ANTONIO REZZA – IL CRISTO IN GOLA
Antonio Rezza si è cimentato con un tema, quello della Passione, con il suo ‘Il Cristo in Gola’, film da lui diretto e interpretato e presentato fuori concorso al Torino Film Festival
di Davide Colli
In apertura alla 40esima edizione del Torino Film Festival, nella sezione Fuori Concorso, Antonio Rezza, attivissimo in campo teatrale, presenta la sua ultima opera cinematografica, Il Cristo in Gola, lungometraggio girato e montato lungo quasi vent’anni, nonché rielaborazione parodistica del racconto della Passione. Non è solo il regista del film, ma è anche attore protagonista, nei panni di un Gesù incapace di parlare. Lo abbiamo incontrato proprio a Torino, in occasione della proiezione della pellicola durante il TFF.
Nei ringraziamenti finali citi Pier Paolo Pasolini e il film infatti prende molto da Il Vangelo Secondo Matteo. C’era l’intenzione di rifarsi anche ad altre trasposizioni della Passione di Cristo?
I film di Cristo sono spesso stati degli esperimenti di mercato, quindi tendenzialmente no, anche perché conoscendo Pasolini so che non l’ha fatto per denaro. Volevo fare il film speculare a Pasolini, ma fin quando mi limito a dirigere il film è filologico, con le stesse identiche scene. Questo funziona per i primi quindici minuti. Il testo dell’Arcangelo, per esempio, è lo stesso. Interpretando anche il Cristo, per fortuna, mi sono tolto il controllo dell’opera. Il mio corpo si è ribellato alla mente, al me regista. Disprezzo l’idea dell’autore che vuole avere controllo della propria opera. Io sono inferiore alla mia opera.
Alla tematica bergmaniana del silenzio di Dio, rispondi con un Cristo che si esprime urlando e con versi. È per caso un Cristo incapace, con il proprio verbo, di parlare alla contemporaneità?
Non credo in Dio perché la razionalità me lo impedisce e, se mai esistesse, sarebbe un Dio imperfetto, in quanto noi stessi siamo creature imperfette. Dio è la più grande invenzione dell’uomo e come invenzione dell’uomo la rispetto, ma il fatto che l’essere umano si voglia concedere una seconda possibilità la dice lunga sulla sua arroganza. Allo stesso modo in cui l’uomo è tracotante nel creare una divinità per ovviare alle sue mancanze, lo strillo di Gesù deriva da una mia incapacità attoriale di recitare ciò che sta scritto nei Vangeli. Non è altro che una suggestione suggeritami dal corpo.
Nel film spesso i personaggi si interrompono, fermano l’azione, per mettersi in posa e richiamare certi dipinti o sculture come le varie versioni della Pietà. Anche qua la tua intenzione era prendere in giro questa pratica diffusa nei film di genere?
Di film su Cristo ho visto soltanto Il Vangelo Secondo Matteo, l’orribile La Passione di Cristo, quello di Zeffirelli e pochi altri, quindi non ho la cultura per citare apertamente altre opere. La mia Pietà mi sembra però una Pietà “attiva”, non con il corpo deposto, in quanto Cristo si dimena e urla nel mentre. Mi piaceva questa idea reiterata e resa ossessiva, che esprimesse una disperazione, non mia, ma dell’opera, che alla fine è una tragedia. Una tragedia esasperata, non grottesca, non manierata.
Dato che hai inserito nel tuo film un Cristo invecchiato, mi chiedevo se avessi visto anche L’Ultima Tentazione di Cristo di Martin Scorsese.
Certo, quello con Willem Dafoe. Probabilmente lo preferisco anche a quello di Pasolini. Il film di Pasolini è bello perché suo, ma a tratti è troppo didascalico. C’è molta più disperazione in quello di Scorsese, il Cristo è molto più umano di quello di Pasolini. Proprio anche per l’inserimento della disperazione nel mio film, credo che sia una delle trattazioni della Passione più riuscite, anche perché Flavia (Mastrella, sua storica collaboratrice, NdR) non ha voluto partecipare al film, ha fatto solo la croce, di ispirazione russa. Non le andava di trattare tale tematica. Il fatto che il Cristo, protagonista drammatico, sia interpretato da un comico pestifero e diabolico, come diceva Antonin Artaud, ne aumenta la disperazione. Inoltre, credo che il valore del film sia ancora più alto perché non è mediato da nessun interesse parallelo: non c’è una produzione e rinuncerò a una distribuzione importante. Andrebbe contro il mio pensiero.
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