ALTEA – ANIME SONORE
Dal Salento a Napoli, il suo è un percorso artistico e personale che la sta portando a definire un interessante linguaggio musicale. Pop, elettronica e nuove scritture si fondono in una voce intima che arriva a fine settembre sul palco di Ultra Club al Romaeuropa Festival 2025
di Dario Buzzacchi
Tra le protagoniste di Ultra Club, la sezione musicale del Romaeuropa Festival che trasforma il Mattatoio in un ecosistema sonoro fatto di elettronica, cantautorato e nuove scritture pop, c’è Altea: voce intima e potente che, dal Salento, ha trovato casa a Napoli, nutrendo la sua scrittura di stratificazioni emotive e sperimentazione. Tra introspezione, ricerca sonora e collaborazioni significative – da Meg a Giovanni Truppi – sta attraversando la scena indipendente con sensibilità e visione. In occasione del suo live a Ultra Club del 27 settembre, l’abbiamo incontrata per parlare di malinconia e speranza, di improvvisazione, di set che cambiano forma e sogni che ancora devono accadere.
Dal Salento a Napoli: che ruolo ha avuto il trasferimento nella tua evoluzione artistica?
Qualsiasi luogo che si abita è fonte di ispirazione, se solo ci si lascia sfiorare dalle energie che trasmette. Ho scelto di vivere a Napoli perché, sin dal primo istante, ho sentito un’aria diversa da quella che già conoscevo. Ho sentito un’atmosfera fibrillante, come un’eccitazione che mi ha contagiata e improvvisamente mi sono sentita viva. Napoli ha esercitato su di me il potere di farmi credere che tutto è possibile, anche vivere di arte e con la testa tra le nuvole. Non mi sarei sentita così determinata però, se non avessi avuto con me le radici forti del Salento, la terra che chiamerò per sempre casa.
La tua musica unisce influenze r&b, indie ed elementi mediterranei. C’è un suono o uno strumento che per te rappresenta più di tutti “casa”?
Potrei enumerare infinite sonorità e strumenti che più mi sono cari ma, tra tutti, direi che è il pianoforte. Sin da piccola, è stato il primo strumento che è riuscito a mettermi in contatto con una mia parte più antica e profonda, a rievocare in me ricordi nostalgici, spesso malinconici, ma sempre molto teneri.
C’è un filo emotivo ricorrente nei tuoi testi, tra nostalgia e introspezione. Ti senti più vicina alla malinconia o alla speranza?Dipende dai giorni, spesso sono attraversata dalla malinconia, con picchi di disillusione, forse dati da un senso di impotenza che ho sviluppato vivendo in quest’epoca spesso crudele e vedendo ogni tipo di ingiustizia. La mia indole, però, non è provare piacere nella rassegnazione e nello sconforto. Anche se nei miei testi mi piace giocare con argomenti come la perdita di fiducia, il disagio e la nostalgia, in cuor mio c’è sempre una grande speranza, che è il fuoco che mi alimenta ogni giorno. Credo sia grazie al canale di espressione che ho trovato nella musica, nello scrivere di emozioni viscerali e cantarne ad alta voce, che sono riuscita ad essere a mio agio in questa dualità.
Non ti scordar di me è Il tuo primo EP: è una dichiarazione, un desiderio o un avvertimento?
Il “Non ti scordar di me” è un fiore considerato dagli antichi simbolo di salvezza dal dolore e dagli incupimenti della vita. Mi piace pensare che per me fosse una preghiera. Non ti scordar di me era l’invocazione a chi mi conoscesse davvero a tenermi la mano in un momento di fragilità.
Hai collaborato con artisti molto diversi tra loro, da Meg a Giovanni Truppi. Che sia sul palco o in studio, cosa cerchi in una collaborazione?Nelle collaborazioni cerco uno scambio autentico, in cui possa imparare e lasciarmi influenzare positivamente. Spesso, in passato, mi sono lasciata prendere dalla foga di voler essere ovunque e conoscere tutto, ma non sempre questa pratica mi ha insegnato qualcosa, anzi a volte mi ha solo svuotata. Ora mi interessa lavorare con persone con cui posso condividere valori e visioni, non solo musica. Sono molto grata di aver potuto conoscere personalmente grandi artiste e artisti che mi sono stati di ispirazione quando ero bambina. Ad alcuni di loro, oggi devo molto.
Hai fatto busking in strada, aperto concerti e suonato nei grandi festival: qual è il contesto in cui senti di poterti esprimere meglio dal vivo?
Preferisco esibirmi in contesti raccolti, in situazioni di intimo ascolto. Spazi in cui si dà al tempo la possibilità di fermarsi. Mi piace quando chi ascolta può essermi vicino, anche fisicamente, emulando un po’ un comportamento da salotto di casa, seduti per terra o sulle poltrone, tutti intorno al fuoco. Al contrario, non posso dire che suonare nei grandi eventi mi dispiaccia, tutt’altro. Però sono esperienze diverse. Penso che chi ha l’occasione di ritrovarsi davanti a tante persone abbia anche una responsabilità, a volte mi sento pronta per affrontarla, a volte mi sento fuori posto. In qualsiasi caso, la musica mi aiuta a fronteggiare ogni situazione, finché ha uno spazio di rilevanza.
Ultra Club trasformerà uno spazio come il Mattatoio in un club unico. Cosa rappresenta per te portare la tua voce in un contesto così contaminato e contemporaneo?
Mi sorprende sempre come una sola voce possa attraversare così tanti spazi. Quando canto mi piace immaginare che il suo suono rimbalzi su tutte le pareti, entri in ogni spigolo e venga assorbito da tutti i corpi. È prezioso avere la possibilità di attraversare spazi che siano recettori di arti ed accolgano una vasta gamma di espressione, soprattutto quando la contaminazione diventa arricchimento e gli spazi si fanno resistenza, collaborazione e solidarietà.
Conosci già alcuni degli artisti in lineup, come i Fuera o Gaia Banfi. Che rapporto hai con questa nuova scena italiana che unisce scrittura personale e ricerca sonora?
In questi anni portando la mia musica in giro, ho avuto la fortuna di conoscere molti musicisti, viaggiatori della loro introspezione e del mondo allo stesso tempo. Mi affascina sempre notare come ognuno di loro abbia un proprio universo di ricerca artistica e un personale modo di decodificare il suono e comunicarci. Ogni volta imparo qualcosa da ognuno di loro.
La tua musica mescola radici mediterranee, malinconia e sperimentazione: in un contesto come Ultra Club, hai pensato a un set specifico o a nuovi arrangiamenti?
Il set che porto in giro, per come è costruito ora, è sempre soggetto a cambiamenti. Mi piace poterci giocare e farlo mutare in base al luogo in cui mi trovo. Che si tratti di sperimentazione in studio o di improvvisazione sul palco, l’importante è che sia libero e interagisca con l’atmosfera che si crea con le persone che ascoltano.
ROMA
Il 27 settembre al Mattatoio
piazza Giustiniani 4
orario: ore 22
ingresso: euro 12
info e biglietti
Nella foto in alto: Altea, foto di Luigi Sgambato