità: grazie alla sua forma mortale, non muore mai. È mutevole e imperfetto, come l’esistenza, e non ne rimane traccia. Credo che se non si morisse non farei teatro.
Sul palco insieme a te ci sono altri quarantenni che fanno la parte dei peggiori: è una legittimazione di un modo di essere?
Ho scelto i tre attori per lo spettacolo prima ancora di capire quali dei sei racconti di Tondelli avrei scelto. Non sono lì per caso. Nessuno di noi è sposato né ha figli, siamo fuori tempo massimo. La generazione raccontata da Tondelli si perpetua, con la differenza che quelli avevano 20 anni, noi 40.
Il mondo è decisamente cambiato, quindi?
Oggi una parte grande della popolazione è assopita e mi ci metto pure io. Abbiamo riposto nel lavoro il nostro essere realizzati. I miei genitori per tutta la loro vita hanno fatto un lavoro che non amavano, ma non sono cresciuti né traumatizzati né distrutti. Oggi non si capisce dove dobbiamo arrivare, l’asticella viene sempre spostata più in là, dimenticando – soprattutto per noi donne – che invecchiamo. Tutte queste puttanate sull’amore per sé hanno creato una società di isolati, egoisti, rincoglioniti che non sono disposti a fare mezzo passo indietro per stare insieme agli altri.
Come e perché è successo tutto questo?
Ci hanno consegnato un immaginario fatto di matrimonio, figli, stare insieme 40- 50 anni, il posto fisso, l’idea che la laurea volesse dire grandi stipendi. Il messaggio che mi è arrivato è che potevo tutto e invece non potevo un cazzo, non ci hanno insegnato la finitezza umana: perché se io voglio fare teatro e lo voglio fare con questi ritmi, è molto difficile che possa fare un figlio. Siamo eternamente ridicoli, perché siamo sempre un passo indietro rispetto alle cose nuove e sempre uno in avanti con la generazione precedente. I personaggi di Altri libertini sono il nostro specchio, senza dover essere quelli con la siringa nel braccio.
Nella foto in alto: Licia Lanera, foto di Manuela Giusto
Quest’intervista è stata pubblicata su WU 129 (dicembre 2024)
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