TRE PIANI E IL (PRIMO) PASSO FALSO DI NANNI MORETTI
Nanni Moretti torna dietro la macchina da presa con ‘Tre Piani’, sei anni dopo il suo ultimo film di finzione ‘Mia Madre’ e per la prima volta con una sceneggiatura adattata dall’omonimo romanzo di Eshkol Nevo
di Davide Colli
Tre Piani, appena l’intreccio ha avuto il tempo di dispiegarsi allo spettatore, presenta il sapore di una nuova esperienza per Nanni Moretti: seppur ormai da un ventennio la sua filmografia sia costituita da un predominante contenuto drammatico a dispetto dei suoi lavori più celebri e incensati, contornati da una prevalente leggerezza e sardonica ironia, per la prima volta qui si ritrova nel ruolo di adattatore. Si toglie quindi le vesti di demiurgo, di creatore di un proprio universo narrativo che il pubblico ha imparato ad amare e ad odiare, facendosi largo nell’immaginario collettivo.
Nella suddetta tragedia corale, consumata tra i piani di una palazzina borghese romana, si perdono i momenti onirici, apici anche dell’ultima fase della sua carriera, per ancorarsi a un cinico realismo (prendendo un’impostazione vicina al cinema di Haneke), dentro la quale i personaggi sono limitati dalle parole e dalla costrutto della fonte originale, perdendo quell’autobiografismo che costellava anche i comprimari più in disparte delle precedenti opere del regista, abbandonandosi a una sterile monodimensionalità.
Proprio l’idea di sterilità non abbandona la mente dello spettatore durante le due ore , in parte coerentemente ai suoi film più recenti, che inseguono una scarnificazione dell’impianto tecnico per raggiungere l’essenzialità della drammaturgia, dialogando con il format soap operistico (che già in Caro Diario era analizzato con sagacia a livello intertestuale). La rarefazione ricercata di Tre Piani spesso si trasforma in didascalismo, in un’elementare costruzione dello sguardo e una squilibrata esplosione del pathos, che liberandosi della compostezza conservata per tutto il corso del racconto, sfocia in più riprese in un ridicolo involontario.
Persino il variegato comparto attoriale (tra i nomi troviamo Margherita Buy, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher e Nanni Moretti stesso) contribuisce a far risaltare l’inadeguatezza di ciascuna maestranza abbia preso parte al progetto, fallace anche per colpa di un ingombrante e opprimente colonna sonora. Si rintraccia l’anima speranzosa di Moretti all’interno di questo spersonalizzato lavoro nel lirico finale, un invito all’aprirsi alla vita e al non rinchiudersi nelle problematiche del privato, grazioso quanto stonato rispetto alla rigida e impostata freddezza che fa di Tre Piani il primo vero buco nell’acqua di una radiosa carriera.
Nella foto in alto: Nanni Moretti
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