MEG – BELLISSIMO MISTERO
È da poco tornata con un nuovo disco, Vesuvia, uscito per Asian Fake, e ha in programma di farcelo sentire dal vivo all’inizio del 2023. Dalla situazione della musica di oggi all’unicità della voce, chiacchierare con Maria è sempre stimolante
di Carlotta Sisti
Questa è un’intervista che andrebbe divisa in due parti, che sarebbe giusto spalmare su due numeri del giornale, così da non perderne neppure un pezzo. Perché parlare con Meg ha poco a che fare con la mera promozione di un disco, e molto di più con la piacevolezza del perdersi in riflessioni, prendendosi il tempo per farlo, e, come dice lei, «andare fuori traccia». Maria, che nel nuovo album uscito per Asian Fake con il titolo di Vesuvia, in modo del tutto mediterraneo, è una che il tempo sa prenderselo, senza fretta, senza nervosismo. E qui troverete parte di uno scambio che dall’unicità degli anni Novanta è arrivato fino alla potenza metafisica della voce, passando per la gentilezza che tutti dovremmo avere nei confronti dei nostri traumi.
Partiamo dal futuro: andrai in tour? Molti musicisti stanno cancellando i loro concerti perché «economicamente non sostenibili», come hanno scritto gli Animal Collettive.
Ho in programma di fare dei concerti a inizio 2023. E speriamo che il tutto vada a buon fine. Perché sì, per noi musicisti la situazione è diventata ancora più precaria che in passato. Oggi paghiamo le spese della situazione pregressa dell’“apri e chiudi” che i piccoli aiuti economici da parte del governo non sono riusciti a tamponare. Ho letto un post di Santigold, che è una delle mie artiste preferite, che spiegava come, a malincuore, fosse stata costretta a cancellare il tour, raccontando di quanto siano stati feroci per glia artisti gli ultimi due anni e mezzo economicamente, logisticamente e dal punto di vista della salute mentale.
Credi che in generale si sottovalutino queste difficoltà dilanianti per il vostro settore?
Sì, penso che sia ancora diffusa l’idea del musicista come una sorta di menestrello che si ciba solo della propria arte. Si tende a immaginare una condizione di benessere molto più grande della realtà. Aggiungo a questo che sto tanto sentendo parlare di post pandemia, e del fatto che comunque andranno i contagi, non si tornerà in lockdown. Mi auguro che sia vero, ma penso anche che una buona parte di noi stia ancora facendo i conti con questo trauma collettivo, a cui si è andato ad aggiungere quello della guerra e bisognerà vedere nel lungo termine gli effetti reali di tutto ciò sulle persone.
Però possiamo parlare di cose belle. Per esempio del fatto che artisti come te, o i Verdena, ogni volta che tornate a fare musica dopo lunghe pause, siate sempre accolti con immenso calore. Come te la vivi?
Benissimo! Sono molto grata che dopo trent’anni la gente attenda ancora pazientemente che escano i miei dischi. Su questa cosa ho scritto un pezzo, Grazie, la traccia che chiude il disco e che è nata proprio per abbracciare il mio pubblico.
Credi che negli anni Novanta si creasse un legame più viscerale tra fan e artisti?
Sì. Negli ultimi anni il consumismo ha fagocitato anche il nostro mondo. Il bisogno patologico di novità ha influenzato la fruizione della musica, rendendola simile, per esempio, al meccanismo del fast fashion: ti compri un vestito che costa due lire, ti dura una settimana, lo butti e poi ne vuoi un altro nuovo. Ma ci sono aspetti positivi: per esempio i social network, che possono essere usati da un ragazzo o una ragazza per farsi conoscere. Al presente non si deve guardare con occhi nostalgici, ma con lucidità, per riconoscerne i pregi.
Un pregio del presente è un collettivo come quello dei Thru Collected, con cui ha collaborato in Vesuvia: com’è andata tra di voi?
Loro sono giovani del Sud, privi di preconcetti nei confronti dei più grandi, e abituati al dialogo con gli adulti. Quando gli ho chiesto di collaborare la loro reazione è stata entusiasta. Assomigliano alla me ventenne, ma sono più liberi, più fluidi, mentre noi eravamo troppo ingabbiati dentro certe parole d’ordine, certe ideologie e a volte rischiavamo di auto censurarci. I TrhuCo affrontano i temi sociali in maniera più anarchica e sono aperti a collaborare con tutti. Non si preoccupano di rimanere fedeli a un genere musicale, fanno punk e poi drum ’n’ bass, fanno musica con la M maiuscola. E questa è una cosa che abbiamo in comune.
Oltre ai Thru Collected dentro al magma di Vesuvia ci sono collaborazioni le più svariate, da Emma ed Elisa in Aquila, a Frenetik, che ti ha affiancata in molte produzioni.
Ogni singolo brano è prodotto da me, ci tengo a precisarlo perché su questo c’è stata un po’ di confusione, e alcuni pezzi sono stati co prodotti con Frenetik, Tommaso Colliva, i fratelli Fugazza, Orange e Katia Labèque. Con Daniele- Frenetik è ci siamo scritti su Instagram anni fa, ma mi ero persa il messaggio. Appena l’ho recuperato gli ho detto che avevo un disco pronto, e che se aveva piacere glielo avrei fatto sentire volentieri. Niente, si è innamorato. E da lì mi ha proposto di entrare in Asian Fake, cosa che, senza saperlo, era ciò di cui avevo bisogno. Perché fare tutto da sola è sempre stato un vanto per me, ma è anche faticosissimo. Ecco che quindi mi sono trovata con un team che se per alcuni brani ha dovuto fare poco o nulla perché già confezionati, come Scusami se sono felice e Non ti nascondere, per altri, invece, come Arco & Frecce, che con Daniele abbiamo sfatto e rifatto, ha dato una grande mano.
A fare da collante la tua riconoscibilità, che è potentissima: attacchi a cantare e tac, sei Meg.
Come dico in Arco & Frecce: «La mia voce, la mia luce, la mia croce». Perché di base sono molto orgogliosa della mia voce, ma attraverso anche delle fasi in cui non riesco ad ascoltarmi, mi percepisco stonata. Poi passa, e le riconosco la sua unicità. Come tutte le voci, se ci pensi, che sono solo di quella persona e nessun altro al mondo. Allo stesso modo dell’impronta digitale. Mi chiedo spesso cos’altro di noi, del nostro carattere, delle nostre insicurezze, dei nostri traumi, viva e arrivi agli altri attraverso la voce.
Forse è perché ci sono dentro così tante cose, che a volte ci scordiamo i volti delle persone, ma difficilmente la voce. Anche di chi non c’è più.
Mi fa venire i brividi questa cosa. E ora che mi ci fai pensare ci ho scritto anche un pezzo, che non a caso è intitolato Audioricordi. Perché che ci si innamori di lei o che la si detesti, una voce rimarrà sempre un grande e bellissimo mistero.
Meg su IG
La foto in alto è di Mattia Guolo
Intervista pubblicata su WU 116 (ottobre – novembre 2022)
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