VICTOR KWALITY – A MUSO DURO, ANCHE IN ITALIANO
Victor Kwality ha da poco pubblicato ‘Dinosauri EP’ per Sugar, il suo primo lavoro cantato in italiano per il quale si è avvalso della collaborazione di Stabber. Ci ha raccontato la genesi di questo nuovo capitolo della sua carriera e di questo nuovo sodalizio artistico con il producer abruzzese
di Enrico S. Benincasa
Faccio fatica a non iniziare quest’intervista a Victor Kwality non chiedendogli di A muso duro, il pezzo che apre il suo nuovo EP Dinosauri, il primo in cui si cimenta con l’italiano. La canzone è l’unica non scritta dall’artista torinese delle cinque presenti, ma è un pezzo di Pierangelo Bertoli che proprio quest’anno compie quarant’anni. Se la si ascolta senza conoscere l’originale, però, il dubbio che quel testo sia uscito dal pugno di Victor Kwality è più che lecito, anche grazie al lavoro di Stabber, suo “socio” in questo nuovo capitolo della sua carriera, che ha dato alla traccia una veste assolutamente attuale. Un testo forte, che mette al centro l’indipendenza dell’artista, un vestito che Victor può indossare senza problemi. A muso duro è anche il primo video del Victor Kwality che ha scelto l’italiano per cantare, ma sono senz’altro interessanti anche le altre canzoni presenti in questo lavoro, quelle scritte da lui. Tornato a relazionarsi con l’elettronica, ha trovato una chiave per esprimersi bene con quella che è la lingua in cui pensa, senza paura di affrontare temi scomodi come fa nella title track. Si è lasciato andare, come gli ha suggerito Patrick Benifei dei Casino Royale, e ha funzionato. Dinosauri è solo il preludio di questa nuova fase, lontana dal suo esordio solista in inglese Koan e anche dall’esperienza LN Ripley, e che probabilmente avrà presto un nuovo sfogo visto che – come ci ha preannunciato – lui Stabber hanno ancora tante cose da farci sentire. Intanto lo potremo presto sentire dal vivo al Mi Ami il 25 maggio e negli altri showcase che terrà durante l’estate.
A muso duro: come ti sei imbattuto in questo pezzo di Pierangelo Bertoli?
Per ragioni anagrafiche, A Muso duro – che è un pezzo di quarant’anni fa – non fa parte del mio retaggio culturale. Mi sembrava di averlo già sentito, ma non ne sono sicuro al 100%. È un pezzo che non doveva neanche essere nell’EP, io e Stabber inizialmente, poi, non pensavamo di fare una cover. Non ci mancava certo materiale su cui lavorare, abbiamo praticamente un disco intero considerando tutte le tracce che abbiamo prodotto.
Quindi come è andata?
Semplicemente un giorno eravamo in studio, ci siamo guardati quasi per scherzo e ci siamo detti: «Sarebbe figo fare una cover italiana, no?». Non ricordo esattamente come siamo arrivati ad A muso duro, ma mi ha subito colpito il suo testo, l’ho sentito molto vicino e ci siamo messi a lavorare su questa canzone. A un certo punto stavamo quasi per abbandonare l’idea, poi ho chiesto a Stabber di mandarmi un beat scheletrico di cassa e rullante per riprovarci ed è venuto fuori questo arrangiamento così diverso rispetto all’originale.
Quanto ti ritrovi in questo testo?
Tantissimo, l’ho fatto sentire a diversi amici e musicisti, tanti non l’avevano riconosciuto e pensavano fosse mio. Non succede spesso di ritrovarsi in un testo scritto da un altro. Volevo fare un pezzo che affrontasse questi temi, ma se c’è qualcuno che ha già scritto una canzone così è giusto “ridargli vita”. Con Stabber abbiamo dato una veste attuale a un pezzo che ha un testo assolutamente attuale.
Dinosauri e A muso duro sembrano legate, è così?
Sì, c’è un legame. La cosa che mi ha colpito è che Dinosauri era già nata quando abbiamo incontrato A muso duro. Sono cose strane che a volte succedono quando stai facendo un percorso artistico. Dinosauri nasce dall’episodio di una delle tante navi arrivate sulle nostre coste a cui non è stato dato il permesso di attraccare. Non mi considero un artista che fa musica impegnata politicamente, ma mi ritengo una persona sensibile e che ha gli occhi aperti su quello che accade. Se noto che una situazione non mi sta bene, e quella in cui viviamo oggi ha tante componenti che non mi stanno bene, non riesco a stare zitto.
