SOLO 120 NOTTI
Arnaud-Louis Chevallier, uno dei promoter delle notti parigine degli anni Ottanta, racconta in un libro uscito in Francia l’umanità che animava i locali dell’epoca. Qui approfondisce una sua grande intuizione: il club con i giorni contati
di Luca Gricinella
Nel 1984 Pascale Ogier, protagonista de Le notti della luna piena di Rohmer, è premiata come miglior attrice al Festival di Venezia ma, due mesi e mezzo dopo, a 25 anni, muore a causa di una crisi cardiaca. Per sua volontà la scena madre del film è ambientata nel primo locale effimero di Parigi, con un nome che indica il numero prestabilito di notti d’apertura: 120 Nuits. L’ideatore e direttore del club, Arnaud-Louis Chevallier (1957), a fine 2020 ha pubblicato un libro che celebra le notti degli anni Ottanta della capitale francese raccontando gli eccentrici, i viziosi, gli scapestrati e gli spiantati che le animavano. Nuits parisiennes des années 80 narra il decennio dell’edonismo ritraendo i viveur.
«Negli anni Ottanta» racconta l’autore, «sebbene cominciasse una crisi economica, tutti se la cavavano senza faticare troppo. A chi non aveva studiato bastava affittare un furgoncino, acquistare uno stock di vestiti usati e lavorare nei mercati per tre mesi per vivere bene e far festa per sei. Se un diplomato lasciava un lavoro che non amava, era certo di trovarne un altro in fretta. Questo permetteva di essere abbastanza spensierati e dedicarsi più facilmente a feste, alcol e sesso. Il settore immobiliare era molto più economico, benché già aumentato notevolmente rispetto agli anni Settanta: bastava poco per aprire un bar o un locale. La diffusa spensieratezza e lo spirito festoso permettevano di pensare al look, a come essere eleganti con il proprio stile, e facevano aprire ad altre culture e altri modi di pensare. Non prestavamo attenzione al comportamento “inappropriato” dei cafoni più ottusi: li ignoravamo. Non cercavamo di attaccarci a nessun ordine morale o religioso: ci dicevamo, come nella canzone degli Chagrin d’amour, “ognuno fa, fa, fa, quello che gli piace, gli piace, gli piace”. Quando eri infastidito dal comportamento altrui, lo dicevi in faccia e giravi i tacchi. E a parte le discussioni nei café, ci astenevamo da avere opinioni su tutto, soprattutto quando qualcosa non ci riguardava».
Sullo sfondo del racconto di quegli anni si citano vari esponenti di una scena rock francese in pieno fermento. «Poi, alla fine degli anni Ottanta» continua Chevallier «è arrivata la generazione nata dopo il ’68 che non ascoltava più rock, ma techno o rap. Per me la techno non è una musica di rivolta come il rock, è più avvolgente, ti isola e ti fa fuggire dal quotidiano. Allo stesso modo, il rap canalizza la rabbia ma non la esaspera. Sono musiche molto individualiste. Quasi quarant’anni dopo, molte persone di cui parlo nel libro sono morte, anche perché l’eroina e l’AIDS hanno contribuito all’ecatombe, mentre la generazione successiva ha adottato acidi (o crack) che tendono a isolare sensibilmente. In breve, la nuova generazione si è immersa in una nuova cultura molto più favorevole al ritiro. Non si cercava più di comunicare insieme in una festa senza fine ma ci si è focalizzati sul proprio essere interiore, evitando mélange umani. Dagli anni Novanta la notte è cambiata perché è cambiato il pubblico. Ma lo analizzo prima di tutto come una rottura generazionale. Anche negli anni Novanta sono successe cose interessanti ma, nel complesso, ho trovato meno notti festose. Forse ero anche un po’ stanco».
Non a caso la creatura più nota di Chevallier nasce nel 1983, quando il decennio che si è goduto in pieno sta decollando. Il 120 Nuits è a ridosso del cuore di Parigi, in Bd. de Strasbourg, parte come un azzardo, apre dal mercoledì al venerdì, ma ha successo grazie a varie intuizioni. Così, nelle serate clou, causa sold out, molti rimangono fuori in attesa che si liberi un posto.
«Sono molto fiero anche de La Régence, all’interno dell’Opéra-Night, con cui abbiamo fatto concorrenza al Palace e ricevuto star come Annie Lennox, Dave Stewart, Boy George, Jean-Paul Gaultier, Sade o Khaled. Ma da un punto di vista sociologico», rivela Chevallier «120 Nuits è la mia creatura più importante perché ha dimostrato come le discoteche effimere funzionassero bene, con pochi investimenti e un rischio finanziario molto basso. Sostituiva un locale preesistente in declino e, sul suo esempio, sono nati un sacco di one night club, dando davvero forza e potere d’attrazione alla notte parigina degli anni Ottanta: serate molto diverse tra di loro come Acide Rendez-Vous, Tango, Royal Lieu, Asile, Zarbi, Promised Land, Folie Pigalle’s, Mandarin, Power Station, Boucanier o Excentric Ballroom ecc. All’epoca ogni settimana comparivano due o tre nuovi locali e, chiaramente, ne sparivano altrettanti. Più locali c’erano, però, più gente usciva. Avevo un contratto di esclusiva di 18 mesi con il proprietario della sala e dovevo coinvolgere gente molto in fretta, anche perché la capienza era di 2 mila persone. Perciò la mia strategia di marketing si è basata sul confronto con gli avventori alticci al bancone del bar Bleu Nuit ed è andata contro quello che facevano il Palace o i Bains-Douches: aprire presto per permettere di uscire a chi lavorava il giorno dopo, non fare selezione all’ingresso, tenere dei prezzi bassi (entrata con consumazione per l’equivalente di 4 euro e, dopo le 23, di 6 euro senza drink), proporre eventi artistici o concerti ogni sera per far restare la gente fino alle 2 e farla bere, ospitare mostre durante la settimana per spezzare lo spazio e non farlo sembrare vuoto anche con 300 persone (che non è poco per un mercoledì o giovedì)».
Una media di 420 spettatori a serata, in apertura c’è quasi sempre un live e poi si prosegue con una selezione musicale post punk e new wave. Tra gli artisti che si esibiscono ci sono Alan Vega, Jah Wobble, Cabaret Voltaire e, unici italiani, i Litfiba che nella biografia ufficiale storpiano il nome in “129 Notes”. «Ricordo i Litfiba» prosegue Chevallier «come un gran bel gruppo con molta energia sul palco e che ha attirato molta gente. Ricordo anche di aver incrociato Pascale Ogier, ma non l’ho conosciuta davvero. Da noi sono passate tutte le star del rock, francesi o di passaggio a Parigi, ma per lo più non volevano essere riconosciute e dunque non tradirò la loro fiducia».
Nella scena del film di Rohmer ambientata al 120 Nuits, Louise, il personaggio interpretato da Pascale Ogier, nella sua costante ricerca di libertà, balla e si gode la relazione con un giovane partner che si rivelerà effimera.
Articolo pubblicato su WU 111 (dicembre 2021 – gennaio 2022)
Nella foto in alto: il pubblico del 120 Nuits, foto di Foc Kan, dalla pagina Facebook di Arnaud-Louis Chevallier. Tutte le foto nella pagina appaiono per gentile concessione di Arnaud-Louis Chevallier
Dello stesso autore
Luca Gricinella
CONTENTS | 18 Maggio 2018
PLASTIC DREAMS – AVERE VENT’ANNI AL TEMPO DEI RAVE