VIETATO BALLARE
In un tempo storico in cui si ridefinisce l’idea di socialità, la club culture e la sua community si raccontano in una serie di documentari indipendenti
di Martina Di Iorio
Le luci si spengono su una sala che diventa buia e non sa più di sudore. Nessuna coda fuori, nessun nome in lista da spuntare. Vietato ballare, vietato abbracciarsi, vietato. La pandemia ha ridisegnato concetti come aggregazione, socialità e divertimento. Ma, soprattutto, ha spazzato via lo spazio faticosamente guadagnato negli scorsi decenni dalla scena della musica elettronica internazionale. Il mondo del clubbing non è mai stato in pericolo come ora, così come la sua comunità: non solo danzatori dell’ultima ora ma professionisti, addetti alle luci, fonici, promoter, artisti. In altre parole, clubber.
Una mancanza, quella della notte, che sente il bisogno di esprimersi con linguaggi diversi. Ed ecco che quella community si mostra oggi tramite la lente, precisa e tagliente, di alcuni documentari. Sono usciti (o stanno per uscire) una serie di racconti, a tratti nostalgici, che incentrano la narrazione sul sentimento che lega diverse generazioni al dancefloor e alla sua sottocultura. Come Tempo – Dance and the Pandemic, il documentario creato dal collettivo di registi Santabelva insieme a Zero e presentato a La Triennale di Milano.
La notte prende forma attraverso una lunga sequenza di una Milano deserta, isolata dalla pandemia e sovraccaricata da incertezza e inquietudine. A rompere il silenzio arrivano le testimonianze audio delle persone che quella notte la vivevano diversamente, per un messaggio corale che parla di paura, perdita ma anche speranza. Il regista Niccolò Natali, cofondatore di Santabelva, spiega così la genesi di Tempo: «Avevo il timore che qualcosa che avesse contribuito in maniera critica a definirmi come essere umano non potesse più esistere. Questo documentario nasce infatti dalla paura, una delle sensazioni dominanti del racconto. Ho deciso di affrontarla indagando le varie sfaccettature di questo dolore e l’ho fatto ponendomi le domande che in quel momento affollavano la mia testa e quella di altre persone».
La club culture è anche professionalità, denuncia, impegno. A Pandemic Rave è il lavoro realizzato nello spazio di Macao grazie alla collaborazione di diverse realtà indipendenti del panorama musicale milanese. Il punto di vista è quello degli artisti, fortemente colpiti dalla pandemia, attraverso un lungo dj set in streaming di 12 ore, inframezzato da interviste, racconti, punti di vista e proposte per supportare il movimento underground. Brainchain Records, Die Sekte, Haunter Records, Intersezioni, La Sabbia, Millesuoni, sono solo alcuni dei collettivi che hanno fatto parte di questo progetto che ha come fine anche quello di raccogliere fondi per supportare la scena locale.
Una community, quella della musica elettronica e del clubbing, che ora più che mai sente il bisogno di ricordare le proprie radici. Questa è la mission del documentario Sono in lista, soggetto di Stefano Fontana, sceneggiatura di Albi Scotti e regia di Andrea Paulicelli (realizzato in collaborazione con Rolling Stone Italia). Si vanno a snocciolare i cambiamenti artistici, sociali, culturali, politici e di costume con le testimonianze dei protagonisti di 40 anni di storia milanese. Con una narrazione pop e stravagante, Sono in lista fa scendere in campo i pezzi da novanta: J.T. Vannelli, Nicola Guiducci, Nastasha Slater, Lele Sacchi – tra i molti – uniti per ricordare come la discoteca sia un luogo di sospensione dal giudizio, veicolo di tendenze e cultura.
Milano è ancora al centro della narrazione con Milano Club 1995 2001. Un periodo preciso e circoscritto, che viene ricordato dal regista Andrea Cavallari come momento focale della città. Dagli spazi occupati de La Pergola, dal Binario Zero, dal Rainbow, la Milano anni Novanta sviluppa il solco musicale – che la caratterizzerà per un decennio almeno – e si avvicina alle metropoli europee. Sono anche gli anni del Tunnel Club, dei Magazzini Generali, dei Casino Royale: una Milano che parla la lingua della musica e si impone in tutta Italia come modello.
Arriva da Roma l’ultima voce a sostegno del sistema: Disco Ruin è il documentario di Lisa Bosi e Francesca Zerbetto presentato alla Festa del Cinema di Roma, prodotto da Sonne Film e K+ in collaborazione con Sky Arte (dove verrà trasmesso a breve). Il salto temporale è negli anni Sessanta, all’interno della cattedrale capitolina del divertimento: il Piper. Sono gli anni del boom economico, che giungono, con immagini e testimonianze, a realtà più vicine temporalmente come La Baia degli Angeli, l’Insomnia, il Kinki, per un grande mosaico che parla di libertà (sessuale e d’espressione). Uno sguardo al passato che fa i conti con il momento attuale, si scontra con l’epoca del “vietato ballare” e si dimostra comunque fiducioso verso un nuovo futuro. Da scrivere sotto la glittering ball.
Articolo pubblicato su WU 104 (ottobre-novembre 2020). Segui Martina su Instagram
Nella foto in alto: un momento di ‘Tempo – Dance and the Pandemic’
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