Dinosauri inizia con «Odio gli indifferenti»…
L’indifferenza oggi è una delle cose che mi fa più paura. Sono italiano ma anche mulatto, se prendo il treno una volta su due sono l’unico a cui chiedono i documenti. A volte succede che qualcuno mi riconosce, ed è capitato che dopo una richiesta di documenti mi arriva quella di un selfie da parte di un fan. Sono cose che ti fanno riflettere. Ho fiducia nei più giovani, mentre mi fa paura l’indifferenza nelle persone adulte. Spero di non accomodarmi mai nello stare zitto davanti a un’ingiustizia.
Come nasce invece la decisione di scrivere e cantare in italiano?
Quando ho iniziato a lavorare a questo EP arrivavo da Koan, un disco con testi in inglese scritto d’impulso chitarra e voce. Con Stabber invece volevo prendere una direzione più mentale e ragionata, tornando a navigare nell’elettronica che è il mare da dove sono cresciuto. Eravamo in studio e semplicemente Stefano mi ha chiesto di fare un tentativo. Quando lavori con qualcuno ti devi fidare, sennò è meglio fare le cose da soli. Mi ricordo che stavo tornando a Torino e lì mi sono detto: «Proviamoci» e molto naturalmente ho provato a farlo. Ero curioso di vedere come mi stessero le parole in voce. Alcuni pezzi sono nati in italiano in freestyle, per altri, come Dinosauri, c’è stato un rewriting.
Qual è stata la maggiore difficoltà che hai incontrato?
Il mio dubbio più grande era quello di non riuscire a riportare le metriche e tutte quelle automazioni che uso quando lavoro in inglese. Il farsetto mi ha aiutato, mi ha fatto scoprire una nuova voce e ho lavorato su quello. Un ottimo consiglio l’ho avuto da Patrick Benifei, che mi ha detto: «Lasciati andare in italiano, esci dalla comfort zone e cerca semplicemente di essere naturale». È stato molto prezioso, non mi sono sentito ingabbiato nel dover fare qualcosa. Oggi mi chiedo se era così semplice arrivare alle persone traducendo quello che provo nella lingua in cui penso. Alla fine c’è sempre un percorso che ogni artista deve fare, io sono arrivato ora a questa tappa.
Victor Kwality negli ultimi tempi è stato anche autore di due colonne sonore, quella di The Man Who Stole Banksy di Marco Proserpio, che hai composto con Federico Dragogna dei Ministri, e quella di Drive Me Home di Simone Catania, che invece ti ha visto collaborare con i Niagara. Come sono andate queste due esperienze?
Sono state due esperienze diverse, ma entrambe molto interessanti. Per Drive Me Home io e i Niagara abbiamo collaborato solo a una canzone, che poi è diventata la title track della colonna sonora. Ci conoscevamo già e avevamo anche collaborato assieme a un progetto che si chiamava Kwage, con cui avevamo aperto anni fa ai Matmos a Torino. Davide mi ha dato un’idea e mi ha chiesto di provare a scriverci e cantarci sopra. C’è totale fiducia con loro, sono andato in studio e abbiamo registrato. Per The Man Who Stole Banksy, invece, è stato un lavoro diverso. Con Federico abbiamo avuto lo stesso approccio che si ha quando si scrive un disco. La differenza principale, rispetto a come funzionano solitamente le cose, è che Marco veniva spesso in studio per farci vedere delle clip del film. È stata la prima volta che ho scritto avendo delle immagini davanti, visualizzando quello che poi sarebbe stato parte della canzone che stavo scrivendo. La cosa mi ha ispirato molto, mi è venuto tutto facile. Sono molto contento di averlo fatto perché con Marco ci conosciamo da tanti anni, forse è dal secondo giorno che ci siamo incontrati che ci diciamo: «Dobbiamo fare qualcosa assieme», finalmente c’è stata l’occasione. Inizialmente avrei dovuto fare la voce narrante, poi però è arrivata l’opportunità di avere Iggy Pop e non mi sarei messo contro un mostro sacro come lui (ride, NdR).
Quali sono i prossimi appuntamenti per vedere Victor Kwality dal vivo?
Parteciperò al prossimo Mi Ami (il 25 maggio, NdR) e poi farò qualche showcase. Parlo di showcase e non di live vero e proprio perché non voglio mischiare i pezzi di Koan con quelli di questo EP, sono approcci diversi e preferirei dare un’unica visione artistica.
Stabber sarà comunque il tuo “co-pilota” in questa fase della tua carriera?
Sì, era un po’ di tempo che non trovavo questa affinità artistica. In questo lavoro c’è stata molta libertà per entrambi, non mi sono sentito ingabbiato e penso nemmeno lui. Il nostro “aggancio” è stato la fisica, io sono un appassionato e lui è laureato proprio in questa materia. Bisogna trovarsi, con lui è successo l’anno scorso e penso che in questo momento siamo le persone giuste al posto giusto.
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