COWS CAN SMELL THE SCENT OF DEATH
Nel luglio 1945, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, le forze sovietiche effettuarono nella regione della Podlasie in Polonia un’operazione speciale in cui rimasero uccisi almeno 600 civili sospettati di legami con la resistenza clandestina: setacciati tra villaggi, boschi e foreste, scomparvero nel nulla. Questa narrazione, tramandata in segreto durante i 40 anni di regime comunista, che impedì alle famiglie di ottenere qualsiasi informazione, è il centro del progetto di Michał Dyjuk, bisnipote di una delle vittime che non hanno mai ricevuto giustizia
di Alessandra Lanza
Michał Dyjuk è un giovane fotografo polacco di base a Varsavia che, per il suo lavoro Cows Can Smell the Scento f Death, è tornato nella sua terra di origine, la regione della Podlasie, per togliere il velo a una storia della seconda guerra mondiale che, durante la guerra fredda, è stata tenuta in vita dai testimoni e dai loro racconti. Una vicenda tragica che ha toccato anche la sua famiglia e alla quale Michal ha provato a dare una lettura attraverso la lente della sua machina fotografica.
Chi ti ha raccontato quegli eventi la prima volta e quanti anni avevi?
Il mio primo ricordo distinto di bambino è una vecchia fotografia che ritrae un uomo in uniforme militare. Avevo cinque o sei anni. Ricordo anche che i miei genitori mi dicevano «quello è il tuo bisnonno, Michał Wołąsewicz, è stato rapito e ucciso durante una caccia all’uomo». Ho preso il suo nome per commemorarlo. Essendo un bambino non avevo idea di cosa significasse veramente, sono cresciuto con queste parole nella mia testa e più tardi, più consapevole, ho capito che si trattò di una vera e propria caccia alle persone.
In che modo questo ha cambiato il modo in cui vedi il luogo in cui sei nato?
La regione in cui sono nato e cresciuto è un’area rurale e isolata al confine con Bielorussia e Lituania. È una specie di terra di nessuno, un luogo circondato da una fitta foresta secolare, ricca di fiumi e laghi. Tolto lo strato di paesaggi idilliaci è evidente come il suolo sia saturo di eventi tragici, è stato un campo di battaglia costante durante le guerre mondiali. Mi piace definirlo lo scenario perfetto per una caccia all’uomo: mancano strade, elettricità, collegamenti, ed è facile nascondersi e scomparire. Mentre lavoravo al progetto, diventato la mia indagine, ho iniziato a considerare questi luoghi come scene del crimine.
Quando hai deciso che saresti diventato un fotoreporter, ed è stato facile?
Poco dopo essermi trasferito a Varsavia , ho iniziato a fotografare per un giornale universitario. È stata la prima volta che ho avuto delle vibes editoriali. Dopo un anno ho preparato un portfolio (non così buono) e ho iniziato a inviarlo alle agenzie fotografiche polacche. Alla fine una mi ha ingaggiato come freelance: avevo 20 anni, prima nessuno mi aveva preso davvero sul serio.
Prima facevi comunque fotografia?
Sì, ma niente di significativo: andavo su uno skate con gli amici e portavo con me una macchina fotografica. La trattavo come un hobby e un modo creativo per affrontare il tempo libero o la noia. Non avrei mai pensato che vi avrei dedicato la mia vita.
Quando hai cominciato il progetto?
Volevo affrontare da anni questa storia in modo creativo. È anche un impegno personale verso la mia famiglia, i miei vicini, i miei coetanei. Il primo tentativo che ho fatto nel 2017 è stato un fallimento, è stato il momento in cui mi sono reso conto che il fotogiornalismo era limitante in alcuni scenari. Ho dovuto riadattare il mio atteggiamento, cercando di assumere un approccio editoriale. Nel 2021 ho ricevuto una borsa di studio annuale dal Ministero della Cultura e del Patrimonio polacco per aver completato un progetto. Questo mi ha dato una spinta, insieme a molta libertà nel processo creativo. Così ho deciso di tornare nella mia città natale per un anno.
MICHAL DYJUK È fotogiornalista e fotografo documentario con base a Varsavia. Dopo anni di lavoro in agenzia, oggi si dedica a progetti personali, in particolare sul tema dei diritti umani e su aspetti sociali della quotidianità. Avrebbe voluto diventare un pilota, ma non ha potuto per un problema alla vista.
Articolo pubblicato su WU 116 (settembre – ottobre 2022). Segui Alessandra su IG
Tutte le foto presenti in questa pagina sono di Michal Dyjuk